“Un viaggio”, riflessioni di Carmelo Sciascia di fronte ad un cartello di segnaletica stradale

Un viaggio può iniziare da un riferimento qualsiasi, una data, un luogo, un evento. Il mio viaggio di capodanno è iniziato con un cartello di segnaletica stradale. Un cartello che indica tre direzioni, due verso sinistra: Hotel Front de mer e Port de Plaisance, una verso destra: Gare. Il viaggio era già iniziato come percorrenza chilometrica  da un bel po’ (ero in Aquitania),  ma il viaggio come riflessione iniziava nel momento in cui mi soffermavo su quel cartello. Un viaggio si sa, può essere un attraversare luoghi, fare foto e filmati (oggi facilissimo con i cellulari o i tablet),   prendere appunti e segnarsi date. Il turista fa un viaggio perché vuole essere correlato all’istante in cui è stato presente in quel luogo, annotare per non dimenticare, per poter riferire al ritorno, documentazione alla mano, di essere stati in quel posto, nel tal giorno. Di essere in altri termini esistiti – esistiti come turisti -. Il turista non fa altro che fare coincidere  due dei più importanti elementi dell’esistenza umana, di operare una coincidenza spazio-temporale. Un problema quindi legato all’istante: il punto dove le coordinate del tempo e dello spazio si incontrano. Vedere nuovi località diventa un problema di memoria, in ultima analisi una memoria storica, una cronologia, una metafisica del tempo: essere sicuri di esserci stati, in quel luogo, in quel tempo! Personalmente non ho fotografato quell’indicazione con questo scopo. Non fotografo quasi mai, se non per operare un rimando, una riflessione sul passato. Fissare un momento dinamico del viaggio come un punto di partenza per un ritorno al passato o, un viaggio a ritroso,  un semplice ritorno a casa. Scrissi tempo addietro che si va in una località perché qualcuno ce ne ha indicato la via, dissi che ero stato a Praga per Kafka come di essere stato a Lisbona per Pessoa. Vado non per conoscere novità che mi aprano nuovi orizzonti ma per operare una riflessione sul passato. – Nulla a che vedere con “A la richerche du temps perdu”,  opera mai letta per la sua lunghezza, che probabilmente avrei respinta come fece André Gide (1912). 

Un viaggio non si misura con le distanze od i tempi impiegati, un viaggio si può fare spostandosi anche solo di pochi chilometri ed in un brevissimo lasso di tempo, come succedeva a Giorgio Morandi che viaggiava solo per andare da Bologna a Grizzana. Ecco cosa è successo con quel cartello segnaletico, trasformatosi nell’attimo che è stato visto e fotografato, da una semplice indicazione viaria, ad una riflessione sul senso, non solo di quel viaggio ma del viaggio in generale.

Un’assonanza vocale che come un elastico mi riporta da dove sono partito, da Plaisance a Piacenza. Toponomi che non hanno nulla in comune, se non il merito (o il demerito) di generare questa riflessione. Ho citato Proust, per dire come sono lontane le sue Ricerche dalle mie. Ma lo riprendo a pretesto perché è stato un grande ammiratore e studioso delle opere di un altro letterato francese nelle cui terre mi trovavo: Montaigne. È sua, non di Lello Arena la famosa frase che tanto ci ha fatto ridere del film “Ricomincio da tre” di Massimo Troisi: “chi parte sa da che cosa fugge ma non sa che cosa cerca”. Montaigne lo sapeva, perché in tutti i suoi viaggi cercava non i luoghi ma l’uomo! Era un filosofo e per di più scettico, ed allora cosa poteva cercare se non l’uomo? Ed anche lui, passando da Piacenza, perché c’è passato (1580/81 il suo viaggio in Italia, a Piacenza nel ritorno) avrà pensato alla sua Bordeaux ed al bacino di Arcanchon (dove si trova l’indicazione), come ho viceversa, pensato io? Il viaggio allora non sono le terre attraversate, sono lo stimolo per la continua ricerca dell’uomo. La ricerca di se stessi. Il viaggio è perdersi nei ricordi guardando una indicazione stradale, cercarsi in un insegna. Si dice di tanti italiani che quando viaggiano cercano un ristorante dove consumare un buon piatto di spaghetti, una buona pizza od un espresso come si deve. Lo stesso dicasi dei tedeschi, quando viaggiano cercano wurstel e crauti e birra. Lo stesso dicasi di tanti altra gente e popoli. Sarà prosaico ma tutto ciò sicuramente ha in se una profonda verità: il viaggio sono i viaggiatori. Anche questa, prima di fare la fine di Lello Arena del citato film, ammetto che non è mia ma di Pessoa, il quale va oltre affermando che quello che vediamo è quello che siamo. E se noi siamo stati un buon piatto di spaghetti, una buona birra o un morbido muffin, viaggiando continueremo ad esserlo, non c’è cucina tipica che tenga e tantomeno paesaggio che ci possa distrarre!

Nel riflettere e nel riflettermi nell’insegna stradale, sono rimbalzato a Piacenza, da dove probabilmente non ero mai partito.

 

Note esplicative sull’indicazione stradale:

“un port de plaisance (parfois confondu avec la marina) est un port situé en bord de mer ou de rivière, réservé aux bateaux de plaisance à voile et à moteur.”  Wikipédia.

Il porto cui si riferiva l’insegna era il Port de plaisance Bassin d’Arcachon.

Siamo  sulla costa atlantica,  dove si getta la Gironda, dopo aver lambito Bordeaux, così come il Po si getta nell’Adriatico dopo avere accarezzato Piacenza. All’assonanza vocale si potrà aggiungere quella geografica ?  Oh…oh… ecco un altro buon motivo per viaggiare !

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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