“Viva la sposa”, film di Ascanio Celestini, recensione di Carmelo Sciascia

Ci sono dei film di cui si parla tanto. Altri che passano inosservati. Non so perché non condivido spesso le recensioni dei film che compaiono sui giornali: a volte credo di saperlo troppo bene per parlarne. I film, come i libri, descrivono situazioni, private ed intime come i sentimenti, pubbliche e collettive come i comportamenti sociali. In certe opere tutte e due le situazioni. La crisi che vive oggi la società italiana produce opere cinematografiche come Suburra, di cui tutti ne hanno parlato e scritto, a proposito e spesso anche a sproposito. È la descrizione, questo film, dei tre poteri (degenerati) con cui tutti noi quotidianamente dobbiamo fare i conti: il potere politico (dei partiti), il potere religioso (della gerarchia clericale), ed infine quello della piccola delinquenza (della strada). Il regista è quel Sollima che già con ACAB, ci aveva mostrato altre forme di sofferenze familiari e delle degenerazione di rappresentanti dell’ordine pubblico.

C’è un tipo di sofferenza in questa società, di cui quasi nessuno parla. È meno spettacolare di quella politica, anche se da essa generata. Non comprende grandi nomi, di onorevoli, di finanzieri o religiosi. È la sofferenza degli esclusi. Di quella grande massa di gente che sopravvive, o meglio vive ai margini della società, lì dove è stata costretta ad essere posteggiata. Ascanio Celestini, con “Viva la sposa” rappresenta bene questa massa di diseredati, di gente che vive, come in un film in bianco e nero, nelle pieghe grigie di questa società. Lo aveva, a modo suo, già fatto con La pecora nera parlando della condizione dei malati mentali e dimostrando come poi la condizione di chi viveva all’interno di dette istituzioni non è così tanto diverso da chi vive nel mondo esterno, il nostro mondo, la nostra società. Il manicomio è un semplice condominio, migliore spesso di certi condomini cittadini, perché i condomini degli ospedali psichiatrici sono dei “santi”, i dottori dei Gesùcristi.
È stato un successo Suburra il secondo film di Sollima, lo sarà meno Viva la sposa il secondo film di Celestini. Sarà semplicemente un problema di marketing? I barconi dei profughi che affondavano nel mediterraneo non hanno colpito l’opinione pubblica come il corpicino di un solo bambino fotografato morto in una spiaggia. Non i migliaia di morti, tra cui donne e bambini, ma l’immagine di un solo bambino è stata capace di far cambiare politica perfino alla Germania della Merkel. Così per la nostra società (ed i i film che la ripropongono), colpisce di più un onorevole che viene arrestato in un albergo romano in preda agli effetti della droga ed agli spasmi del sesso che i tanti barboni che muoiono su cartoni, tra fetide coperte, sui marciapiedi, ai margini delle strade delle nostre città.
Testualmente il regista di Viva la sposa, Ascanio Celestini: “Nel mio film si parla di periferie che sono costantemente ignorate, ma nelle quali inevitabilmente le persone continuano a vivere. Lo fanno anche se non se le fila nessuno. Poi, a un certo punto succede qualcosa di eclatante. Un evento che potrebbe interessare i telegiornali con i giornalisti che accorrono per poi poter scrivere di periferie violente e degradate. Quartieri dormitorio.”
Le periferie delle grandi città, la miseria urbana che si mescola e diventa un tutt’uno con la miseria umana, la periferia del film è romana ma ricorda tanto la periferia di Milano. La miseria di Quarto Oggiaro con i suoi personaggi come sono stati descritti , non senza humor da Vito Piazza nel libro “Milanesi si diventa”. I bambini fanno quattro turni per andare a scuola, pensionati prigionieri del traffico e di scorrimenti veloci, emigrati che rimangono tali anche dopo generazioni, matti che sui mezzi pubblici proclamano la loro certezza su fatti storici alquanto dubbi.
Nicola (Ascanio Celestini), clown per bambini è il personaggio principale del film, vive stordendosi quotidianamente nell’alcool, è un emarginato che vive accompagnando un ragazzo ed a lui accompagnandosi, un innocente ragazzone figlio di puttana, nel vero senso del termine. La madre batte in una zona periferica della stessa periferia. La periferia è il Quadraro, zona C6 Q. VIII del Municipio di Roma, ce lo ricorda continuamente il barista con la sua scritta sulla maglietta. Non so, se la scelta del quartiere sia stata casuale o perché il Quadraro fu roccaforte di antifascisti, sfollati e poveri, che dovettero subire anche un feroce rastrellamento da parte dei tedeschi nel 1944. Di certo, quartiere popolare e di gente povera lo è sempre stato. Victor Hugo per parlare oggi di Miserabili avrebbe scelto probabilmente gli stessi quartieri, gli stessi personaggi: Salvatore, il figlio della prostituta Anna, il carrozziere abruzzese, Sabatino, con il fratello handicappato, che vive di piccole truffe, Sofia ragazza che vuole sempre partire ma rimane a dormire nelle vicinanze, a Cinecittà.
È una Italia senza speranza, non disperata ma semplicemente rassegnata, che a volte è anche peggio! È il fatalismo della tragedia greca che partendo dal Sud ha occupato l’Italia.
Nel film, sul finire, succede qualcosa di eclatante, qualcosa che riguarda la storia giudiziaria di questo paese. Ed il film prende una piega diversa, si anima, si agita, ci si sveglia dalla rassegnazione, ci si indigna….
Questa l’epoca dei fatti: Siamo nel 2008, ai tempi del quarto governo Berlusconi. Ministro dell’Interno è Roberto Maroni, leghista, orgoglio di Varese come del resto Mario Monti. Nel cimitero di Caravate (VA) una lapide ricorda Giuseppe Uva. Morto dopo essere stato fermato e trattenuto in una caserma della Repubblica italiana. Ci si alza dalla poltrona, un po’ confusi, si è visto un film o film diversi? quello di un’Italia senza speranza e rassegnata o un’altra Italia, quella ancora capace di indignarsi e di cercare la verità? Ed ancora: può la semplice immagine patinata di una bella sposa, ridarci fiducia nel futuro?

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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