“Notturno cileno”, romanzo di Roberto Bolaño, Adelphi editore, 2016

«Ora muoio, ma ho ancora molte cose da dire. Ero in pace con me stesso. Muto e in pace. Ma all’improvviso le cose sono emerse». L’uomo che in una notte di agonia e delirio decide di ripercorrere la propria esistenza, per «chiarire certi punti», per smentire le «infamie» messe in giro su di lui da quel «giovane invecchiato» che da un pezzo lo perseguita coprendolo di insulti – ombra, o fantasma, o figura della sua innocenza perduta –, è stato un sacerdote, un membro dell’Opus Dei, e anche un poeta e un autorevole critico letterario. Ma è stato soprattutto uno che ha sempre badato a tenersi al riparo da ogni rischio, e per riuscirci si è piegato a molti compromessi, ha chiuso gli occhi dinanzi a molte nefandezze, si è macchiato di molte viltà. Ha accettato e svolto coscienziosamente incarichi bizzarri, come dare lezioni di marxismo a Pinochet e ai membri della sua giunta, e ha preso parte a squisite serate letterarie in una sontuosa villa, alla periferia di Santiago, nei cui sotterranei venivano torturati gli oppositori politici al regime. E adesso che le cose e i volti del suo passato gli turbinano davanti come sospinti da un soffio infernale, «si scatena la tempesta di merda». In questo, che è l’ultimo grande romanzo pubblicato in vita, Roberto Bolano fa i conti una volta per tutte con la storia di quel Cile che non ha mai smesso di amare e odiare con identico furore. Lo fa scegliendo, paradossalmente, il punto di vista di un personaggio equivoco e meschino, e riuscendo tuttavia a costruire, mediante la sua querula voce, un possente «romanzo-fiume di centocinquanta pagine».

Un romanzo che mi ha fatto riflettere, pensando al compagno Juan Antonio Devaud, giunto in Italia, esule socialista sfuggito dopo le torture del regime fascista di Pinochet sostenuto dagli americani della CIA. Ecco, “Notturno Cileno” solleva un velo sulla vita di quanti hanno vissuto nel Paese negli anni della dittatura. Catturati, torturati, uccisi se sospettati di critica al regime, di connivenza con le idee socialiste, democristiane, comuniste. Ma gli altri? Silenti, muti. Conniventi pur sapendo. No, nessuno può credere di aver fatto poesia chiudendo gli occhi di fronte alla realtà. La poesia non ignora, non tace, la poesia deve essere un serpente che s’insinua nell’orrore e lo denuncia, lo smaschera, lo rigetta. Per questo il personaggio protagonista del romanzo alla fine risulta figura negativa: per il ruolo che potenzialmente potrebbe svolgere e che viene ridotto invece a semplice esame di coscienza in fin di vita. Troppo poco. No, nessuna assoluzione. Sentenza senza assoluzione. Il personaggio non é certo innocente e la poesia non può essere strumento che giustifica le proprie responsabilità.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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