“Oppenheimer”: la scienza, la guerra e la pace, riflessioni di Carmelo Sciascia

J. Robert Oppenheimer, il fisico che ha dato vita alla prima bomba atomica

La filmografia americana è nota per la capacità di produrre kolossal. Un kolossal non è un film che si caratterizza solo per un gran numero di attori o perché interpretato da attori di primissimo piano. Un kolossal oggi è tale per gli effetti speciali, per le scenografie maestose, per un audio coinvolgente. Un kolossal è tale anche per la durata dello spettacolo e la capacità di trattenere inchiodato alla poltrona lo spettatore di turno. Alcune di queste caratteristiche sono presenti nella pellicola che in questi giorni sta imperversando nelle sale cinematografiche, riscuotendo un certo successo.   Un film anglo-americano, le case di produzione sono due americane e solo una inglese. Il regista Christopher Nolan di madre statunitense, ne ha acquisito anche la cittadinanza, anche per questo può considerarsi un film prettamente made in USA. Al successo della pellicola contribuisce indiscutibilmente l’interpretazione del protagonista, l’attore Cillian Murphy. Il film appena uscito, nei primi posti per spettatori ed incassi, è tratto dall’omonima biografia dello scienziato: “Il Prometeo Americano: Il trionfo e la tragedia di J. Robert Oppenheimer” frutto di un incontro tra un giornalista ed uno storico, una collaborazione tra Kai Bird e Martin J. Sherwin.

Del film l’aspetto più interessante è la ricerca epistemologica, lo studio della conoscenza scientifica, della ricerca e dei suoi limiti. Il termine epistemologia infatti calza a pennello quando si tratta di affrontare tutta la problematica connessa alla ricerca nel campo della fisica teorica, così come d’altro canto interessa l’aspetto pragmatico del rapporto che intercorre tra ricerca scientifica e potere politico. O meglio, l’uso pratico e contingente che la schizofrenia del potere tout-court, cioè politico ed economico, riesce a concretizzare per interessi propri.

Il film potremmo dividerlo in due parti, la prima una entusiasta e febbrile corsa alla realizzazione di una bomba dal potere distruttivo sconosciuto ma comunque terribile da usare contro i tedeschi, che si apprestavano, grazie a fisici come Heisenbeg, a fabbricarne una anche loro. Praticamente la competizione si svolgeva tutto nell’ambito della fisica quantistica, dove si scontravano i suoi maggiori rappresentanti.

Una seconda parte dove la coscienza critica dello scienziato fa capolino ed a volte prorompe in tutta la sua drammaticità. Una seconda parte dove la realtà sociale e politica del maccartismo dominante ha il sopravvento negli Stati Uniti, determinando una persecuzione, che giungeva all’eliminazione fisica, di chiunque esercitasse qualsiasi forma di pensiero critico nei riguardi del capitalismo e dell’egemonia mondiale dello zio Sam.

Einstein, figura che compare anche nel film, aveva già nel 1905, formulato la teoria della relatività, aprendo, con la famosa equazione sull’energia, una finestra su un campo completamente nuovo della fisica. La fisica dopo vent’anni (1925) compie un altro salto nel buio con la fisica quantistica ed il principio di indeterminazione di Heisenbeg, dopo altri venti, appunto nel 1945, giunge ad opera di Oppenheimer e del suo staff, alla realizzazione della bomba atomica.

Come premessa al film sarebbe stato utile vedere l’opera teatrale di Durrenmatt: I fisici che comunque consiglio di vedere (o leggere) a corollario di questo film. Quest’opera, sotto forma di commedia, vede la proprietaria di una clinica psichiatrica, dove si svolge la vicenda, entrare in possesso della formula della bomba atomica. Nella commedia la proprietaria della clinica è l’unica vera folle che intende sottomettere il mondo.

Nel film, si fanno i nomi di tanti fisici che sono entrati a far parte del Progetto Manhattan, ma non si cita Enrico Fermi, che fece di diritto parte del team di scienziati.   E dire, ad onor del vero, che non si sarebbe potuto realizzare l’ordigno senza il suo contributo. Già a Roma, con il suo gruppo (i ragazzi di via Panisperna), aveva studiato e sperimentato la fissione nucleare!

La seconda parte del film potremmo titolarla: Lo scienziato e la sua coscienza. Oppure: Il sopravvento della politica e l’uso arbitrario di qualsiasi scoperta scientifica. Oppure: La caccia alle streghe e la democrazia. Oppure: Che senso ha avuto uccidere in Giappone più di duecentomila persone, quando la guerra era oramai vinta?

Il mondo comunque da allora non ha imparato la lezione, dopo le due atomiche fabbricate a Los Alamos ed usate, ha continuato a costruire armi sempre più sofisticate e di distruzione di massa.  La deduzione morale dovrebbe essere semplice ed immediata: le armi non portano a nessuna pace. Dopo l’atomica americana c’è stata quella dell’URSS, e poi quella inglese e quella francese e quella indiana e quella… all’idrogeno. Con l’atomica l’America pose fine alla guerra contro il Giappone, ma fu vera gloria? Nessuno oggi è portato a crederlo perché “si è conquistata la vittoria, ma non la pace”.

Ancora oggi si fabbricano armi, Italia compresa, per esportarle, in nome della democrazia e della libertà: come dimenticare la fialetta agitata all’ONU il 23 febbraio 2003, dal segretario di stato americano Colin Powell, il quale sosteneva che Saddam Hussein disponeva di armi di distruzione di massa? Ma questa è un’altra storia o è la storia che provoca ogni guerra?

Tornando a noi, un consiglio: andate al cinema, al cinema che lascia l’amaro in bocca e ti costringe a pensare.  “Oppenheimer” è un film che ti inchioda in sala per 180 minuti ma ti costringe comunque per un tempo maggiore a riflettere, sulla scienza, sulla guerra e soprattutto sul potere.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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