365 days after, un anno dal contagio e dalla crisi polmonare

365 giorni dopo l’arrivo dell’ambulanza, 365 giorni dopo la grave crisi respiratoria, 365 giorni dopo l’ingresso in Pronto Soccorso, 365 giorni dopo la diagnosi di polmonite interstiziale. Nessuno ancora sapeva bene come affrontare il contagio, la camera mortuaria dell’ospedale si riempiva di bare di persone che nessuno aveva potuto salutare, che nessuno avrebbe accompagnato al cimitero. Sì, la situazione era stata sottovalutata. Nel corridoio dove stava il mio ufficio avevano previsto l’ambulatorio per costantemente controllare gli operatori sanitari, medici, infermieri, OSS, che agivano nei reparti a diretto contatto con i pazienti contagiati. Si verificavano in certi momenti assembramenti di 40 o 50 dipendenti. Molti tossivano, dichiaravano febbre, non tutti quando arrivavano portavano mascherine. Nessuna protezione, nessuna precauzione rispetto agli amministrativi che vivevano appunto negli uffici. Senza mascherine tanto, come aveva dichiarato una commissione di esperti, per il ruolo svolto a loro dire non correvamo rischi particolari, al massimo eravamo “a basso rischio” e intanto qualcuno passava a salutarmi in ufficio, mi confidava paure, timori, tossiva, starnutiva, si lamentava. Solo in seguito sarebbero arrivati percorsi guidati, disponibilità di protezioni, divisori, mascherine per tutti, ma il fatto ormai non mi riguardava più. Così fino a quella notte, 22 marzo 2020, ore 22.30, quando è arrivata l’ambulanza chiamata da Dalila, spaventatissima. Ricovero d’urgenza, “preso per i capelli“, salvato miracolosamente, sono rimasto in ospedale fino al 17 giugno. Dicevano che ero guarito. Postumi a parte. Così l’inizio del calvario. Coi postumi, quelli di allora e quelli che sarebbero venuti dopo. Oggi, 365 days after, ancora postumi, molte incertezze, camminando lentamente con un bastone, torno in quel corridoio. Visita di controllo in quanto dipendente al momento del contagio. La prima a settembre, con prescrizione di una TC polmonare, poi nientaltro fino ad ora con la seconda visita ma, grazie alla dottoressa di medicina generale (medico di base, di famiglia, personale, chiamatela come volete), questo avviene dopo decine di controlli che forse era opportuno avessero un monitoraggio complessivo da parte dell’ASL. Perché il problema del contagio non è solo polmonare, i rischi sono cardiaci, neurologici, fisiatrici, oculistici, diabetologici, otorinolaringoiatrici, pneumologici, circolatori e chi più ne ha più ne metta. Questo osserverò oggi ai medici dell’ambulatorio che a settembre mi ha preso in carico con una TC polmonare e oggi, ad un anno esatto dal ricovero d’urgenza, 365 days after, dopo 88 giorni di ricovero, dopo 277 giorni dalla dimissione, dopo decine e decine di visite e controlli disposti però dal mio medico di base, dopo essere stato riconosciuto invalido temporaneamente almeno fino a fine 2021, mi visiteranno per la seconda volta magari focalizzando ancora il controllo limitatamente alla situazione polmonare. Comunque sperando che, ritornando in quel corridoio, non succeda altro. Diciamola così, “ho già dato, ora basta“. In attesa di arrivare al vaccino, appuntamento già fissato per il 19 aprile prossimo venturo. Su invito dell’Asl stessa con l’impressione che la mano destra non sa bene cosa faccia la sinistra e quindi ripeto: un monitoraggio complessivo, un coordinamento del post-contagio sarebbe decisamente opportuno. Tanto per dipendenti quanto per semplici cittadini.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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