Non solo foibe: l’esodo tragico degli italiani di Istria e Dalmazia con la poesia “ESULI” di Lina Galli e il ricordo del ‘treno della vergogna’

Il treno degli esuli istriani giunto a Bologna tra l’ostilità degli italiani che li consideravano compromessi col fascismo e quindi in fuga dalla Yugoslavia titina

10 febbraio 1947: il trattato di Parigi tra le Potenze Alleate vincitrici della guerra disconoscendo il ruolo di “cobelligerante” dell’Italia dal ’43 al ’45, stante l’astio in particolare di Francia, Gran Bretagna e Jugoslavia, stabilisce la cessione di Istria, Dalmazia e Quarnaro alla Jugoslavia sul fronte orientale (e di converso zone delle Alpi Marittime alla Francia), restringendo il confine orientale dell’Italia a parte della Venezia-Giulia e del golfo di Trieste. È la conclusione formale di un drammatico e brutale processo che mette fine in pochi anni alla secolare presenza italiana in quelle regioni, contrassegnato dai massacri delle foibe e dall’esodo di centinaia di migliaia di persone verso l’Italia.

La questione è complessa e affonda le sue radici già nel tardo Ottocento, quando l’Austria-Ungheria usa il nazionalismo slavo contro quello italiano per mantenere il controllo della costa orientale adriatica. Il governo di Vienna, ad esempio, procede all’espulsione forzata di migliaia di italiani e li sostituisce con coloni slavi e tedeschi, favorendoli anche a livello politico e sociale. Tali misure contribuiscono a incrinare l’asse Roma-Vienna nella Triplice Alleanza e danno vita a un forte movimento irredentista, che spinge l’Italia a entrare nella Grande Guerra nel 1915. Tre anni più tardi, l’Italia occupa militarmente tutta la Venezia-Giulia e la Dalmazia settentrionale, ma i trattati di Saint-Germain e di Rapallo riconoscono solo in parte le rivendicazioni di Roma su tali zone. Ciò da il via a un duro confronto con il neonato Regno di Jugoslavia, risolto solo parzialmente dal trattato di Roma del 1924 che stabilisce il confine ufficiale tra i due Paesi sul fiume Eneo. Intanto, il fascismo inizia una sistematica opera di italianizzazione forzata sia dell’Istria che della Dalmazia, imponendo nomi italiani a luoghi e persone, favorendo l’assunzione di personale italiano nelle istituzioni locali e vietando l’insegnamento delle lingue slave nelle scuole. Queste politiche finiscono per alimentare l’ostilità delle popolazioni slave verso l’Italia e danno vita a fenomeni di terrorismo repressi brutalmente dalle autorità fasciste. Nel 1941 l’invasione tedesca della Jugoslavia peggiora ulteriormente la situazione, con l’annessione italiana di buona parte della Slovenia e la nascita del brutale regime degli ustascia in Croazia. In risposta al crescente movimento di resistenza jugoslavo di Tito, le truppe italiane commettono infatti numerose atrocità, come la strage di Podhum nel luglio 1942 (Podhum, piccolo paese allora di circa 1000 abitanti, venne occupato all’alba del 28 luglio da 250 militari italiani che portarono 108 uomini tra i 16 e i 64 anni in una vicina cava fucilandoli per poi gettarne i cadaveri nella cava stessa e successivamente, condotto il rastrellamento casa per casa, portare tutti gli altri abitanti – donne, anziani, bambini – nei campi di concentramento non senza aver dato alle fiamme tutte le case tanto che del paese non rimase nulla). La reazione jugoslava non si fa attendere: già dopo l’8 settembre 1943 avvengono diverse esecuzioni sommarie di esponenti fascisti e figure di spicco delle locali comunità italiane, ma le rappresaglie assumono dimensioni ben più drammatiche nei primi mesi del 1945, quando la sconfitta italo-tedesca è ormai certa.

250 militari italiani all’alba del 28 luglio 1941 procedono al rastrellamento di Podhum, fucileranno 108 uomini per poi deportare gli altri abitanti (circa 1000 tra donne, anziani, bambini) nei campi di concentramento e infine dando alle fiamme tutte le case del paese

Allora le forze titine passano infatti alla sistematica eliminazione di centinaia di italiani in Venezia-Giulia, Istria e Dalmazia, gettandone spesso i corpi in fosse comuni o nelle foibe (cavità naturali tipiche del Carso). Non si tratta però solo di vendetta: l’obiettivo degli uomini di Tito è l’annessione forzata di tali territori e l’eliminazione di ogni potenziale oppositore al nascente regime socialista. Non a caso gli italiani uccisi non sono solo fascisti, ma anche partigiani, insegnanti, sacerdoti e funzionari pubblici. A seguito di questa campagna di terrore, decine di migliaia di italiani giuliano dalmati sono costretti ad abbandonare le proprie case e a cercare rifugio in Italia, dove ricevono spesso un’accoglienza ostile. Dopo la firma del trattato di Parigi, l’esodo si fa ancora più marcato e porta alla scomparsa di comunità storiche come quelle di Pola e Zara, presenti da secoli su quella parte di costa adriatica. Nel 1971 un censimento jugoslavo rileverà appena 17mila italiani nell’area dell’Istria e del Quarnaro, numero microscopico rispetto a quello del periodo pre-1945.

La terribile vendetta contro gli italiani: la Foiba di Vines: recupero di cadaveri

Si calcola che l’esodo abbia coinvolto tra le 250 e le 350mila persone. Incerto è anche il numero delle vittime delle foibe, anche se la maggior parte degli storici sembra propendere per una cifra tra le 3000 e le 5000 unità. Alcuni fanno però notare come molte vittime della repressione titina non siano state “infoibate”, ma sepolte in fosse comuni o morte di stenti in campi di prigionia, cosa che mette in discussione l’accuratezza delle cifre stimate. Dopo un periodo di oblio, la ricerca storica italiana sulla vicenda è iniziata negli anni ’70 e ha acquistato rilevanza pubblica negli ultimi decenni, seppur tra molte polemiche e mistificazioni politiche. Dal 2004, il 10 febbraio è il “Giorno del Ricordo” per commemorare le vittime di quei tragici avvenimenti.

Esuli istriani dopo il 1945

ESULI”, lirica di Lina Galli, poetessa nata a Parenzo, Istria

A bordo della nave, staccati da Pola
pensavano con ansia alle città
che li aspettavano.
Strappati alla loro terra
che sfilava con le coste bellissime
verso un domani ignoto.
E a Venezia una turba li accoglie
con grida ostili e rifiuta loro il cibo;
e a Bologna il treno non può fermarsi,
causa la folla nemica.
I bambini guardano intorno smarriti.
I genitori non hanno più niente da dare a loro.
II domani è un incubo.
Non li sentono fratelli gli Italiani,
una gente da rigettare, esuli.
Essi guardano tutto in silenzio
con gli occhi dilatati
dove le lagrime stanno ferme.
Il dolore di avere tutto perduto
si accresce di questo nuovo dolore.
Il treno della vergogna: La domenica del 16 febbraio 1947 da Pola partirono per mare diversi convogli di esuli italiani. Sbarcati nella maggioranza dei casi ad Ancona la sera successiva vennero stipati su un treno merci e martedì 18 febbraio giunsero alla stazione di Bologna dove la Croce Rossa aveva preparato pasti caldi soprattutto per anziani e bambini ma i ferrovieri locali attraverso gli altoparlanti dichiararono il blocco della stazione nel caso fosse avvenuta la distribuzione dei pasti (gli esuli erano considerati compromessi e con forti legami col fascismo). Il treno venne preso a sassate in segno di protesta da parte di giovani bolognesi, altri lanciarono pomodori o sputarono sui connazionali. Per evitare ulteriori guai il treno fu fatto ripartire e i pasti portati a Parma dai militari per essere finalmente distribuiti. Infine il convoglio arrivò a La Spezia dove i profughi trovarono rifugio temporaneo in una caserma.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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