Ci ha lasciati, senza troppe parole. Un colpo al cuore e le parole sono volate nel vento., destinazione un altro Altrove. Pietro, compagno alle elementari, compagno alle medie, compagno negli scout. Poi strade diverse: lo scautismo mi sembrava un modo inefficace di affrontare i problemi. Tanti bravi soldatini in nome del cattolicesimo ma in concreto? Non bastano carità e aiuto estemporaneo a chi vive problemi: bisogna andare alla radice, affrontare le sofferenze alla loro base. Così io ho percorso i sentieri della politica, dell’impegno nel sociale, della lotta contro le ingiustizie del sistema e Pietro l’ho perso di vista. Ho saputo che è diventato campione di rugby. Ho saputo che si impegnava con le organizzazioni cattoliche per aiutare i ragazzi vittime dell’eroina. Erano gli anni 80, avevo pubblicato un saggio ipotizzando la somministrazione controllata di eroina da parte dello Stato per spezzare il legame tra i giovani e le mafie e le organizzazioni criminali che gestivano lo spaccio arricchendosi. In quell’occasione ho incontrato Pietro e mi ha sottolineato dell’attività che andava sviluppandosi nel mondo del volontariato cattolico ed io, confesso, non gli ho prestato particolare attenzione. Colpevolmente. Perché forse è stata più concreta ed efficace il suo agire di quanto non abbia ottenuto io. Quello è stato l’ultimo incontro. Fino a quando ho aperto il quotidiano locale, Libertà, ed ho letto l’articolo che lo ricorda, che lo saluta. Aveva 65 anni, ovviamente tanti quanti ne ho io. Sbigottito, non mi resta che lasciargli un abbraccio, un saluto di buon viaggio, qualunque sia la meta finale. Ciao, amico Pietro “il rosso”.