“Paure fuori luogo” di Mario Tozzi, Einaudi editore. Commento di Carmelo Sciascia

Ho un amico, Mino, che potrei definire il mio angelo custode delle letture consigliate. Consigliate, non perché semplicemente mi suggerisce nuovi o vecchi testi, ma in un modo insindacabile: di tanto in tanto mi regala dei libri.
Sa di questa mia debolezza verso i libri e delle mie preferenze, diciamo che nell’assecondare i miei gusti ne determina l’orientamento o viceversa. In qualsiasi modo lo si interpreti, gli sono ugualmente grato. A lui devo la conoscenza di testi ed autori che mi sarebbero rimasti sconosciuti o di altri che, pur conoscendoli, mai avrei letto.
L’ultimo libro di una lunga serie, in ordine di tempo ”Paure fuori luogo” (G. Einaudi editore, 2017) di Mario Tozzi geologo e divulgatore scientifico, collaboratore di diversi programmi televisivi (per questo conosciuto). Ricercatore presso il CNR.
Il libro è quanto mai attuale, in una terra come la nostra Italia, afflitta da continue catastrofi. Cercheremo di dire qualcosa degli eventi naturali descritti nel libro e di episodi ad essi annessi e connessi.
Cominciamo a riflettere sul termine catastrofe che accomuniamo per analogia al termine disastro.
Il disastro è un termine composto da un prefisso “dis” che ha valore peggiorativo e dal termine “astro”. L’astro è la sede delle divinità, di ciò che non è comunque determinabile dalla volontà dell’uomo, in sostanza il suo significato è cattiva stella, sfortuna dovuta al caso o al capriccio delle divinità. L’uomo infatti si è spiegato gli eventi naturali ricorrendo ai miti. Il fulmine era uno strumento incontrollabile nelle mani di Zeus, il Vulcano era la sede di Ade, come Poseidone era la divinità marina dai cui umori dipendevano tutti i cataclismi che con le acque avevano a che fare. Oggi molti fenomeni ce li spieghiamo grazie alle moderne scoperte scientifiche, frutto di speculazioni filosofiche e di indagini matematiche.
Ma è logico che l’uomo debba avere ancora paura dei tanti disastri con cui la natura si manifesta?
Ecco questa è la domanda cruciale che ognuno di noi dovrebbe porsi. E poi ancora, è la natura a provocare disastri, oppure sono gli uomini a trasformare eventi naturali in eventi nefasti, che determinano vere e proprie ecatombe?
Iniziamo a dire che le catastrofi, i cataclismi, gli sconvolgimenti, ci sono sempre stati, senza la loro virulenta manifestazione probabilmente non ci sarebbe stata nemmeno la comparsa dell’uomo sulla terra, così come non sarebbero scomparsi i dinosauri. Già il Diluvio Universale, altro non è che la descrizione mitica di un maremoto, che sconvolse il Mediterraneo. Un fenomeno avvenuto circa nel 5600 a.C., quando una massa enorme d’acqua si è riversata in quello che era un piccolo lago, creando il Mar Nero. “Le acque scacciano gli uomini verso un esodo che crea i miti e informa le religioni”.
Così per Atlante, una terra scomparsa di cui ci parla Platone nel “Crizia”. Potrebbe trattarsi secondo le ultime ipotesi della stessa Sardegna, inondata più di 36oo anni fa da uno tsunami che ha spazzato via i nuraghi fino alla reggia di Barumini. “Il mito crea la storia dei popoli. Ed è spesso storia di catastrofi”. A proposito di storia, siamo nel 1815, una violenta esplosione del vulcano Tambora, fa offuscare il sole su tutta l’Europa, si scatenano continui temporali anche in Belgio e Waterloo diventa un enorme pantano, la cavalleria francese di Ney è impossibilitata a muoversi e Napoleone viene sconfitto. Ancora una volta una catastrofe determina la storia, la storia dell’uomo. Oggi un’altra catastrofe come la desertificazione di intere regioni africane provoca l’emigrazione di intere popolazioni. Popoli che una casa ed un terreno agricolo non ce l’hanno più, poco importa se poi i responsabili che hanno provocato l’impoverimento delle risorse siamo stati noi popoli progrediti. Il paradosso è che oggi a farci paura sono gli emigranti non il fenomeno che ha originato l’esodo: l’innalzamento della temperatura mondiale e la conseguente desertificazione. Un altro paradosso: nel mondo manca l’acqua ma l’acqua continua a martoriare le nostre città. Semplicemente perché l’uomo non ha capito che i fiumi non possono scomparire sotto una colata di cemento, se ci sono case in terreni di loro pertinenza, prima o poi se li riprendono: nel posto sbagliato ci stanno le case, non l’acqua! Gli antichi Romani queste cose le sapevano, tant’è che la famosa Bocca della Verità altro non era che un inghiottitoio d’acqua, un capiente tombino.
“Le catastrofi sono elementi di discontinuità spaziotemporali ciclici”. Come i terremoti, ci sono stati e sempre ci saranno. La religione ha creato un Santo per l’occasione: Sant’Emidio, venerato in Abruzzo, specialmente ad Avezzano fino al 1915 quando un terremoto la rase al suolo, da allora (giustamente) venne bandito dalla città. I danni maggiori in caso di terremoti li fa proprio l’uomo, le sue opere.
Nel 2011 a Fukushima, dopo il maremoto, i danni maggiori sono venuti dalla centrale atomica, più che dal terremoto, per la semplice ragione che nessun reattore è intrinsecamente sicuro, nemmeno quelli funzionanti nel previgente Giappone. Dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki, dopo Cernobyl, dopo i tanti incidenti avvenuti nelle centrali del mondo l’uomo avrebbe dovuto capire che bisogna aver paura dell’atomo, più che dei terremoti, da quest’ultimi in qualche modo ci si può difendere, dalle reazioni nucleari è impossibile. (Vedasi a proposito di centrali nucleari, compresa quella di Caorso, l’opera di Claudio Arzani “Il soffio del vento” – ed. Pontegobbo, 2016). Dai terremoti ci si può difendere: lo hanno dimostrato i Giapponesi con i loro sistemi di educazione e prevenzione, così come noi lo confermiamo ogni volta ce ne fosse di bisogno, negativamente, ampliandone gli affetti catastrofici e distruttivi. Sembra che l’unica economia possibile in Italia sia l’attività dell’edilizia. E visto che siamo a Piacenza, i primi i n Regione per consumo di suolo, diamo impulso all’economia continuando a costruire capannoni (che resteranno inutilizzati) per la logistica. Un paese l’Italia a crescita zero con oltre trenta milioni di vani sfitti! Già Hammurabi, re di Babilonia, aveva promulgato un ferreo regolamento edilizio per costruire correttamente. Noi abbiamo derogato e condonato, rendiamo inutili i piani regolatori, perché anche quando corretti da un punto di visto geofisico, disapplicati: troviamo, da furbi, sempre una scappatoia che ci permette di costruire.
L’uomo dovrebbe avere imparato che non si può e non si deve avere paura di fenomeni naturali come il terremoto, considerato l’evento più catastrofico per definizione. I terremoti ed i vulcani opportunamente conosciuti, possono essere neutralizzati nelle conseguenze dannose che conosciamo. Alcune elementari precauzioni per limitare i danni: costruire meglio ed evitare zone ad alta densità sismica. Non ci manca di certo la conoscenza teorica, non dimentichiamo che il primo osservatorio vulcanologico del mondo è nato in Italia, costruito da Ferdinando II di Borbone, nel Regno delle due Sicilie (anche se in tempi recenti, ahinoi, la Campania è diventata la terra dei fuochi). Oggi ciò che ci dovrebbe realmente far paura non è la caduta di un meteorite sulla terra o altre immaginarie apocalissi spaziali, nei confronti dei quali l’uomo nulla può, ma elementi a noi molto più prossimi come il clima e l’ambiente, dove possiamo e dobbiamo operare un’inversione di tendenza. Noi siamo ancora in tempo a recuperare, a ricucire le lacerazioni che abbiamo inflitto agli elementi naturali, basta risparmiare sulle risorse ancora disponibili, fermare l’impoverimento della vita, eliminare il cibo spazzatura, salvaguardare gli ecosistemi, ridurre l’inquinamento, fermare il consumo di territorio (la pianura Padana è tutta una città continua), proteggere le risorse ittiche bloccando la pesca industriale, causa prima dell’impoverimento dei nostri mari. Per finire, nonostante tutto e malgrado tutto, in Italia possiamo dirci ancora fortunati: il nostro è il Paese con maggiore biodiversità in Europa. Un primato di cui essere orgogliosi e che dovremmo conservare. Se ce ne importasse ancora qualcosa….
Carmelo Sciascia

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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