“Lunga vita alla sanità pubblica”, dice uno slogan della Regione, ma i soldi chi li mette? E, a proposito dell’ipotizzata costruzione di un nuovo ospedale piacentino, ecco l’idea: il privato, naturalmente! Fantasia? Depistaggio per non dire che l’opera non si farà mai? Ma, a dirla tutta, è davvero indispensabile?

“Lunga vita alla sanità pubblica”. Lo si legge sul sito della Regione Emilia-Romagna ma come interpretarlo? Un indirizzo politico suffragato da concreti mezzi per realizzarlo, una semplice aspirazione o addirittura uno slogan da manifesto pubblicitario? Beh, le avvisaglie non fanno ben sperare: la sanità pubblica costa e i fondi sono insufficienti anche solo per il mantenimento dell’esistente, figuriamoci per adeguare i servizi ai concreti bisogni e alle aspettative dei cittadini: per esempio, come diminuire le liste d’attesa per prestazioni ambulatoriali se mancano i soldi per assumere il personale medico e sanitario necessario? Di regola di fronte a questo dilemma nel passato semplicemente i fondi sono stati reperiti tagliando da un lato per investire da un altro. Così, ad esempio, si chiudono o si convertono strutture ospedaliere: pensiamo per quanto riguarda “casa” nostra al vecchio ospedale di Cortemaggiore qualche anno fa riconvertito chiudendo i reparti di degenza trasformandolo in ambulatori territoriali. Senza poter tacere della decisione recente di sostanzialmente chiudere la struttura di Villanova trasferendo la funzione di riabilitazione a Fiorenzuola ovviamente riducendo le altre funzioni della struttura della Val d’Arda. Il tutto all’insegna del mantra che da decenni viene raccontato: le strutture ospedaliere, affermano tecnici e amministratori diciamo “di parte”, non possono replicarsi uguali a se stesse a distanza di pochi chilometri l’una dall’altra; ogni elemento dell’insieme deve avere una specificità e una specializzazione ben definita. Quindi: fine per le strutture ospedaliere dei settori ‘generalisti’? Proviamo a dirla in modo ancora più chiaro: che senso avrebbe visti i costi attuali mantenere a Fiorenzuola e a Castello reparti di degenza come medicina o anche chirurgia? Anzi, diciamola ancora meglio: che senso (economico) avrebbe mantenere letti di degenza se non al massimo per un periodo di riabilitazione per i dimessi dai reparti dell’ospedale a futura valenza provinciale? Lasciando aperte diverse valutazioni per quanto alla montagna, nel mentre si qualificassero le strutture territoriali, non sarebbe logico – soprattutto dal punto di vista economico – perseguire un’alta specializzazione dell’ospedale provinciale concentrandovi la degenza trasformando gli attuali ospedali di prossimità in via principale in strutture sostanzialmente di prevenzione e medicina territoriale e non più di degenza? Secondo alcuni in realtà sarebbe un processo diciamo strisciante silenziosamente perseguito e concretamente in atto da tempo particolarmente temuto dai Sindaci e dai cittadini residenti in provincia ma che appunto sarebbe l’unica via, a detta di alcuni, per garantire quella “lunga vita alla sanità pubblica” auspicata dallo slogan regionale.

La situazione della sanità provinciale rilevata dal Corriere Padano

In un recente articolo a firma della giornalista professionista Antonella Lenti pubblicato sul settimanale Corriere Padano, relativamente alla situazione sanitaria nella nostra provincia vengono rilevate difficoltà comuni con il resto del BelPaese: fondi ridotti, mancanza di medici, infermieri e tecnici (peraltro, dicono, sottopagati), un servizio territoriale abbozzato e da completare, strutture da costruire e a cui assegnare un ruolo capace di essere vicini ai cittadini che chiedono servizi. Bene, e quale sarebbe la soluzione? Beh, la scelta di fatto del settimanale non sembra dar adito a dubbi: innanzitutto, in linea con gli attuali amministratori e politici regionali e locali, la costruzione di un nuovo ospedale nel capoluogo che appunto, diciamolo, significherà il superamento come luogo di degenze ‘generaliste’ degli “ospedali di prossimità” salva forse l’esclusione di Bobbio. Il progetto risale al 2015 quando l’assessore regionale Giovanni Venturi ne diede, tra lo stupore di molti – compreso almeno apparentemente l’allora vertice dell’Azienda USL -, formale annuncio durante un convegno in Sala Colonne. Nel tempo successivo all’enunciazione la Direzione Aziendale ha poi fornito una formale motivazione diciamo ‘tecnica’ per la scelta: l’operazione di finanziamento dovrebbe servire – come leggiamo su Corriere Padano – per realizzare un nuovo ospedale “concepito secondo i moderni principi della medicina che rispetto agli anni (pochi) dalla realizzazione del Polichirurgico e della ristrutturazione del vecchio corpo antico dell’attuale ospedale è molto cambiata grazie alle conquiste della ricerca e della tecnologia. Una rimodulazione degli spazi di una struttura ospedaliera è diventata indispensabile (secondo gli esperti è necessario che i blocchi funzionali siano collegati tra di loro perché la risposta al paziente deve essere sempre più multidisciplinare)“. Tutto vero: l’attuale distinzione tra reparti collocati nel Polichirurgico e altri negli edifici della antica struttura di via Taverna non risulta funzionale ma perché, semplicemente, non prevedere un ampliamento dell’attuale Polichirurgico? Un gruppo di tecnici diciamo “indipendenti” ha elaborato un progetto che andrebbe in questa direzione garantendo un grande risparmio di risorse. Da parte sua l’Azienda non ha perso un minuto per prenderlo in considerazione come del resto analoga posizione caratterizza gli amministratori pubblici cittadini. Sostanzialmente … un dialogo tra sordi!

Le attuali strutture presenti o programmate dal piano di riorganizzazione territoriale

Lasciando perdere considerazioni general generiche tipo l’opportunità da parte di chi amministra di presentare ai cittadini ‘paganti‘ chiari prospetti economici e tecnici che paragonino le due ipotesi (ampliamento attuale struttura oppure abbandono della stessa e costruzione di nuovo ospedale) e lasciando perdere un certo stupore di fronte alla dichiarazione del precedente Direttore Generale Baldino che chiariva di come l’eventuale nuovo ospedale sarà di semplice “sostituzione” dell’attuale e quindi senza nulla di nuovo sul piano clinico ovvero delle specialità presenti e del livello delle stesse, vediamo alcune notizie utili fornite da Corriere Padano: innanzitutto, attualmente i posti letto negli ospedali pubblici sono 747 dei quali 487 a Piacenza, 109 a Castello, 24 a Bobbio, 127 a Fiorenzuola ai quali vanno aggiunti i 343 posti letto delle strutture private accreditate (che quindi ‘accolgono’ e ricoverano di fatto pazienti a carico della finanza pubblica che quindi ‘sostiene‘ l’attività della cliniche private) cioè i 141 della Clinica Piacenza, gli 80 della Sant’Antonino, i 122 della San Giacomo per complessivi 1090 posti letto per gli attuali 285.943 abitanti distribuiti in 46 comuni.

I servizi territoriali

Quanto ai servizi territoriali contiamo su 8 case della salute o di comunità (a Piacenza, Podenzano, Monticelli, Cortemaggiore, Carpaneto, Borgonovo, Rottofreno, Bettola) mentre 4 sono ancora da attivare (a Lugagnano, Fiorenzuola, Piacenza e Bobbio).

La riorganizzazione territoriale parla poi di 10 ambulatori infermieristici presenti (Piacenza, Monticelli, Cadeo, Fiorenzuola, Lugagnano, Bettola, Podenzano, Rottofreno, Borgonovo, Carpaneto) e 12 gli ambulatori della cronicità, (Caorso, Cortemaggiore, Fiorenzuola, Lugagnano, Bettola, Podenzano, 2 a Piacenza, Rottofreno, Borgonovo, Bobbio, Carpaneto),  due Os.co da attivare (A Piacenza e Castel San Giovanni) come pure tre centrali operative territoriali (in Val d’Arda, in Val Tidone e a Piacenza).

Da osservare l’assenza di strutture in alta montagna, ad esempio il deserto ad Ottone dove una casa della salute o comunque un ambulatorio infermieristico sarebbe un servizio utile per la popolazione dell’alta Val Trebbi, da Zerba a Cerignale. Analoga riflessione potremmo auspicarla per Ferriere o per Gropparello e, in proposito, ci domandiamo se da parte di chi occupa le poltrone di Direzione dell’Azienda Usl non sia opportuno, qualunque sia la loro provenienza, visite conoscitive della realtà di chi abita nelle periferie della nostra provincia.

Il nuovo ospedale

Come puntualizza sempre Corriere Padano, “attorno al nucleo del futuro nuovo ospedale di Piacenza, secondo gli schemi allo studio, è previsto che ruotino alcuni satelliti: le reti ospedaliere periferiche, la rete territoriale sopra elencata, i processi di deospedalizzazione e le nuove strutture come il Centro di Assistenza e Urgenza (CAU) attivato lo scorso dicembre” con l’obiettivo di concentrare le strutture d’emergenza tradizionali sui casi più gravi eliminando le code che in precedenza allungavano i tempi di intervento (fermo restando che va ricordato che attualmente – o forse di conseguenza – i pronto soccorso delle strutture di prossimità già funzionano limitatamente alle 12 ore diurne come se nelle ore notturne gli abitanti delle nostre valli, in particolare anziani, non avessero problemi di salute).

Ma proseguiamo con l’esame dei dati tecnici. La superficie ospedaliera totale che dovrà essere realizzata nell’area 5 (all’interno del perimetro delineato dalla tangenziale) scelta dall’attuale amministrazione comunale si svilupperà su 117mila metri quadrati di cui 5 piani fuori terra e uno interrato (con il conseguente consumo di ulteriore suolo a possibile vocazione agricola). I posti letti saranno 498 a cui si aggiungeranno 80 posti letto flessibili da utilizzare in casi di necessità. Una sostanziale novità invece la previsione di un asilo (per le dipendenti mamme), un centro ricreativo per anziani, un’area di ristoro e un centro per le associazioni. Tutto apparentemente bello e accattivante ma … non è tutto oro quello che luccica.

I costi lievitano e c’è bisogno dei privati. Quali i tempi?

La realizzazione del nuovo ospedale viene definita dal Corriere Padano “opera grandiosa” per cui i tempi si prevedono lunghi. La direttrice generale dell’Ausl Paola Bardasi ha parlato di almeno ulteriori sette anni (ma sappiamo che per quanto alle opere pubbliche difficilmente i tempi inizialmente previsti vengono poi rispettati per cui non crediamo di essere portatori di malaugurio parlando di un tempo prevedibile tra i 10 e i 15 anni). Nel frattempo i costi lievitano e già siamo su una previsione arrivata a 300milioni per cui i fondi stanziati dalla regione non bastano più e si parla della necessità per 160milioni e 331mila euro di partenariato pubblico privato ovvero di soldi che dovrà garantire il futuro costruttore esterno. Una novità che ha colto di sorpresa provocando innanzitutto la reazione del Comitato Salviamospedale che parla di una decisione politica e in quanto tale opinabile da vari punti di vista in primis sui costi-benefici, sul consumo di suolo e sui tempi di realizzazione.

La posizione del Comitato Salviamospedale rispetto al prospettato finanziamento dal privato costruttore

Non usa mezze misure il Comitato, scrive il quotidiano Libertà nell’edizione del 30 marzo riportando il contenuto di un comunicato ricevuto: sul piano di coinvolgimento dei privati nell’impresa costruttiva e gestionale, riferisce il quotidiano, si parla di “sciagura“. In particolare – in una lunga nota il Comitato punta l’indice contro il “canone esoso“. Oggetto del contendere le affermazioni del Direttore Generale Ausl Bardasi che in Conferenza socio sanitaria ha parlato di una nuova struttura pronta nel 2032 con una spesa di 296 milioni (escludendo il costo per l’acquisto dell’area, ndr) di cui 160 a carico di un fantomatico partner privato. Una prospettiva che ha suscitato una presa di posizione molto critica da parte della sindaca di Rottofreno, Paola Galvani, ed ora da parte del Comitato: “Bardasi ha omesso di esporre, si legge nel comunicato, quantomeno una traccia di un piano economico finanziario, o peggio ancora, di riferire che tale piano non c’è“. Ma non solo: “si è dimenticato di comunicare che il partenariato pubblico-privato è uno strumento non adatto per costruire ospedali, per la semplice ragione che l’ospedale non ha flussi finanziari, come hanno, a titolo di esempio, le concessioni autostradali o un parcheggio, o una palestra“.

160 milioni dal privato costruttore? “Cifre enormi“, secondo il Comitato presieduto dall’avvocato Augusto Ridella

I 160 milioni messi dal privato saranno rimborsati mediante l’appalto dei servizi extra sanitari (pulizie gestione del calore e del freddo, manutenzione, pasti ecc.) e di conseguenza solo dopo l’entrata in funzione dell’ospedale medesimo – si fa notare – partiranno i pagamenti dei canoni ma ciò farà maturare interessi, che tenuto conto dell’Irs, il tasso interbancario a 10 anni, porterà la somma da rimborsare a 210 milioni. Nel caso in cui tale somma venisse rimborsata in 20 anni, mediante il sistema degli appalti dei servizi, con gli interessi aumenterà notevolmente fino a raddoppiarsi. Pertanto il finanziamento messo dal privato, con gli interessi si raddoppia.

Un altro problema riguarda i servizi offerti dal privato

Abbiamo ipotizzato che saranno ceduti i servizi al privato per 20 anni, ma la regola per pagare un canone più basso è di prevedere una durata di 30 anni. Il nuovo ospedale, pertanto, per un tempo abnorme (20/30anni), sarà gestito da un soggetto esterno che non si potrà cambiare anche se non fa la manutenzione, se la pulizia è scadente, se i pasti saranno di pessima qualità, fatto salvo il diritto, se verrà previsto, di risolvere il contratto, ma in questo caso, sarà quanto meno necessario saldare il debito e le penali“. Le imprese costruttrici, che fanno questo tipo di operazioni, cedono il credito a dei fondi di investimento. La conseguenza è che la controparte diventa sconosciuta e non ha alcun interesse a risolvere il contratto. Quindi sarebbe stato necessario presentare il piano economico finanziario ed in particolare di indicare quali garanzie. Senza considerare che con questa formula non sarà possibile avvalersi per i servizi, dei costi di mercato più competitivi per avere luce, gas, pulizie “ma l’Azienda dovrà accettare il pesante fardello di un contratto capestro“. Per far fronte a tutto si andrà ad intaccare la spesa corrente sui servizi sanitari (medici, infermieri, analisi ed esami) e ci si chiede perché i sindacati non si esprimano sul punto.

I conti in tasca

Per il Comitato sono state cambiate le carte in tavola strada facendo: “il costo previsto è passato da 156milioni 226mila 693 del 2019 a 259 milioni 940mila del 2021 a 305 milioni più costo dell’area nel giugno 2023. Arriviamo ad oggi e impariamo, DGR 211 del 12.02.2024 che i fondi pubblici sono diminuiti da 227 milioni a 135 milioni 807mila 711,94“. In pratica spariscono 91 milioni 192mila 288,06 di contributo pubblico e i ‘nostri’ protagonisti non dicono nulla, non danno alcuna spiegazione. Si affrettano a spiegare e magnificare la nuova ‘scommessa’ partorita dalla loro creatività, i soldi mancanti per arrivare a 296 milioni 138mila 405 euro e cioè 160 milioni 330mila 693,06 si troveranno attraverso il project financing con la collaborazione del privato“.

La proposta alternativa: la rigenerazione dell’attuale Polichirurgico

Sulle promesse della Regione è dunque lecito avanzare più di un dubbio vista la sparizione dei 91 milioni che erano stati ‘formalizzati’ nel 2021 così il Comitato avanza una proposta alternativa: “la rigenerazione dell’attuale nosocomio indicando dove recuperare gli spazi chiesti dagli operatori sanitari, dove recuperare i parcheggi mancanti eccetera. A tale proposta non si è mai dato risposta né si è mai aperto un confronto nel merito, continuando a proseguire pervicacemente una scelta che forse vedrà luce nel 2032. Quanto da noi proposto comporterebbe un costo inferiore, contenuto nel finanziamento pubblico ancora in essere ed eviterebbe di condannare al degrado una parte importante della città con la perdita dell’ospedale. Facciamo ancora una volta appello a tutti i piacentini perché si mobilitino per costruire assieme a noi l’ospedale nuovo in via Taverna“.

Concludendo

Certo un nuovo ospedale cittadino semplicemente rigenerando l’attuale Polichirurgico senza consumare ulteriore terreno agricolo, ma contestualmente, superando una visione piacentino-centrica, un piano di sviluppo chiaro e reale degli ospedali di prossimità anche per limitare nel limite del possibile il fenomeno del ‘turismo obbligato da ricovero’ che, in caso di declassamento degli ospedali di Fiorenzuola e di Castello (o addirittura di Bobbio), costringerebbe i pazienti in ogni caso ad allontanarsi dall’ambiente di vita. Infine adeguato sviluppo delle strutture della medicina del territorio (Case della Salute, ambulatori specialistici o infermieristico nei paesi) con particolare attenzione alle aree montane più lontane dai servizi della pianura.

Tutto questo dando atto che Regione, Azienda Usl e amministratori politici della Provincia e del Comune capoluogo costituiscono un muro sordo ad ogni richiesta di confronto che non sia monotematica ovvero comunque favorevole alla necessità di realizzare una nuova struttura ospedaliera letteralmente costi quel che costi. Un muro difficile da capire nelle sue motivazioni profonde e che sembra impossibile scalfire per cui un’avvertenza: solo un confronto aperto tra tutte le realtà territoriali interessate pre scindendo eventualmente anche da visioni partigiane di parte potrà produrre risultati nell’interesse generale di tutti i piacentini.

Claudio Arzani

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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