“Ricordo di Yelena, splendida signora, arrivata dall’Ucraina, vedova di Chernobyl”, dal romanzo-testimonianza “Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo”, di Claudio Arzani, Pontegobbo edizioni, 2016

Era una sera d’autunno del 1999, credo di ricordare. Con Dalila ero ospite di amici, in Val Trebbia, nella fattoria sulle pendici dell’Appennino, in una zona a qualche chilometro dalla frazione più vicina, nel buio d’una serata d’autunno avanzato. Una villa costruita nel verde tra i monti dell’Appennino piacentino, a dominare una bella fetta della valle. Evitando l’abbaiare furioso del cane, fortunatamente legato alla catena, avevamo ammirato le luci che sfavillavano giù, più a valle, verso i 250 metri sul livello del mare, dove stava Bobbio.

Rientrati in casa, dalla strada sterrata sentimmo il rumore del motore d’una macchina in arrivo e, dopo poco, qualcuno bussò alla porta. Apparve così Yelena (più amichevolmente, Lena), angelo biondo, poche strascicate parole in italiano con evidente accento russo, era bellissima nei suoi splendidi – ad occhio – quarantanni.

Per i suoi modi, la sua innata eleganza, da vera Signora, rimasi di stucco: che ci faceva lontanissimo da casa sua?. Col tempo avrei scoperto che Lena era colta, aveva studiato, in Ucraina, dove aveva lasciato i due figli. Sposa di un sottufficiale dell’Armata Rossa, poteva definirsi benestante ma la vita, si sa, spesso riserva amare insospettate, inattese sorprese senza vie d’uscita.

Il marito, Fyodor, fu inviato a Chernobyl, all’indomani del disastro, quando si trattava di evacuare la popolazione e di seppellire col cemento il mostro liberato dall’errore umano.

La radioattività è un nemico subdolo, del quale non ti avvedi, che ti afferra e lentamente ti consuma. Lena si ritrovò vedova. Senza diritto alla pensione: dopo anni di servizio nell’Armata Rossa sovietica Fyodor era passato a far parte del giovane esercito della conquistata indipendenza della Repubblica Ucraina e naturalmente il passaggio equivaleva ad un colpo di spugna sul passato di unione con i russi.

Così, per mantenere i figli, fu costretta a percorrere le vie dell’espatrio, a lavorare con ritmi massacranti, naturalmente in nero.

Era bellissima, Lena. Così, dove i suoi ‘generosi padroni’ la portavano lavorare a pulire bagni d’uso comune in un villaggio turistico con impegno non inferiore ad almeno 15 ore giornaliere, incontrò Roberto, non più giovane, artigiano, vedovo. Col parere contrario dei figli Roberto ebbe il coraggio di proporle di vivere insieme. Più vecchio d’una decina d’anni, forse non era il principe azzurro (sempreché esistano, fuor delle favole, i principi azzurri), ma di lei si prendeva cura. Tanto importava, come forse importa ad ogni donna.

Sono passati diversi anni, da quei giorni. Oggi Lena e Roberto sono sposati.

L’incubo dei giorni di Chernobyl è finito. Certo, da Lena non potrà mai essere dimenticato, resterà per sempre nella memoria della sua vita la tomba ormai lontana di un soldato che era suo marito, che avrebbe voluto veder crescere i suoi figli (che oggi sono laureati e a loro volta sposati), che riteneva suo diritto invecchiare, di fianco a Yelena nella terra nella quale entrambi erano nati.

L’incontro con Yelena, una delle testimonianze raccolte nel libro “Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo”, pubblicato nel 2016 per i tipi di Pontegobbo edizioni: fino al 24 agosto lo si può trovare alla mostra libraria del ‘Festival della letteratura’ organizzato in piazza Santa Fara a Bobbio oppure acquistarlo attraverso i principali siti internet, da IBS a LaFeltrinelli, da Libraccio ad Hoepli. Comprende, tra l’altro, un contributo di Luigi Pelò, Sindaco e poi ‘assessore alla centrale’ a Caorso dal 1975 al 1995.

Donna ucraina, olio su tela di Vladimir Erlikh

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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