“Storie di Chernobyl, di morte, di vita riafferrata per i capelli all’ultimo minuto: storia di Alina”, di Claudio Arzani

Lunedi 16 giugno 2014, in Libreria Fahrenheit 451, alla presentazione del mio racconto ‘Particelle bianche, impalpabili, invisibili provenienti dai cieli dell’Est’, ho concluso con il ricordo della storia di Alina, una storia legata alla tragedia nucleare di Chernobyl. Proprio come il racconto.

Era una notte. Non ricordo se tempestosa. Sicuramente buia. In una casa sul pendio del monte, il Penice, appennino tra l’Emilia e Genova. La fattoria con la stalla e il fienile a poca distanza. Eravamo ospiti dei gestori del campeggio qualche centinaio di metri (sul livello del mare) più a valle, in zona golenale, vicino al fiume, il Trebbia. Anzi, la Trebbia, uno dei pochi fiumi al femminile. Si potrà dire una fiuma? Non credo.

Dal cortile ad un certo punto arrivò il rumore d’un auto che slittava sulla ghiaia, frenando. Subito dopo due colpi di clacson. Roba da gangster. Mafia. Oppure Servizi Segreti. Ad esempio CIA. Oppure KGB, a seconda dei gusti.

Claudio, il padrone di casa, uscì nel buio della notte senza luna. Aprendo la porta permise l’invasione della stanza al canto dei grilli. Quindi, immaginammo, chiusa la porta anche per evitare la fuga del cane, scese le scale.

Una manciata di minuti, quindi la porta d’ingresso si riaprì cigolando e lei, un angelo, entrò nella stanza. Bellissima, coi capelli biondi, due occhi azzurro mare, un sorriso ammaliante e un alone di classe da ricordare una nobile russa in esilio dei primi del Novecento, sfuggita alla Rivoluzione d’Ottobre. 

Alina. Un angelo. Una Signora splendente di luce con un Montgomery blu. Mi sono alzato, l’ho abbracciata, baciata sulle guance, per un istante perso nel limbo azzurrognolo ove un’anima si perde ed esce dalla realtà. Purtroppo solo un istante. Poi, sfidando le occhiate torve di Dalila, legittima consorte, l’ammirazione, a bocca aperta, per come si muoveva, per come sorrideva, per come parlava. In un italiano che, con gentilezza, potrei definire di buona volontà e ridotti risultati. Eppure, anche in questo, di classe. Forse aveva 40 anni. Naturalmente, in proposito, non ho certo potuto chiederle notizie. Non si possono chiedere a nessuna donna. Tantomeno ad una Signore di nobili movenze, di gran classe come esprimeva in ogni gesto Alina.

Il marito, ho poi saputo, era ufficiale dell’Armata Rossa. Lei, con lui, ammessa alla frequenza della crema della Società sovietica. Lui, di nascita ucraino. Lei, la Sua consorte.

Al disfacimento dell’U.R.S.S. naturalmente lui è passato all’esercito della nuova nazione, la sua, l’Ucraina. Senza più diritti per quanto al passato. Così, quando la Nera Signora gli ha presentato il conto per le radiazioni assorbite cercando di fermare il drago scatenato fuoriuscito dal reattore esploso della centrale nucleare di Chernobyl in quel disgraziato aprile 1986, nessun risarcimento, nessun diritto alla pensione, nessunriconoscimento economico per gli anni passati indossando la divisa dell’Armata Rossa.

Alina? Con i due figli piccoli improvvisamente ha visto spalancarsi i cancelli della povertà. Non ha potuto far altro, lei donna di classe, che prendere il treno, studiare quelle poche parole d’italiano, contattare connazionali organizzati che in breve le hanno procurato un lavoro nelle nostre valli, sguattera in campeggio.

Naturalmente in nero, nessun diritto al riposo, paga inaccettabile per un italiano, vitto scarso, alloggio in roulotte fatiscente nella quale nessun turista voleva più dormire.

Al lavoro dalle 6 del mattino, fino alle 22. Pulizia dei bagni pubblici, anche tre, quattro volte al giorno, spesso ingolfati perchè i turisti mica badano al rispetto del lavoro altrui, quindi servizio al bar, per concludere con ogni altra necessità indicata dall’anziano proprietario.

Nel caso di visita della Guardia di Finanza o di qualunque altra persona in divisa, ordine di sparire, camufarsi da turista, oppure chiudersi nei bagni, in silenzio pena il licenziamento.

Chernobyl in testa, pensiero fisso nella mente. I figli lontani, rimasti con i nonni, i soldi per farli studiare. Lavoro duro. Sostanzialmente schiava. 

Ma Alina aveva classe. Non era donna da far la schiava a vita. Conosciuto proprio in campeggio, tra gli ospiti del campeggio un artigiano, certo di lei più anziano ma lui le ha offerto e chiesto compagnia. “Non è bello”, mi ha confidato Alina, “ma mi vuole bene, vuole prendersi cura di me”.

Lo ha seguito, ha accettato di essere assunta in una fabbrichetta, da operaia, per contribuire alle finanze della nuova casa e contemporaneamente sostenere i figli nella lontana Ucraina.

Oggi i figli, nella lontana Ucraina, sono laureati. Chiamano ‘nonno’, affettuosamente, il compagno di Alina. Lui e lei hanno acquistato una casa, nella lontana Ucraina, e periodicamente vanno a riunire la nuova famiglia ‘allargata’, come si usa dire oggi.

Non credo che quei figli siano filorussi. Chernobyl è lontana, un ricordo lontano quasi trentanni.

Il ricordo di una vita stravolta nel nome della follia umana, di un modello di vita che non esita a definire l’umanità una semplice formica che può essere sacrificata in nome di un progresso che tale non è.

Alina e i suoi figli. Baciati dalla fortuna. Il nucleare, che qualcuno senza vergogna definisce progresso, ha devastato la loro vita. Alina quella vita l’ha ripresa per i capelli. Sono migliaia, a Chernobyl come ora a Fukushima, coloro che non hanno avuto la stessa opportunità.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.