“Sei fascista ma ebreo? Nessuna pietà dalle camicie nere fasciste e dalle SS naziste”. Storia dell’eccidio a Verbania Intra di Ettore Ovazza, banchiere, fascista, ebreo.

Il Comune di Piacenza (su iniziativa in particolare dell’assessore alla cultura Jonathan Papamarenghi) ha in dirittura d’arrivo la collocazione d’una pietra d’inciampo a commemorazione di Ettore Richetti, fascista convinto ma suo malgrado ebreo e come tale catturato dai suoi compari, incarcerato e consegnato alle SS naziste per essere trasferito e assassinato nel campo di concentramento di Dachau. Una scelta, quella comunale, da più parti definita quantomeno inopportuna: un fascista rappresenta pur sempre un esempio certo in contrasto con la storia della città impegnata nella Resistenza e, più in generale, con i valori della democrazia. Da parte mia la valutazione della collocazione o meno della pietra d’inciampo a commemorazione di Richetti perseguitato in quanto ebreo dai suoi stessi camerati per razzismo e nel nome d’una cultura politica di violenza, risulterebbe una chiara scelta antifascista e di condanna del regime. Esattamente come nel caso dell’omicidio di Ettore Ovazza, a sua volta fascista – di primo piano – ma ebreo, assassinato a Verbania-Intra nel 1943 con la famiglia: una strage commemorata non da esponenti della destra ma dal “Comitato della Resistenza nel Verbano” con la collocazione d’una lapide a memoria. Così, come a Verbano una lapide rappresenta denuncia e condanna di un regime che non esitava a perseguitare i suoi stessi sostenitori, nulla vieta la collocazione d’una pietra d’inciampo a Piacenza che assumerebbe un chiaro significato antifascista. Fermo restando che, oltre al caso di Richetti, nulla vieterebbe venissero collocate altre pietre d’inciampo a memoria di altri ebrei piacentini sionisti o antifascisti assassinati da Repubblichini fascisti e SS nazisti (come del resto avvenuto per quanto ai comuni di Carpaneto e di Castel San Giovanni).

Ettore Ovazza (Torino, 21 marzo 1892 – Verbania-Intra, 11 ottobre 1943) è stato un banchiere, imprenditore di religione ebraica, esponente del Partito Nazionale Fascista fino alle leggi razziali del 1938, che lo estromisero dalla vita politica. Volontario al fronte divenne tenente d’artiglieria. Fascista della prima ora, nell’ottobre del 1932 partecipò alla marcia su Roma delle camicie nere.

Essere ebrei e fascisti non era affatto raro nell’Italia degli anni Venti. Molti membri della prima ora del PNF erano ebrei. Ovazza fu attivo all’interno della comunità ebraica di Torino per guadagnare consenso a favore del fascismo. Nel 1929 incontrò Benito Mussolini, rimanendone entusiasta.

Faceva parte di una delegazione di veterani di guerra ebrei e in seguito ha descritto l’incontro: Ascoltando la mia affermazione dell’incrollabile fedeltà degli ebrei italiani alla Patria, Sua Eccellenza Mussolini mi guarda dritto negli occhi e dice con voce che mi penetra dritta al cuore: ‘Non ne ho mai dubitato’. Quando il Duce ce lo dice addio con il saluto romano, sento la voglia di abbracciarlo, da fascista, da italiano, ma non posso, e avvicinandomi alla sua scrivania gli dico: ‘Eccellenza, vorrei stringerti la mano’. non è un gesto fascista, ma è un grido dal cuore… Tale è l’Uomo che la Provvidenza ha donato all’Italia”.

Nel 1934 fu tra i fondatori della rivista La Nostra Bandiera, che intendeva “fascistizzare” tutta la comunità ebraica italiana ed estirparne gli indifferenti, i sionisti o gli antifascisti. Cercò di arruolarsi volontario per la guerra d’Abissinia, ma non fu accettato probabilmente per limiti d’età visti i suoi 43 anni. Malgrado la campagna filofascista condotta su La Nostra Bandiera e il tentativo di fascistizzare l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (nel 1937 creò con il generale Raffaele Liuzzi il Comitato degli italiani di religione ebraica), la legislazione anti-ebraica del 1938 lo costrinse a cedere la banca di famiglia e a lasciare il PNF. Il fratello Vittorio fu costretto a lasciare l’esercito.

Dal 1938 infatti, quando furono approvate dal regime fascista una serie di leggi antisemite, agli ebrei non era più permesso di sposare italiani “ariani”, di mandare i propri figli nelle scuole statali, di assumere servi italiani o di essere nell’esercito. Molto più dannose erano le regole che stabilivano che non potevano impiegare più di 100 persone, o possedere terreni o edifici di valore. Nel 1939 gli ebrei furono banditi da tutti i lavori qualificati; negozi e caffè esponevano cartelli che dicevano che gli ebrei non erano più i benvenuti. Le organizzazioni ebraiche furono sciolte e molti ebrei si convertirono al cattolicesimo o emigrarono all’estero. Ciò pose fine all’attività commerciale e bancaria di Ovazza che appunto fu inoltre espulso dal partito fascista e suo fratello dall’esercito.

Nel 1939 tutti gli ebrei dovettero abbandonare le proprie professioni. Alcuni ebrei si suicidarono, altri si convertirono al cattolicesimo. Alcuni cercarono di ottenere la “discriminazione”, altri emigrarono in America o in Palestina. Ma la maggioranza restò in Italia, convinta che il Duce non avrebbe mai acconsentito a una persecuzione antisemita di modello tedesco.

Mentre dunque i due fratelli di Ettore lasciavano il paese consigliandogli di fare lo stesso, lui continuava a sperare che il Duce cambiasse le sue opinioni. Scrisse una lettera angosciata a Mussolini, esprimendo il suo dolore:Era tutto un sogno che abbiamo coltivato? Non ci posso credere. Non posso pensare di cambiare religione, perché questo sarebbe un tradimento – e noi siamo fascisti. E allora? Mi rivolgo a Lei – DUCE – affinché in questo periodo, così importante per la nostra rivoluzione, non escludi quella sana parte italiana dal destino della nostra Nazione“.

Dopo l’8 settembre 1943 e la fine dell’alleanza italo-tedesca, i fascisti Repubblichini iniziarono a catturare gli ebrei italiani per consegnarli alle SS che provvedevano all’invio nei campi di concentramento e sterminio oppure all’assassinio in via diretta.

I primi omicidi di massa degli ebrei avvennero sul Lago Maggiore a metà settembre da parte del 1º Battaglione del 2º Reggimento della 1ª Divisione Panzer SS “Leibstandarte SS Adolf Hitler”, che stazionava sulle rive del lago. Per la precisione, tra il 13 settembre e il 10 ottobre 1943 furono uccisi almeno 57 ebrei in nove località (Baveno, Arona, Meina, Stresa, Orta, Mergozzo Novara, Pian Nava, Verbania Intra): si tratta della prima strage di ebrei avvenuta in Italia, la seconda per numero di vittime dopo quella delle Fosse Ardeatine.

All’inizio di ottobre, Ettore Ovazza si trovava con la moglie Nella Sacerdoti e i figli Riccardo ed Elena nell’Hotel Lyskamm di Gressoney-Saint-Jean, in Valle d’Aosta. Dopo aver liquidato i propri beni, intendevano fuggire nel Canton Vallese. Riccardo si unì a un gruppo di prigionieri croati e cercò di raggiungere la Svizzera prima della sua famiglia. Fu arrestato dalla polizia di confine svizzera, che lo condusse a Briga e lo mise su un treno diretto in Italia. Nella stazione di Domodossola fu denunciato e arrestato dalla polizia segreta militare tedesca, che lo tradusse nella scuola elementare per fanciulle di Verbania-Intra usata dal battaglione della Leibstandarte SS Adolf Hitler, capeggiato dall’Obersturmführer Gottfried Meir.

Dopo avergli fatto rivelare il nascondiglio della sua famiglia, le SS lo assassinarono e il 9 ottobre bruciarono il suo cadavere nella stufa della cantina della scuola. Lo stesso giorno, un’unità delle SS raggiunse la valle di Gressoney, catturò Ettore, 51 anni, Nella Sacerdote, 41 anni, Riccardo, 20 anni, Elena, 14 anni trasportandoli a Intra. L’11 ottobre vennero uccisi, i corpi furono poi bruciati nella caldaia della scuola di Verbania Intra. Il motivo dell’atto fu dettato probabilmente anche dall’avidità d’impossessarsi dei gioielli e del denaro della famiglia Ovazza. Ettore non sopravvisse quindi alla Shoah.

L’amministrazione comunale di Verbania Intra 35 anni fa pose una lapide a commemorazione dell’eccidio della famiglia Ovazza.

Fonti: wikipedia.it, alchetron.com, ecosistemaverbano.org

La lapide posta nel 1983 nella scuola di Verbania Intra

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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