Sabbioneta: nella Sinagoga dove i maschi per obbligo coprono il capo con la Kippah ma le donne, no!

Un’interessante esperienza personale: la visita alla sinagoga di Sabbioneta, luogo di culto ebreo. I primi ebrei arrivarono a Sabbioneta nel 1436, mentre nel 1937 venne sepolto nel locale cimitero ebraico l’ultimo esponente della comunità. La comunità ebraica sabbionetana costituì, già nella seconda metà del Cinquecento, una ricca borghesia che aveva investito soprattutto in terreni il denaro proveniente dall’esercizio del “prestito” (attività negata ai cattolici). Gli ebrei poterono arricchirsi progressivamente grazie al clima di tolleranza dovuto al governo illuminato di Vespasiano Gonzaga e alla sua lungimiranza (stamperia, sinagoga, cimitero, zecca), che aveva impedito la loro segregazione in un ghetto. Vissero liberamente nella città, perfettamente integrati alla popolazione di confessione cattolica, esercitando liberamente il loro culto.

La Sinagoga, luogo di culto e di riunione della comunità ebraica della città, fu costruita nel 1824 nello stesso edificio dove si trovava la precedente, più piccola, sala di preghiera. Vi si accede da uno scalone che, con quattro rampe, porta alla sala di preghiera; ulteriori due rampe conducono al matroneo. Un vero piacere, per me con tanto di stampelle e piede sinistro con ampia fasciatura per il recente intervento chirurgico con inibizione da circa due mesi di fare anche le sole due rampe di scale di casa. Fortunatamente inibita la salita al matroneo: un tempo riservato alle donne, ai giorni nostri per me, due rampe risparmiate!

Comunque, come racconta la gentile e cordiale ragazza della biglietteria, attualmente la Sinagoga di Sabbioneta è di proprietà della Comunità Ebraica di Mantova, venne riaperta al pubblico nel 1994 dopo decenni di abbandono seguiti allo scioglimento della locale Comunità. Un’annotazione: il Tempio si trova nella parte superiore dello stabile per rispettate il precetto secondo il quale tutte le sinagoghe non devono avere nulla al di sopra se non il cielo. Ecco spiegato il perché dei tanti scalini.

Ma quali sarebbero le differenze tra cristianesimo ed ebraismo? Molto superficialmente considerato che non ho mai avuto rapporti con questo mondo del quale ben poco conosco: i Cristiani riconoscono in Gesù il Messia venuto tra gli uomini per annunciare il Regno dei Cieli e morto in croce per mondare l’umanità intera dai suoi peccati. Per gli Ebrei invece Gesù fu un semplice profeta, e attendono ancora l’arrivo del vero Messia. Di conseguenza non riconoscono il Nuovo Testamento, in quanto incentrato su Gesù, e la croce per loro non ha un particolare valore religioso.

Detto questo, un altro particolare che mi ha colpito è stato l’invito – fermo e imprescindibile – da parte sempre della ragazza della biglietteria di indossare la Kippah, il particolare copricapo che è obbligatorio in sinagoga per gli uomini secondo la prescrizione di non presentarsi a capo scoperto dinanzi a Dio. E quanto a Dalila? Niente. In effetti anche le donne userebbero coprirsi il capo, con la Kippah o più semplicemente con altro copricapo (potrebbe anche essere, se sposate, una parrucca) ma, al contrario di quanto avviene per gli uomini, manca la caratteristica dell’obbligatorietà per cui Dalila non ha avuto difficoltà ad entrare in Sinagoga a capo scoperto.

Insomma, una questione curiosa da approfondire per cui … appuntamento – prima o poi – a Mantova, dove la comunità ebraica è ancora presente.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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