“Tra i bambini ancora colpiti da Chernobyl”, da Piacenza a Minsk, reportage di Roberto Rossi dal quotidiano Libertà

Un gruppo di bambini di Minsk giocano su un prato:

dopo 22 anni ci sono ancora conseguenze per il disastro nucleare

Foto quotidiano Libertà, edizione 26 aprile 2008

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Pochi giorni fa, il 26 aprile, una delegazione dell’Associazione Travo-Valtrebbia è partita per Minsk per incontrare i piccoli eredi del disastro di Chernobyl che, anche quest’anno, nell’estate saranno ospiti nelle case dei piacentini, un piccolo grande esempio di solidarietà umana che dura da 22 anni

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Mi permetto di proporre nel blog ampi stralci del reportage pubblicato da Roberto Rossi sul quotidiano Libertà, edizione del 26 aprile 2008, esattamente 22 anni dopo la notte del disastro

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Chernobyl: poster commemorativo di Edvardo Barrera, Mexico

 www.ukrainelist.com/archives/289

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Era il 26 aprile del 1986 quando l’intero mondo conobbe il dramma di Chernobyl. Oggi una delegazione piacentina dell’Associzione per l’adozione e il volontariato parte per la Bielorussia

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Era un pomeriggio piovoso, quel giorno di 22 anni fa. 26 aprile del 1986, l’intero mondo conobbe Chernobyl. Una lunga notte quella, una triste e tragica notte per l’intera umanità, indimenticabile per quella parte dell’est Europa. Chernobyl sorge in Ucraina, al confine con la Bielorussia e sarà proprio qui che 2/3 delle sostanze radioattive sollevate in aria dall’esplosione si depositerà, provocando effetti spaventosi.

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Quasi un quarto di questo paese rimarrà sepolto dalle radiazioni di una centrale nucleare sfuggita al controllo dei suoi operatori. Il più grave disastro tecnogeno della storia umana. E sulle sue conseguenze sociali, mediche ed ecologiche, dopo più di vent’anni non è stata ancora scritta la parola “fine”.

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Era un pomeriggio grigio, piovoso di un triste giorno di inizio primavera. Fuori dalla porta di casa nostra era arrivato da qualche anno Arturo, la centrale nucleare di Caorso che rimase in funzione dall’81 all’ottobre dell’86, chiusa proprio in seguito al disastro di Chernobyl.
Fu costruita su un progetto americano ed i suoi principi di funzionamento si basavano su una tecnologia già obsoleta, tanto che negli Stati Uniti non veniva più utilizzata. Le altre centrali nucleari in Italia erano quella di Montalto di Castro, mai messa in funzione, quella di Trino Vercellese che usava la stessa tecnologia di Chernobyl, mentre negli anni ’60 si ricorda quella di Garigliano, che sfiorò la tragedia per un guasto al sistema di spegnimento di emergenza del reattore.

Il dibattito attorno a quel tema era quindi più che mai acceso in quei tempi. Un caro amico, che lavorava proprio nella centrale di Caorso, mi raccontava come lui viveva le mille contraddizioni di quell’impianto.

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Lui come tanti suoi colleghi, parlavano dei sistemi di controllo, degli elevati costi di ogni piccolo attrezzo idoneo e certificato ad uso centrale, delle condizioni in cui si trovava ad operare il personale e di tanto altro.

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Il tema “nucleare” faceva parlare tanto e tanti, nelle piazze e nei bar, in tv e sui giornali. Veniva detto tutto ed il contrario di tutto. Le contrapposizioni portavano tecnici ed opinionisti, scienziati e tuttologi, giornalisti e politici a confrontarsi. E ancora oggi questo argomento è più che mai attuale.

I problemi non pare siano stati risolti, lo smaltimento delle scorie radioattive come anche la collocazione delle centrali, i costi, la gestione, la sicurezza lasciano ancora adito a parecchie perplessità. La produzione di energia elettrica è un argomento sul quale si interroga il mondo intero. Le soluzioni al vaglio sono diverse, da quelle che scivolano sul problema dell’impatto estetico ambientale come l’eolica, ai termoconvettori, ai pannelli solari.

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Un’altra soluzione, tornata in auge, è il nucleare. Non sono certamente a favore di questa scelta, ma ammetto di non avere tuttavia la preparazione necessaria per poter dire, in assoluto, è giusto oppure no.

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Voglio però sperare che i sostenitori di questa soluzione parlino con una cognizione di causa ben più significativa, con una consapevolezza ed una conoscenza che va al di là di meri interessi economici. Diversamente potrebbe voler dire che nemmeno Chernobyl è servito a qualcosa. Che non sono servite le sue vittime di 22 anni fa, che non servono le sue vittime di oggi.

Immagini della campagna bielorussa vicino a Minsk:

le conseguenze mediche ed ecologiche sui contadini

e sulla popolazione sono ancora molte

Foto quotidiano Libertà, edizione del 26 aprile 2008

Con l’Associazione “Travo -Valtrebbia per l’accoglienza e la solidarietà” siamo partiti per Minsk per visitare, in questi giorni di fine aprile, questi posti dove ha avuto luogo il più grande disastro nucleare della storia. Atterrati a Minsk, capitale della Bielorussia, subito in città per incontrare le famiglie e gli orfanotrofi da cui provengono i bambini che vengono ospitati nelle nostre case, [ a Travo, ndr ] da qualche anno a questa parte, nel mese di agosto.

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Un’esperienza importante, breve ma certamente intensa. Entriamo nella loro quotidianità, dividiamo con loro il nostro tempo, portiamo un sorriso, un abbraccio. E, come nelle precedenti esperienze che ho vissuto di questo tipo, sono sicuro che riceveremo tanto. Riceveremo il loro sorriso, i loro abbracci, leggeremo nei loro sguardi la speranza, nei loro gesti la gioia.

Che sarà la nostra speranza, la nostra gioia, quella di poter camminare insieme, quella di poter crescere uniti, come amici, come fratelli. Sensazioni che diventano quasi materia, che si concretizzano in ogni contatto, anche in una semplice stretta di mano.

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Era un pomeriggio grigio e piovoso quel giorno di 22 anni fa quando il mondo conobbe Chernobyl. Quando le loro vite venivano stravolte in pochi minuti, in una folle indimenticabile notte.

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Ricordo di Alina, splendida signora di notte arrivata dall’Ucraina

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Ukrainian woman, http://www.brides.kiev.ua/uman-women/lyudmila5252.htm

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Era una sera d’autunno del 1999, credo di ricordare. Eravamo ospiti di Claudio e Luigina, gestori del camping di PonteBarberino, in Val Trebbia, qualche chilometro prima di Bobbio. Fatto straordinario, essere ammessi nella loro abitazione civile, una villa costruita nel verde tra i monti dell’Appennino, a dominare una bella fetta della valle.

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Dalla strada sterrata sentimmo il rumore del motore d’una macchina in arrivo e, dopo poco, qualcuno bussò alla porta. Apparve così Alina, angelo biondo, poche strascicate parole in italiano con evidente accento russo, era bellissima nei suoi splendidi – ad occhio – quarantanni.

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Fu amore a prima vista. Virtuale, naturalmente, ma pur sempre amore. Col tempo avrei scoperto che Alina era colta, aveva studiato, in Ucraina, dove aveva lasciato i due figli. Sposa di un sottufficiale dell’Armata Rossa poteva definirsi benestante ma la vita, si sa, spesso riserva amare insospettate, inattese sorprese senza vie d’uscita.

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Il marito fu inviato a Chernobyl, all’indomani del disastro, quando si trattava di evacuare la popolazione e di seppellire col cemento il mostro liberato dall’errore umano.

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La radioattività è un nemico subdolo, del quale non ti avvedi, che ti afferra e lentamente ti consuma. Alina si ritrovò vedova. Senza diritto alla pensione: dopo anni di servizio nell’Armata Rossa sovietica il marito era passato a far parte del giovane esercito della conquistata indipendenza della Repubblica Ucraina e naturalmente il passaggio equivaleva ad un colpo di spugna sul passato con i russi.

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Così, per mantenere i figli, fu costretta a percorrere le vie dell’espatrio, a lavorare con ritmi massacranti, naturalmente in nero, nel campeggio gestito da Claudio e Luigina.

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Era bellissima, Alina e solo una cosa ci impedì di andar oltre a qualche significativo sguardo: in questa vita Dalila è la mia sposa e la mia compagna. Così in campeggio, dove Claudio e Luigina la portavano a lavorare, incontrò Roberto, non più giovane, idraulico, vedovo. Col parere contrario dei figli Roberto ebbe il coraggio di proporle di vivere insieme. Più vecchio d’una decina d’anni, non era bellissimo, mi confidò lei, ma di lei si prendeva cura.

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Sono passati diversi anni, da quei giorni. Non sono certo ma credo che oggi Alina e Roberto siano addirittura sposati.

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L’incubo dei giorni di Chernobyl è finito. Certo, da Alina non potrà mai essere dimenticato, resterà per sempre nella memoria della sua vita la tomba ormai lontana di un soldato che era suo marito, che avrebbe voluto veder crescere i suoi figli, che riteneva suo diritto invecchiare, spedizione in Afghanistan permettendo, di fianco ad Alina.

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Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

2 Risposte a ““Tra i bambini ancora colpiti da Chernobyl”, da Piacenza a Minsk, reportage di Roberto Rossi dal quotidiano Libertà”

  1. beh, che dire, stavo cercando qualche documento su Cernobyl per dare risposta a chi ancora oggi chi parla di centrali nucleari come il bene e il futuro dell’umanità e trovo questo bel blog che riprende il mio reportage di viaggio pubblicato da Libertà proprio riguardante quella drammatica terra. grazie all’autore di questo blog e avanti così, insieme, ad aiutare a capire chi ancora non sa…

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