14 febbraio 2021: post covid, post work, post post e dalle 6.31 inizia post 67. Auguroni, vecchietto (che son poi io medesimo).

Un anno, come definirlo? Diciamo di chiari e di scuri. Ad un passo dalla fine di tutto: da ricordare, a marzo, pochi giorni dopo il mio ricovero d’urgenza per polmonite interstiziale ovvero covid 19, la telefonata che prima Edoardo poi Dalila ricevono di notte da una dottoressa di malattie infettive in lacrime, “no, no, no, non ce la facciamo, lo perdiamo, non vedrà il nuovo giorno“. Poi settimane, giorni e giorni chiuso tra le mura di un ospedale, prima Piacenza, poi Castel San Giovanni, senza vedere nessuno. Incosciente, poi intontito, incredulo, disorientato. Incapace di parlare, lesione alla corda vocale destra e parziale paresi alla laringe, mando a quel paese le infermiere e i medici – bardati come i Liquidatori della centrale nucleare di Chernobyl – che non mi capiscono e immagino per questo siano stranieri, russi, ucraini, bielorussi. Non manca un agente della sicurezza cinese e un’infiltrata nepalese apparentemente addetta alle pulizie ma che si rivelerà una spia. Al confine tra sogno e realtà. Le lacrime di Dalila alla prima videochiamata resa possibile dalla generosità di un’infermiera che sicuramente almeno ha studiato italiano e un minimo mi capisce e lì scopro che, poche ore dopo la mia partenza da casa in ambulanza anche per lei, per Dalila, si sono aperte le porte del pronto soccorso. Ed io non l’ho potuta sostenere, l’ho lasciata sola. No, non volevo, non avrei voluto, ancora ora mi spiace e finalmente capisco le sue lacrime. Lo sconforto di Fabrizio per il timore di non potermi neppure salutare per l’ultima volta. Centinaia di messaggi di sostegno quando va un poco meglio da colleghi, colleghe, amici, amiche e, come mi racconta Dalila, tanta preoccupazione, qualche lacrima. Il giorno della pensione, il 2 maggio, con l’infermiera, Paola, che mi offre un sorbetto al limone. La commozione di Edoardo guardando un film che racconta di un padre che ritorna momentaneamente dall’altrove per incontrare i figli. Io, come fossi la bollicina che nuota nell’acqua minerale Lete quella frizzantina, penso che non voglio morire, ho ancora tanto da fare. Mi agito, cerco di risalire, di uscire dall’acqua minerale e mi ritrovo a riemergere nel Golfo di Napoli, vestito di tutto punto ma bagnato come un pulcino bagnato, mentre Marisa Laurito canta una romanza ed Edoardo tutto serio e mogio mogio mi dice “non innamorarti babbo, torna a casa, da mamma, ti aspetta” . Sorrido, lo tranquillizzo, lo chiamo al telefono, “certo che torno a casa da mamma non appena la prigionia qui finisce” ma lui finge di non capire una parola (in realtà son sempre io completamente afono). Non ci sono più i cellulari d’una volta. Sono parzialmente cosciente quando passa a salutarmi il dottor Franco, primario pneumologo, si dice pronto ad intubarmi di nuovo. Come evitarlo? Una sola possibilità, dire “viva Juventus”!!! Del resto la vita val bene un’eresia ma subito dopo aggiungo “forza Toro”. Ricordo con gioia anni fa, tal Mammi’, Catanzaro, mato’ la Zebra con un sol gol, per me fu Festa Nazionale. Mi manca invece la lucidità per invocare la Viola. Lo dico ora, “forza magica Viola”. Poi infine, dopo 88 giorni, il 17 giugno, ritorno a casa in ambulanza e l’inizio di una lunga riabilitazione. La festa di tutta la famiglia all’agriturismo in collina un brindisi via l’altro, le due nipotine che mi corrono incontro, che m’abbracciano, l’amica Rita che passa a salutarmi dopo essere passata al supermercato a comprarmi un paio di boxer (i primi della mia lunga vita), la prima passeggiata in agosto col deambulatore verso l’edicola per l’acquisto del giornale con sosta per aperitivo al bar, la gioia della mamma novantaduenne nel rivedermi e inaspettatamente, malauguratamente, il giorno prima del suo 93° compleanno, a settembre, tristemente le sue ultime ore in un letto d’ospedale a Fiorenzuola, dove tanti anni prima, appunto 67 per l’esattezza, m’aveva regalato la vita. Il ritorno nei ristoranti a pranzo e cena ritrovando vecchi amici, con Roberto e Rita, Fausto ed Ettorina, con mamma, soli io e Dalila a sorseggiare del buon vino rosso versato dal piston (bottiglione) nello scüdlein, ovviamente prima che venisse disposta la chiusura forzata dei ristoranti. Il rammarico invece per non poter rivedere altri amici e amiche, per esempio Ferruccio, Raffaele e Claudio, Sindaco di Gropparello. L’impossibilità di raggiungere il mio bueno retiro, due camere in casa contadina in sasso a Donceto: impossibile nelle mie precarie condizioni deambulatorie affrontare la salita e soprattutto la discesa (magari per andare in bagno di notte) della scala in legno stile anni cinquanta per andare in camera da letto. La richiesta di Ottavio di ‘concedermi’ ad un’intervista per raccomandare prudenza e attenzione ai troppi che passeggiano senza mascherine, che si assembrano nei bar e nei luoghi affollati, che bevono mojito e il virus se la ride. Dunque ecco che racconto il mio calvario nelle interviste con Elisabetta ed Elisa per il quotidiano locale oltre al passaggio televisivo registrato da Thomas, con annessa una qual certa ‘notorietà’ (“ah, ma lei è quel dipendente ausl contagiato”, ha esclamato il cuoco quando sono entrato nel bar piccola cucina a Fiorenzuola). I mesi con l’infermiera dell’assistenza domiciliare, Marica, quelli con Isabella e Valentina, terapiste, per rimettermi in piedi e riabituarmi a camminare, poi in terapia di riabilitazione fisica in palestra a Baia del Re seguito dai medici dottor Fichera e dottoressa Zannino, con Elisa, poi Lucia, ora Emanuela a cercare di rigenerare muscolatura articolare per liberarmi da stampelle e supporti vari. Il contatto con Catia giornalista di Rai1 per un’intervista poi sfumata causa ‘colore’ del territorio (zona rossa, zona arancione, blocco circolazione di Regione in Regione) e causa seconda ondata che ha superato noi reduci della prima. L’invito del dottor Antenucci a raccontare la mia storia, poi pubblicata in un poster presentato al Congresso Nazionale di medicina e riabilitazione fisiatrica. La conoscenza con compagni di sventura, a partire da Roberto di Lodi, e con i problemi come la caduta di capelli di Maria Rosa o di Antonella (per tacer dei miei, caduti ma poi ricresciuti più densi e più forti di prima). Il confronto con amici passati attraverso le stesse vicissitudini come Francesco, vecchio compagno di rappresentazioni poetiche (veniva e accompagnava i testi delle mie liriche suonando l’organetto diatonico). Le colazioni al bar del Centro Inacqua al termine della riabilitazione con Paola, collega ritrovata dopo averla persa di vista da anni, alla quale devo l’appellativo di “piè veloce” e quello di “scalpo felice” . La mia Chevrolet Cruze ferma nel parcheggio del Lidl ormai con la batteria scarica, l’invalidità temporanea riconosciuta fino al 31.12.2021 per limitazioni nell’autonomia di movimento che impone a Dalila di accompagnarmi in auto ma le concede la possibilità di parcheggiare nei posti riservati (spesso occupati da chi non ne ha diritto, “tanto mi fermo due minuti“). Un libro-testimonianza (del mio rapporto con la Fiat di Torino negli anni ’80 ovvero il lavoro al servizio dell’interesse di pochi con la decisione di passare al servizio dei bisogni dei cittadini e il conseguente passaggio al lavoro in sanità pubblica). Un libro pensato anche come regalo di saluto a colleghi e colleghe del lavoro in azienda sanitaria e in ospedale in particolare da consegnare in una grande festa da organizzare per il 2 maggio, libro e festa rinviati (causa ricovero in corso a quella data) in accordo con Daniela, edizioni Pontegobbo. Primo rinvio quindi da maggio ad agosto con l’ipotesi di vederlo stampato e presentarlo in occasione della Festa della Letteratura a Bobbio ma, viste le mie condizioni, nuovamente rinviato a settembre, poi ad ottobre e finalmente in libreria a fine novembre. In epoca di lockdown, iniziative pubbliche in presenza negate, distribuzione come previsto a colleghi e colleghe “a distanza” (meglio evitare, prudentemente, incontri diretti e personali con decine di persone peraltro proprio nel luogo dove era avvenuto il contagio) tramite e grazie a Daniela, Mirella, Martina, Libera Maria furtivamente incontrate per la consegna dei pacchi con le buste contenenti lettera di saluto, libro e apposita cartolina illustrata appositamente realizzata grazie all’impegno di Edoardo e il supporto di Fabrizio Costa, tipografo in Borgonovo. Le campagne di informazione orchestrate mediante facebook e messaggi ad amici e conoscenti in vista del Natale (periodo di tredicesima e di disponibilità all’acquisto), la soddisfazione di vedere la copertina esposta in vetrina da Sonia mentre, a gennaio, ecco arrivare le prime copie alla libreria del Centro Commerciale Gotico grazie a Fabiana e Fortuna. Il video realizzato su promozione di Fabiana e infine l’articolo sul quotidiano locale a firma Eleonora nel quale si sottolinea la particolarità di una storia raccontata ora in prosa ora in versi. Il rammarico per non aver ancora incontrato (sempre per motivi precauzionali era consigliabile evitare l’ambiente affollato) Gianluca, segretario della Camera del Lavoro e autore di una delle due introduzioni al libro (l’altra di Carmelo che viene a casa a salutare il mio rientro). Da aggiungere la mancata venuta a cena, sempre per motivi prudenziali, di Carla, collega alla quale devo il prestito in uso del deambulatore necessario innanzitutto ai miei primi passi rigorosamente casalinghi in quei primi mesi estivi successivi al “rilascio”. Da citare invece l’incontro avvenuto pochi giorni fa, dopo tanti mesi, causa chiusura del pub Tuxedo, al bar Prima Sosta, davanti al cimitero, con Michele per disquisire di situazione e prospettiva e magari impegno politico, presente anche Antonio, collega direttore di unità operativa (oggi, tempi di aziendalismo bocconiano, usa dir così) a sua volta pensionato dal primo luglio, ipotizzando il suo coinvolgimento nel giorno che sarà quando sarà della presentazione del libro che sarà dove si potrà. Da non dimenticare gli aperitivi al bar MiAmi con Dalila, serviti da un’avvenente ragazza in minigonna che casualmente scopriamo essere Betty, un tempo figlia piccola di Giancarlo che lavorava in pronto soccorso ed ora gestisce un bar a Perino, venivano a casa nostra negli anni ’80, lei era una bambina, forse anche allora in mini sopra al ginocchio ma, va detto, con effetto molto diverso. E finalmente oggi finisce. Il 67° anno di vita si conclude alle 6.30 del mattino circa, ci saranno due torte, una al limoncello e un profiterole al cioccolato (due dolci, visto che saremo in otto) con 67 candeline (virtuali) accese e inizierà il 68° anno di vita. Ripeto: di vita, comunque, nonostante tutto quello che purtroppo manca e mancherà, che è cambiato, magari perso, parte di un presente vissuto fino a ieri diventato via contagio improvvisamente passato, ma niente rimpianti, vietata nostalgia. Ci sarà ovviamente Dalila, ci saranno Fabrizio ed Edoardo, figli che mi hanno ritrovato e seguito in questi mesi, che si sono detti felici di “avere avuto nuovo tempo da passare insieme“, ci saranno Elettra e Daniela e le due bimbe che MamMaria chiamava le sue rondinelle. Sì, ci sarà anche un pò di spleen, una leggera malinconia per chi non ho più la possibilità di incontrare come la signora Nicla o il Maestro di piano Nelio che, come Francesco, tante volte era venuto per accompagnare con le sue note le mie liriche e che il covid non ha risparmiato, due degli oltre 1460 piacentini che non sono più. Malinconia per i problemi di salute che mi rimangono (67 anni vissuti sono un bel numero e per la scienza medica già a 65 si viene considerati e dichiarati anziani in attesa di maturare gli anni – 85 – che ci trasformano in ‘grandi anziani‘). Malinconia per qualche difficoltà nel rapporto con la sanità pubblica: non riesco a farmi prendere in carico dall’ambulatorio post covid riservato ai cittadini in quanto all’epoca del contagio ero dipendente e quindi da dirottare all’ambulatorio per dipendenti che in effetti mesi fa mi ha fatto un esamino veloce veloce per mai più richiamarmi cosicché gli esami me li devo far prescrivere uno alla volta dalla mia dottoressa di fiducia lungo il percorso ordinario (non post covid) con ritardi, tempi d’attesa non indifferenti, frequenti sospensioni, rinvii, scarsa interazione tra i diversi settori, qualche protesta nella mia insolita veste di paziente utente sempre meno paziente. Ah, senza dimenticare che il mio ruolo era stato dichiarato a basso rischio da sicuri espertoni, che conseguentemente in tutta tranquillità a due passi dal mio ufficio era stato collocato l’ambulatorio di prevenzione per infermieri e medici in prima linea, che spesso tossivano, lamentavano febbre, e… patatrac. Per me alle 22.30 di quel 22 marzo, dopo qualche giorno di febbre, la sirena ululante come una lupa innamorata della luna brillante nel cielo di una primavera ancora lontana, che forse non sarebbe stata mia. Insomma, comunque nonostante tutto la vita va avanti, ho in mente altri tre libri da scrivere e, a proposito, uscito dall’ospedale ho ripreso la forza per leggere. Soprattutto libri mentre non più fumetti (che acquisto e poi lascio in attesa di tempi migliori per loro). Ho in mente tre libri dicevo, compreso una specie di diario su questa incredibile esperienza, sui sogni che mi accompagnavano mentre ero incosciente, intubato, tracheostomizzato, in procinto di lasciare questa valle di lacrime. In realtà, dopo aver recuperato la capacità di riprendere le pubblicazioni quotidiane di post nel mio blog, Arzyncampo, non ho però ancora la forza mentale di mettermi al computer, di scrivere appunto libri, storie, di aprire la monumentale cartella clinica per riportare gli orrori di quei giorni terribili che facevano piangere Dalila, che segnavano i giorni di Fabrizio, che hanno fatto piangere Elettra quando finalmente mi ha visto e ha sfogato la tensione per le notizie che le davano medici e infermiere dei reparti di rianimazione, di terapia intensiva, di riabilitazione respiratoria e fisica, che rendevano ansiose le giornate di Daniela nel vedere le lacrime di Edoardo. Insomma, concludendo, un poco rintronato, ma oggi sarà un giorno di festa. Dimenticavo: ho scritto una poesia ad illustrare i giorni bui della terapia intensiva, è stata pubblicata prima da un quotidiano di Taranto (era agosto) poi dal quotidiano della mia città, Libertà. Sempre da Taranto è poi arrivata la proposta di riservarmi 14 pagine in un’Antologia dedicata all’autunno prevista in uscita ad ottobre. Causa covid tutto rinviato. A gennaio però è uscita l’antologia dedicata ai colori dell’estate. La mia, se l’antologia vedrà la luce, sarà dunque forse una primavera colorata d’autunno, la prima primavera delle foglie cadute? Niente da fare, la pandemia ha cambiato la vita e i tempi di vita di tutti. Ma la poesia non ha tempi, guarda all’infinito, all’eternità. A proposito. Qualche giorno fa la dottoressa Stefania, la mia dottoressa “di libera scelta”, mi ha chiesto se intanto ho poi riprovato a guidare la macchina. Potevo? Dovevo? Comunque nessun problema, con oggi è scaduta la mia patente, avrei dovuto rinnovarla ma da invalido temporaneo fino a fine anno, potevo? Insomma, di riffa o di raffa la vita è ripresa. Tra chiari e qualche scuro di un anno… diciamo particolare. Il mio 67° vissuto che oggi si festeggia. Quindi, un brindisi virtuale con tutti voi, specie a tutti quanti mi stanno inviando auguri via facebook e via messenger (con anche qualche gradevole sorpresa inattesa) e ai quali non posso rispondere perché facebook proprio oggi deve avermi bloccato la possibilità di scrivere commenti (sarà per qualche giudizio ‘pepato’ su Renzinocchio e sul DrakulDraghi, il ragioniere al servizio degli interessi delle banche, quelle degli interessi attivi concessi che sono da barzelletta e quelli passivi invece a due cifre). Comunque in questo il covid non c’azzecca quindi, Cin cin, buon compleanno caro vecchietto.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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