Venerdì, festeggiati i 130 anni della Camera del Lavoro di Piacenza, la prima in Italia. E il mio cuore di vecchio compagno socialista ormai fuori tempo, sogna, vola, torna a casa

Innanzitutto un grazie di cuore a Gianluca Zilocchi, segretario confederale della Camera del Lavoro di Piacenza per avermi procurato il Pass grazie al quale sono potuto entrare nel salone di Palazzo Gotico e partecipare alla celebrazione, presente Maurizio Landini, dei 130 anni dalla fondazione della Camera del Lavoro piacentina, la prima in Italia. Certo, una bella manifestazione ricca di contenuti e di indicazioni nella direzione di un futuro di speranze per il mondo dei lavoratori e per i giovani, dopo gli anni del riflusso, dei Berlusconi, di Renzi, dello Statuto dei Lavoratori stravolto, del caporalato, del precariato, della negazione della dignità del lavoratore, del padronato imperante pronto a licenziare via whatsapp oppure a delocalizzare le industrie all’estero dove le paghe operaie sono ridotte all’osso.

La Camera del Lavoro di Piacenza, nata il 23 marzo 1891, è la prima sorta sotto i cieli d’Italia, precedendo Milano e Torino

Ma quello che ho vissuto, a prescindere dai contenuti della manifestazione, è stato “il ritorno a casa”, un andare dove porta la mia storia di vita, il mio cuore di vecchio compagno socialista, partecipe di “una storia che ci affida – come ha detto nell’introduzione Zilocchi – grandi responsabilità per il presente e per il futuro.” Bene ed io, io vivo, miracolato, ancora con voi, mi sono dichiarato presente! Presente nonostante il contagio di quella serpe che chiamano covid-19, per qualcuno una semplice influenza, un complotto dei governi dei potenti, un business delle case farmaceutiche, ma per quanto mi riguarda venerdì ho festeggiato (virtualmente) i 499 giorni dopo il rilascio dagli 88 giorni di ricovero ad un passo dalla morte, almeno 594 giorni oltre il contagio, poche ore dalla nuova visita della commissione per la verifica dello stato di invalidità fatta nella mattinata stessa nel palazzo sede dell’I.N.P.S., di fronte allo stesso Palazzo Gotico dove nel pomeriggio doveva svolgersi la manifestazione sindacale. Vivo, miracolato, una vicenda la mia che pare abbia fatto notizia. Me ne dà conferma Carlo Berra, che incontro in piazza vicino all’ingresso per salire al Salone d’onore. Compagno dei tempi di comune militanza nei Democratici di Sinistra (fino al 2007, fino a quando Walter Veltroni ha dichiarato la fine di quel percorso politico dando vita al Partito Democratico), non ci si vedeva da quella nefasta data. Sapeva, cosa che mi ha stupito, delle mie vicissitudini. Pare che il fatto abbia fatto scalpore anche nell’ambiente politico perché “eri un dirigente dell’Asl” quindi noto, conosciuto. Già. Direttore della direzione amministrativa di rete ospedaliera, quindi dipendente di ruolo amministrativo ovvero categoria a basso rischio, come attestato da un gruppo di medici (presunti) esperti in quel lontano febbraio 2020 quando ben poco si conosceva di quel feroce virus. Così nessuna tutela: negate le mascherine, nel corridoio dove era il mio ufficio venne aperto l’ambulatorio del Servizio di Prevenzione e Protezione per la tutela dei sanitari attivi nei reparti dove arrivavano i primi contagiati. Così ogni giorno nel corridoio che dovevo attraversare mi ritrovavo in mezzo ad assembramenti di 40 o 50 persone che tossivano, che lamentavano febbre, che in diversi casi se ne sarebbero andati con notizia del contagio in atto. E’ bastato poco e anche per me il termometro ha sentenziato una bruttissima notizia. Ma venerdì, 584 giorni dopo, eccomi, col mio bastone, leggermente claudicante, vivo, guarito dal covid-19 (polmonite interstiziale) ma non certo dal post covid-19, a parlare col compagno Carlo perso di vista da 14 anni, canzonandolo: “allora sei proprio diventato democristiano?“. Tralascio la rispostaccia e lo sguardo compassionevole di Jimmy Bonetti, negli anni settanta segretario della F.G.C.I. e mio fiero avversario ai tempi della giovanile socialista, poi lui centravanti ed io difensore in uno storico confronto a calcio tra le federazioni provinciali del P.C.I. e del P.S.I., tanti subdoli e vili calcetti da parte mia per fermarne l’irruenza fino al vendicativo calcione che – come ha voluto ricordare – non mi ha fatto mancare. Comunque non segnò e la sua squadra perse sul campo con un sonoro 1 a 0. Oggi Jimmy non gioca più, le due partite tra socialisti e comunisti non si giocano e non si giocheranno più, niente altre pedatine, oggi anche lui, ormai sindacalista pensionato, sta nel P.D. insieme a tanti ex democristiani. Ma, a lui, questo non lo dico. E finalmente entriamo e via ascensore saliamo al Salone d’onore di Palazzo Gotico, dove si svolgerà la manifestazione.

Il Salone d’onore di Palazzo Gotico

Ed ecco partire la saga dei ricordi. Anno 1970, fu il mio ’68, l’anno magico della contestazione a Piacenza. Le prime assemblee, il Movimento Studentesco. Entrare nel Salone da qualche anno riportato all’onor del mondo e la memoria mi riporta al giorno di un grande sciopero, uno dei primi, con centinaia di ragazzi di tutti gli istituti scolastici a discutere di voglia di libertà ed equità. Qualcuno seduto su vecchi scranni di legno, tantissimi seduti a terra, molto fumando, al megafono “Compagni, cazzo cioè...”, qualcuno ad amoreggiare sognando un futuro insieme. Nell’oggi del salone in ordine decoroso, comode bianche poltroncine con giusto distacco garantito, lo schermo secondo moderni tecnologici dettami, le telecamere fisse, le telecamere mobili in attesa degli operatori delle TV locali, i compagni nella C.G.I.L. hanno allestito una mostra, 13 pannelli con tante fotografie di storia delle lotte operaie per la difesa del lavoro, per la dignità e la sicurezza del lavoro in fabbrica, nelle campagne, nell’edilizia, nella logistica, nei servizi. Senza dimenticare le proteste studentesche per il diritto allo studio dei ragazzi figli dei lavoratori. Che, in quegli anni settanta, manifestavano seguendo gli striscioni del Movimento Studentesco. E tra quei tanti, con i jeans e l’eschimo d’ordinanza non di certo mancavo io. Per rivendicare facilitazioni negli orari e nei costi per chi veniva dalla provincia, per una didattica moderna che ci facesse capire il nostro mondo, la nostra storia, il passato recente per poter comprendere il presente e impegnarsi per il futuro che potevamo realizzare (era l’epoca d’una scuola ancora bigotta che si negava alla nostra richiesta di un’ora d’informazione d’educazione sessuale e nello stesso tempo era la scuola che con la scusa dei tempi col programma di storia dopo aver approfondito l’insegnamento del Risorgimento – chiamando brigantismo la resistenza del Sud e tacendo dei crimini dell’esercito d’invasione piemontese – arrivava ad accennare la Seconda guerra mondiale bypassando il ventennio fascista e non mai a parlare della Resistenza).

Una mostra che parte da tempi lontani, quando appunto nasceva il movimento socialista nel nostro BelPaese ed era ancora da venire la scissione comunista da parte di chi avrebbe scelto le teorizzazioni di Lenin sulla necessità di un’organizzazione armata impegnata nella direzione della dittatura del proletariato ovvero la dittatura di pochi intellettuali sul partito, soffocando la democrazia della libera partecipazione assembleare del popolo intero (richiamo ai primi Soviet ‘aperti’ poi irrigimentati da Lenin). Una mostra che attraversa la storia del movimento dei lavoratori fino ai giorni nostri passando attraverso immagini che hanno fatto parte del mio vissuto, a partire dalla fotografia di Juan Antonio Devaud che proprio alla Camera del Lavoro parlò del colpo di stato da parte di Pinochet (sostenuto dalla CIA degli americani) dal quale lui, socialista, dopo l’arresto, le torture subite, era stato costretto all’esilio cercando rifugio proprio nella nostra Italia. Durante la feroce dittatura, durata dal 1973 al 1990, furono torturate, uccise e fatte sparire almeno trentamila persone, tra cui gli uomini di Unidad Popolar (la coalizione di Allende), militanti dei partiti comunista, socialista e democristiano, accademici, artisti e musicisti (come Victor Jara), professionisti, religiosi, studenti e operai. Eravamo compagni e amici, io e Juan Antonio, spesso insieme sulle Feste dell’Avanti! dove lui serviva bevande cilene bruciabudella: in occasione del mio matrimonio con Dalila partecipò con un regalo che ancora conservo. Ricordo le sue lacrime (virtuali) quando mi raccontava che la mamma se n’era andata e lui quelle lacrime non poteva versarle sulla sua tomba laggiù, nella sua terra. Alla quale alla fine tornò una volta caduta la dittatura fascista. Una scelta di vita non certo facile: sua moglie Yvonne, i suoi tre figli ormai cresciuti nel nostro BelPaese qui sono rimasti. Era il 14 luglio 2008 quando in Arzyncampo ho pubblicato “Angoscia”, la poesia pubblicata da Vicolo del Pavone, con la quale Juan Antonio ricordava la madre che finalmente aveva raggiunto almeno nell’Altr/Ove dove Lei l’aveva preceduto (clicca qui per leggere).

Ma tra le immagini che arricchiscono i 13 pannelli della mostra il colpo al cuore definitivo eccolo, con la riproduzione di una pubblicità 1896 dell’Avanti!, il quotidiano del Partito Socialista prima della scissione. Eravamo negli anni ’80 ed iniziava la mia collaborazione col quotidiano che, tra l’altro, mi avrebbe portato all’ambito riconoscimento dell’iscrizione all’albo dei giornalisti pubblicisti (purtroppo, dovendo privilegiare le necessità economiche della famiglia e dei figli non ho potuto accettare i tempi lunghi del praticantato a scarso contenuto economico che poteva garantirmi il passaggio al professionismo). Il primo articolo – per quel che ricordo – parlava dell’avvistamento di un lupo sui monti piacentini, un ritorno ad un equilibrio ambientale dimenticato da anni. A seguire ricordo la pagina intera dedicata alla Centrale Nucleare di Caorso e ai problemi della sicurezza dei quali già si ipotizzava ben prima del disastro di Chernobyl. Sono stati momenti di grandi emozioni ad ogni articolo pubblicato. Un omaggio alla memoria di mio nonno Francesco, operaio nel forno del panettiere di Fiorenzuola, socialista, che papà andava a recuperare addormentato sul tavolaccio dell’ex cooperativa oppure in qualche angolo buio del paesello dopo le botte dei fascisti (per il sospetto che distribuisse il giornale clandestino del sindacato operaio) e lui, il giorno dopo, al Podestà anzichè quello bianco di farina portava pane di segale, quello nero. Una collaborazione poi conclusa quando decisi d’iniziarne una con un settimanale locale, Corriere Padano, collaborazione non gradita dal segretario del Partito ma, naturalmente, quella collaborazione resta una pietra miliare nella mia storia politica e personale (ricordando in particolare la collaborazione – spesso conflittuale ma di grande stimolo – con Antonella Lenti che venerdì invano ho sperato di incontrare tra i presenti).

Le nostre sedi sono un simbolo della democrazia“, ha detto Gianluca Zilocchi nell’introduzione, “giù le mani dalle nostre sedi, giù le mani dalla CGIL, giù le mani da tutto il Sindacato“. La grande CGIL, il principale Sindacato (con la S maiuscola) dei lavoratori, il primo, l’unico prima delle scissioni della CISL e della UIL. Una piccola ferita per il mio cuore che il post covid sta monitorando sperando di trovare un punto debole: nel 1983 con frequenza a tempo pieno per quasi un anno e stage in importanti industrie come Iveco Fiat e Industria Vernici Italia, ho vinto una borsa di studio per un corso sulla direzione del personale organizzato a Torino. Con la speranza di realizzare un sogno: dedicare la mia vita lavorativa all’Ires, il centro studi della C.G.I.L. e stavolta avevo l’appoggio di quello stesso segretario di Partito che mi aveva chiuso la porta della collaborazione con l’Avanti! Ma in politica tutto viene e tutto va, oggi alle stelle domani alle stalle. Forse fu quell’articolo su un mensile locale dove (moderatamente) esprimevo parere favorevole a favore di posizioni di Benvenuto, l’allora segretario della UIL. Chissà se fu per questo che l’Ires rimase un sogno grazie al veto posto da quel tal compagno socialista all’epoca in auge nel sindacato piacentino e che politicamente avevo sempre osteggiato all’interno del Partito. Vero o falso che fosse talvolta il destino birbone si diverte così quel compagno lo ritrovai rappresentante sindacale proprio della mia categoria una volta entrato in sanità. Il Sindacato che avevo nel cuore indiscutibilmente era ed è CGIL ma no, non potevo collaborare proprio con quel compagno. Così, quando un altro sindacato mi chiese di partecipare al tavolo delle trattative quale esperto con la mia Azienda, accettai nonostante il ‘prezzo’ fosse appunto l’iscrizione sindacale. Ma, alla fine, inevitabile andar dove ti porta il cuore così gli ultimi anni della mia attività lavorativa mi hanno finalmente visto con la tessera del MIO Sindacato in tasca salvo poi passare alla mia nuova categoria, quella dei pensionati. Con un dettaglio non certo secondario: il mio ultimo libro, “Nelle fauci degl’Agnelli”, quello dedicato ai tempi dell’illusione di collaborazione tra mondo dei lavoratori e potere del padronato (Fiat in particolare), è aperto non a caso dall’introduzione di Gianluca Zilocchi, appunto segretario della C.G.I.L. piacentina.

Ancora Gianluca ha ricordato con rammarico la vicenda del ddl Zan contro le discriminazioni di genere bloccato in Parlamento dalle logiche divisive imperanti nei partiti di centrodestra che, dopo aver approvato lo stesso provvedimento alla Camera, lo hanno affossato in Senato con la complicità dei franchi tiratori e dei deputati renziani in particolare (quelli eletti nelle liste del P.D. ma senza alcuna intenzione di dimettersi al cambio di casacca). C’è bisogno di cambiamento e a Piacenza in particolare abbiamo molte sfide: “l’ospedale nuovo, la nuova università di medicina, il rilancio della manifattura, il mondo degli appalti da rigovernare, la necessità di riordino e di riflessione sullo sviluppo della logistica“. Già, il tema degli interessi contrapposti: ricerca di maggiori opportunità di lavoro (appunto sviluppo della logistica con migliaia di camion che percorrono le nostre strade inquinando l’aria di polveri sottili) oppure tutelare l’ambiente, ascoltare i giovani di Friday for future, agire proprio per la riduzione delle polvere sottili che ci rendono realtà più inquinata in Regione e tra le prime tra i Comuni in Europa. Sarà necessario un riequilibrio tra le due necessità magari, ha proposto il segretario, con un’agenzia pubblica di governo della logistica che possa garantire sviluppo ed equilibrio complessivo superando la logica che ogni Comune proceda per conto suo in assenza di un necessario coordinamento provinciale, regionale, interregionale che possa equiparare i diversi interessi in gioco. Intanto ‘passa’ il video con in primo piano la testimonianza di Rinaldo Balduzzi, già segretario di federbraccianti prima e dello SPI poi che ricorda gli ottomila iscritti dell’inizio del suo mandato e i 23mila raggiunti alla conclusione dello stesso. Rinaldo, 91 anni, arzillo vecchietto in splendida forma, sta seduto in prima fila “perché è un pò sordo“, mi dice Ivo, il figlio che l’accompagna e si siede con me a ricordare i tempi di comune lavoro in ASL (Ivo ha raggiunto la pensione a sua volta, grazie alla quota 100 ora cancellata dal governo Draghi: a lui è andata bene per un soffio) e nel frattempo ecco al microfono Stefania Pisaroni, la collega allora consigliere comunale per il P.R.C. che con altri 13 selezionai per un avanzamento di carriera in Asl e che in seguito maturò la scelta sindacale diventando rappresentante di categoria in Funzione Pubblica. Stefania era presente ad una delle mie prime rap-presentazioni poetiche, per l’esattezza in Sant’Ilario, alla presentazione di “E’ severamente proibito servirsi della toilette durante le fermate in stazione“, il mio primo libro poetico, anno 2004/2005, e, salita sul palco, commentò “provaci ancora, Claudio” suscitando sospetti di avances sentimentali in certi amici (presunti) e compagni felloni quali Ferruccio Braibanti e Concetta Alberici oltre a conseguenti dubbi in Dalila – credulona nella fellonia di quei tali – che, di Stefania, per un pò di tempo non volle più sentir parlare. Laddove poesia, politica, fellonia, gelosia diventano un unicum inscindibile.

La compagna Stefania Pisaroni, rappresentante F.P.CGIL

Dopo Ivo ecco il saluto di Giuliano Zuavi, sindacalista, servizio d’ordine della giornata, di Castel San Giovanni, compagno nel vecchio Partito Socialista componente di sinistra, felice di vedermi comunque sostanzialmente in salute. Ecco Ferrante Trambaglio che dichiara di aver conservato la raccolta dell’Opinione Socialista di Piacenza, rivista alla quale ho contribuito per anni a mia volta. Ecco Fabrizio Achilli che ricorda quella copertina con tanto di foto mia e di Antonio Mosti a pugno chiuso in piazza Cavalli, scatto di Ferrante, “scatto ora diventato – come dichiaro – cartolina che distribuisco insieme al mio ultimo libro“. Ed ecco Antonio Mosti, reduce dalla presentazione insieme del libro proprio la sera prima a Gragnano Trebbiense. Insomma, un ritrovo della sinistra socialista d’un tempo, anche se le assenze sono davvero tante. Qualche fila più avanti ecco Carla Antonini, direttore ISREC, l’Istituto Storico della Resistenza, inavvicinabile, circondata da tanti protagonisti della serata. La ricordo partecipante alle riunioni del Circolo culturale ‘Il Maggio’ insieme a Millo Tirelli. Tempi lontani ma quest’estate era alla presentazione del mio ultimo libro alla Settimana della Letteratura di Bobbio, una presenza inattesa ma che ha rappresentato un riconoscimento gratificante. Ma ancora ecco, viene a salutarmi Emanuela Schiaffonati, segretario ai tempi di Sinistra Democratica dopo l’abbandono dei D.S. e la negazione dell’adesione al Partito Democratico.

Insomma, un ritorno a casa, un ritorno alla vita, di nuovo nel mio mondo, tra i miei compagni di sempre, a far conti con la mia storia e finalmente ecco Maurizio Landini che tuona contro i troppi posti di lavoro precario (“non si sta creando sufficiente lavoro e quel che si sta creando è precario“), contro una legge di Bilancio che evita di affrontare in modo serio e complessivo la riforma dell’uscita dei lavoratori dal mondo del lavoro (“noi stiamo proponendo l’introduzione di una pensione di garanzia per i giovani e per quelli che hanno lavori precari che altrimenti, giunti all’età dell’uscita dal mondo del lavoro, non avranno pensione alcuna o comunque non vedranno calcolati gli anni di lavoro a chiamata o precari o ancora senza contributi“). Occorre procedere nel senso della riduzione del carico fiscale per evitare l’espandersi delle situazioni di povertà e infine si tenga conto certo della “gravità dell’assalto alla nostra sede da parte di alcuni manifestanti anti No Pass ma non possiamo sottovalutare le sofferenze delle persone, quelli che manifestano non sono tutti fascisti“. Così la serata conclude, ci si avvia all’uscita, saluto la (ex) collega Asl Barbara Piccoli del settore Gestione Risorse Umane, la stragrande maggioranza scende servendosi delle scale che dal Salone d’onore riportano in piazza. Io con Dalila ancora in ascensore, il mio equilibrio è ancora instabile oltreché lento, meglio anzi d’obbligo la prudenza, evitare l’assembramento. All’uscita un sindacalista con tanto di giubbetto rosso e pettorina ‘organizzazione’, mi saluta. Ricambio ma con quella mascherina proprio non lo riconosco. Forse era il compagno Giuliano Zuavi. Sorrido ai poliziotti vigilanti l’ordine, andiamo camminando lentamente ed io col mio bastone leggermente claudicando (come ha detto un medico fisiatra, tale dottor Peveri) verso l’auto parcheggiata regolarmente in spazio riservato per invalidi: a fine anno, concluso il periodo d’invalidità temporanea concesso da luglio 2020 fino appunto al 31 dicembre 2021, Dalila non potrà più usufruire dell’opportunità. Ma chissà, la visita in mattinata presso la Commissione per l’accertamento dell’invalidità forse confermerà la situazione che di certo normale proprio non è. In ogni caso quel che importa è l’essere vivo, esser potuto ‘tornare a casa‘ – a tutte le case – che magari, come dicono i No Pass, il covid è tutta un’invenzione, una truffa, una banale influenza. Che, nel mio caso, ha picchiato duro ma i miei sogni, la mia voglia di vivere, di “tornare a casa” erano duri molto di più.

Maurizio Landini, segretario nazionale C.G.I.L. a Piacenza venerdì 29 ottobre 2021

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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