“Memorie dalla clandestinità – Un terrorista non pentito si racconta”, di Anonimo, Cairoeditore

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Ma cosa pensa quel terrorista mentre spara? Cosa pensa mentre carica il colpo in canna, mentre vede cadere l’obiettivo prescelto, mentre s’allontana confondendosi tra la folla urlante, spaventata? Domande brutali, spietate, alla quali risponde il manoscritto anonimo arrivato via posta nella redazione della casa editrice Savelli. Anni di piombo, 1980, da anni il BelPaese è sotto il mirino del fuoco rosso e del fuoco nero. Le Brigate Rosse, Prima Linea, le falangi nere, strage in piazza Fontana a Milano, bomba assassina nella stazione di Bologna nel giorno della partenza per le vacanze, ragazzi che sparano ai poliziotti prendendo la mira dal centro dei grandi viali della metropoli lombarda, colonnelli, giornalisti e attivisti sindacali colpevoli di accondiscendenza con il sistema attesi sottocasa, gambizzati, qualche volta freddamente ammazzati, come cani. Siamo molti anni dopo rispetto alla contestazione dei figli della buona borghesia che, vezzeggiando una classe operaia che di fatto non conoscevano, avevano fatto il ’68. Anno 1977. Sono in piazza i figli degli operai “liberati”, consapevoli che ben poco hanno avuto dai loro fratellini piccolo borghesi che avevano sventolato la bandiera del cambiamento, avevano sì garantito la possibilità a tutti di iscriversi alle università ma alla fine le lauree che contavano erano sempre quelle, le lauree dei figli della classe padrona. Precari, ragazzi con scarse o senza prospettive, pieni di incertezze sul futuro e di rabbia: le uniche porte aperte erano quelle dei circoli giovanili, dei party nelle periferie degradate, dei capannoni industriali abbandonati, ovvero stanze senza sbocchi, senza vie d’uscita, porte che non portavano da nessuna parte. Finito il mito del lavoro, della classe operaia e di un comunismo realizzato fondato sull’etica del lavoro in fabbrica e sulla politica dei sacrifici teorizzata da Luciano Lama al congresso Cgil. Finito il comunismo, nemica giurata certo la Democrazia Cristiana ma non da meno l’autoritario e poco desiderabile Partito Comunista di Enrico Berlinguer. Un’eresia? Probabile. Vista quantomeno la violentissima reazione del sistema tutto, puntellato proprio dal monolite PCI, nemico giurato il Movimento in tutte le sue espressioni, dagli autonomi agli indiani metropolitani, negato, azzoppato, provocato e talvolta affrontato a muso duro dalle forze di Polizia mandate all’assalto da Francesco Cossiga, ministro dell’interno, lo “Sceriffo”. Come reagirono molti di quei giovani costretti nell’angolo dell’emarginazione più nera? Bollati come eretici, “untorelli”, miserelli anticomunisti. Alcuni, come Giorgio, il protagonista del manoscritto ricevuto e pubblicato da Savelli nel 1981, credendo nell’abbaglio che le armi potessero migliorare la società e costruire maggiore giustizia. Si spara dunque nelle piazze, durante le manifestazioni. Pacifiche, nelle dichiarazioni d’intenti degli organizzatori. Nelle quali entrano invece questi ragazzi ormai border line. Sparano. In nome di una giustizia proletaria che non conosce dubbi. A Milano cade il vicebrigadiere di Polizia Antonino Custrà. A Bologna, due mesi prima, era morto lo studente Francesco Lorusso, colpito a morte dai Carabinieri. “Dicevamo così, <alzare il tiro>, un po’ seriamente perché nella nostra testa questo voleva dire andare avanti, continuare, radicalizzarsi. Voleva dire appunto alzare il tiro. Voleva dire impugnare pistole vere. E lo facemmo molto presto.” … “Ci fu una chiarificazione politica prima. Conobbi altre persone dell’organizzazione a livelli più alti, e con loro discussi la mia futura collocazione. O forse fu, in qualche modo, una verifica finale. Io non avevo dubbi e perplesità. Una vaga sotterranea angoscia, forse sì. Ma la decisione era salda. Diventavo tra l’altro uno <stipendiato>. Molto, molto poco, e gli occasionali regali dei miei genitori sono sempre stati la differenza fra una vita povera e una vita misera.” Una lettura da accompagnare magari alla visione di “Buongiorno, notte”, il film di Marco Bellocchio trasposizione cinematografica della vita, della psicologia, della mentalità, dell’essere dei “giustizieri di Aldo Moro. Documenti per capire e soprattutto per ribadire che, la società nuova, la società della giustizia sociale non nasce con le armi, il sole dell’avvenire non sorge illuminando la punta dei cannoni, non può nascere dal sangue innocente versato. Moro non fu giustiziato, Moro fu assassinato.

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Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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