Socialismo scientifico (da Wikipedia)

Il socialismo scientifico è una forma di socialismo che, già nel XIX secolo si distinse, in primo luogo, dal precedente socialismo utopistico, e poi dal socialismo libertario per un’analisi e una comprensione all’epoca considerata scientifica dai suoi maggiori teorici.

Al di là delle diverse posizioni individuali di sociologi, filosofi, politici ed economisti che lo hanno commentato, il socialismo scientifico era ed è in ogni caso basato su uno studio analitico delle leggi della storia e della società; su questo studio basa argomenti, obiettivi e principi, contrariamente all’elaborazione da essi stessi considerata astratta e aprioristica del modello sociale utopico. Il socialismo scientifico è una teoria di base tuttora largamente presente sulla scena della teoria politica e sociologica.

Il termine socialismo scientifico venne coniato da Pierre-Joseph Proudhon nella sua opera Che cos’è la proprietà?,dove usò il termine per riferirsi a una società governata da un governo scientifico – quindi una società governata dalla ragione:

«Così, in una determinata società, l’autorità dell’uomo sull’uomo è inversamente proporzionale alla fase dello sviluppo intellettuale che quella società ha raggiunto; E la probabile durata di tale autorità può essere calcolata dal desiderio più o meno generale per un vero governo, cioè per un governo scientifico. E proprio come il diritto della forza e il diritto dell’inganno si ritira prima nel progresso della giustizia, e poi si estingue nell’uguaglianza, così la sovranità della volontà darà la precedenza alla sovranità della ragione, che deve alla fine perdersi nel socialismo scientifico.»

Sintesi e contrasti tra i differenti “socialismi”

Il socialismo scientifico si basa fondamentalmente sugli strumenti forniti dall’approccio dato dal materialismo storico , l’applicazione del materialismo dialettico alla storia delle società umane. Sebbene Marx si sia occupato soprattutto del materialismo storico, è possibile rintracciare un’importante elaborazione teorica di carattere marxista anche riguardo alla storia naturale (di cui secondo la filosofia materialista la storia dell’umanità è una parte).

Il socialismo scientifico utilizza il materialismo come uno strumento con cui scardinare il sistema sociale esistente, e parte come già detto da presupposti filosofici: il materialismo dialettico, in cui “dialettico” esprime l’inclusione nel punto di vista materialista della consapevolezza della dinamica interconnessione tra i processi e dell’universalità del mutamento. Tutto è soggetto ad autotrasformazione, dovuto al fatto che i contenuti son costituiti da forze “contraddittorie”, nel gergo del filosofo tedesco Hegel, si teorizza che ciascuna cosa si muti costantemente in qualcosa di diverso da sé. In tale contesto, pertanto, si ripudiano il meccanicismo inteso come materialismo non dialettico e la metafisica nel senso dell’ontologia idealista.

Utopici e scientifici

I primi teorici del socialismo scientifico furono Karl Marx e Friedrich Engels, che definirono la distinzione tra le due forme di socialismo. Essi sentirono la necessità di distinguere le proprie teorie da quelle di Saint-Simon, Fourier, Owen accusati di avere aspirazioni troppo ideali, per l’appunto “utopiche”; sebbene è pur vero che gli stessi Marx ed Engels ammisero di essersi in parte ispirati alle prime. Tuttavia il socialismo di Marx si distingue fondamentalmente in due punti dalle teorie dei suoi predecessori.

Innanzitutto Marx offre una critica della società capitalista “totale” rispetto a quella parziale operata da Robert Owen, critica resa possibile dall’ottima conoscenza che egli aveva del rapporto fondamentale sul quale si basava la società dell’epoca: il rapporto economico.

La seconda differenza fondamentale sta nell’inserimento marxiano del socialismo all’interno di un’analisi economica evolutiva; tale differenza ha come motivo di base la diversa concezione di Marx di “società” rispetto a quella delle prime forme socialiste: mentre per queste ultime la società è un qualcosa di finito in sé stesso, Marx credeva invece che anche la società del futuro sarebbe stata in continua evoluzione e modificazione; per questo la si può considerare solo in linee generali senza fare progetti precisi e finiti.

Il socialismo scientifico di Marx, sinteticamente ne Il Manifesto propone una lettura della storia sotto la lente del concetto di lotta di classe: il motore della storia è nel contrasto tra una piccola élite (la classe borghese), che possiede o controlla i mezzi di produzione e la grande maggioranza di persone, che non possiede nulla, oltre la propria forza lavoro.

Nella fase storica descritta il capitalismo è qualitativamente connotato, come in (quasi) tutti i modi di produzione precedenti dalla dominanza di almeno una classe sociale su un’altra. Nello specifico i capitalisti, quindi la borghesia che detiene i mezzi di produzione domina sulla classe subordinata, il proletariato, ossia coloro che devono vendere la propria abilità al lavoro in cambio del salario, attraverso lo sfruttamento di questi ultimi che si concreta nel pagamento di una parte della giornata lavorativa, mentre la restante parte il plusvalore è la radice sociale del profitto. Poi ne Il Capitale, Karl Marx analizza la compravendita della forza lavoro dai lavoratori in cambio del risultato dell’attività produttiva ottenendo così un profitto (teoria del valore e teoria marxiana del valore). Per Marx se le classi lavoratrici di tutti i paesi prendessero coscienza dei loro comuni obiettivi, si unirebbero per rovesciare il sistema capitalista, secondo la logica di una razionalità hegeliana, risultato inevitabile di un processo storico in atto; qualora il socialismo non fosse riuscito ad imporsi, ne sarebbe conseguito l’imbarbarimento della società attraverso la rovina delle classi in lotta.

Dalle rovine del capitalismo sarebbe sorta una società in cui, dopo un periodo di transizione (dittatura del proletariato), ove lo Stato avrebbe controllato i mezzi di produzione, in seguito lo Stato sarebbe stato destinato a dissolversi. in tale contesto la proprietà privata sarebbe stata limitata agli effetti personali (proprietà individuale) e la proprietà collettiva dei mezzi di produzione sarebbe stata la fine della divisione della società in classi sociali, la fine dello sfruttamento e la piena realizzazione dell’individuo[2]. Una tale società sarebbe stata costruita attorno all’economia del dono “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue necessità.” L’idea di dissoluzione dello Stato si sarebbe poi abbandonata, facendo coincidere le due fasi, soprattutto con l’evolversi della evoluzione storica.

Anarchici e marxisti

Sia secondo Bakunin che secondo Marx bisogna superare il sistema capitalistico ed abolire lo Stato in quanto sistema gerarchico, ma secondo Marx bisogna passare prima attraverso una fase di transizione chiamata dittatura del proletariato. Anarchismo e marxismo furono in origine ideologicamente molto vicini, ma l’anarchismo si distaccò dal marxismo successivamente al socialismo reale (realizzato), in quanto esso era troppo lontano dalle loro idee libertarie. Tali idee sono condivise anche dai marxisti consiliaristi e luxemburghisti.

Quando Proudhon pubblicò un volume intitolato Filosofia della Miseria, Marx rispose con il pamphlet Miseria della filosofia. Lo scontro tra anarchici e marxisti divampò all’interno dell’Associazione internazionale dei lavoratori (Prima Internazionale). Tra il 1871 e il 1872 Marx ed Engels riuscirono definitivamente a mettere gli anarchici in minoranza e a farli espellere dall’Internazionale.

Il più importante teorico anarchico del primo periodo è sicuramente il russo Michail Bakunin, che espose la sua dottrina per lo più in Stato e anarchia. Per Bakunin libertà e eguaglianza erano due obiettivi inscindibili. Lo Stato, con la sua divisione tra governati e governanti, tra chi possiede la cultura e chi esegue il lavoro fisico, era in sé stesso un apparato repressivo e doveva essere dissolto senza il passaggio per una fase intermedia.

Bakunin individuò gli equivoci e i possibili rischi della nozione di Marx di dittatura del proletariato. Secondo Bakunin il marxismo era l’ideologia di quella che chiamava “élite della classe dominata”, avviata a diventare classe dominante a sua volta e in particolare era l’ideologia degli intellettuali sradicati. La conquista del potere da parte dei marxisti, secondo Bakunin, avrebbe portato non alla libertà ma a una dittatura tecnocratica.

«Se c’è uno Stato ci deve essere per forza dominio di una classe sull’altra… Che cosa significa che il proletariato deve elevarsi a classe dominante? È possibile che tutto il proletariato si metta alla testa del governo?»

Il modello proposto da Bakunin era quello di una libera federazione di comuni, regioni e nazioni in cui i mezzi di produzione, collettivizzati, sarebbero stati direttamente nelle mani del popolo tramite un sistema di autogestione.

«Marx è un comunista autoritario e centralista. Egli vuole ciò che noi vogliamo: il trionfo completo dell’eguaglianza economica e sociale, però, nello stato e attraverso la potenza dello Stato, attraverso la dittatura di un governo molto forte e per così dire dispotico, cioè attraverso la negazione della libertà.»

«Gli anarchici ci hanno abbastanza rinfacciato lo “Stato popolare”, benché già il libro di Marx contro Proudhon e in seguito il Manifesto comunista dicano esplicitamente che con l’instaurazione del regime sociale socialista lo Stato si dissolve da sé e scompare. Non essendo lo Stato altro che un’istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per schiacciare con la forza i propri nemici, parlare di uno “Stato popolare libero” è pura assurdità: finché il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell’interesse della libertà, ma nell’interesse dello schiacciamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere.»

Idee simili a quelle di Bakunin furono sviluppate da Pëtr Kropotkin, suo connazionale, scienziato oltre che filosofo. Criticando il darwinismo sociale che fungeva da giustificazione alla competizione capitalistica e all’imperialismo, nel suo saggio Mutual Aid (1902) Kropotkin si propone di dimostrare come tra le specie animali prevalgano la cooperazione e l’armonia. Proprio cooperazione ed armonia, senza necessità di una stratificazione gerarchica, dovrebbero essere i principi dell’organizzazione sociale umana. Kropotkin prende ad esempio le poleis greche, i comuni medievali ed altre esperienze storiche come esempi di società autogestite. L’etica non dovrebbe essere imposta dalle leggi dello Stato ma scaturire spontaneamente dalla comunità. Come Bakunin, Kropotkin si augura la scomparsa dello Stato e l’instaurazione di un comunismo federalista, autogestito e decentrato. Il comunismo anarchico esacerberà il distacco da quello di matrice marxista anche nel secolo XIX, con contrapposizioni violente anche durante la rivoluzione sovietica. Il modello proposto da Bakunin era quello di una libera federazione di comuni, regioni e nazioni in cui i mezzi di produzione, collettivizzati, sarebbero stati direttamente nelle mani del popolo tramite un sistema di autogestione.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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