Leonardo Sciascia raccontato da “lu zi Nicuzzu”, articolo di Carmelo Sciascia da Racalmuto

Lo studiolo di Leonardo Sciascia in contrada Noce, a Racalmuto

E’ sempre piacevole ritornare al proprio paese. E, non per semplice bisogno nostalgico di ritorno alle origini o solo per assolvere i doveri parentali. Ma soprattutto perché in paese trovo sempre delle sorprese (in verità me le vado a cercare).
Essendomi recato in questo inizio d’anno a Racalmuto e, trovandomi in compagnia del mio amico Nicolino Marchese, mi sono fatto accompagnare per una passeggiata in contrada “Noce”, un territorio a circa cinque chilometri dal paese. Come tutti sanno in contrada Noce si trova la casa di Leonardo Sciascia. Anzi le case. Un po’ come a Praga per Kafka. Le case di campagna dello scrittore sono in realtà tre. Tutte confinanti.
A destra guardando dallo stradale principale, una casa a due piani in gesso. Era la casa dei genitori di Sciascia, che ha dato i natali allo scrittore. In mezzo una piccola casa “terrena” (solo piano terra), dove spesso Sciascia amava farsi fotografare.
Questa casa era di proprietà del padre del mio amico Nicolino, il mio accompagnatore, l’aveva venduta a Leonardo perché doveva sostenere le spese di corredo dovendo maritare una figlia. L’ultima a sinistra è invece la casa nuova, quella fatta costruire dallo scrittore con criteri e spazi tipici delle costruzioni dei giorni nostri, in primis non più in gesso e pietre come le altre due, anche se anch’essa di colori chiari ad eccezione della striscia in mattoni rossastri del sottotetto. In basso dall’altra parte dello stradale, una casa abbastanza grande con solo pianoterra, e lì facciamo un incontro interessante. Il contadino che l’abita, compare sulla soglia, smagrito e vivace, diffidente prima, cordiale dopo esserci “dati alla conoscenza” (l’esserci presentati).
È il fattore di Sciascia, il testimone di tutti gli incontri dello scrittore con le personalità che a vario titolo sono andate in pellegrinaggio in contrada Noce, in quel di Racalmuto. È il signor Nicolò Patito detto “lu zi Nicuzzu”, sugli ottantasei anni, lucido e preciso nei ricordi, era stato definito il contadino filosofo da Enzo Biagi, sul Corriere della Sera. È stato fotografato tra gli altri da fotografi professionisti come Scianna e da intellettuali ed artisti come Guttuso. La foto che gli ha fatto Guttuso ce la mostra con orgoglio. È lui, lu zi Nicu, più giovane, in compagnia del suo asino dedito al trasporto di acqua. La foto risale al 1975. Un pò restio a parlare di Leonardo, ci dice solo alcune frasi, precise e secche, che sottolineano comunque bene il carattere dello scrittore. ” Di poche parole”, parlava pochissimo, “ma faceva sempre bersaglio”, colpiva di fioretto (aggiungo io). Amava andare a caccia, ma non di conigli o lepri, solo di uccelli e di una specie di uccelli in particolare, il beccafico (un uccellino migratore, abbastanza comune in quelle campagne). Gli piacevano i bersagli piccoli, difficili da individuare, ma una volta avvistati e colpiti, restava ben poco, il bersaglio una volta colpito si disintegrava! Così come l’oggetto della sua “ricerca” – politica o letteraria – veniva, di volta in volta, disintegrato. Leonardo Sciascia osservava ogni fenomeno con rigore logico, lo spogliava di ogni orpello, ed infine lo mostrava nel modo in cui solo il potere sa mostrare, mostrandosi. Il potere sempre eterno, il potere di Tomasi di Lampedusa. Il potere dove inizia e termina il significato di libertà. Come Picasso, Sciascia pur restando fermo, vede l’evento: lo capovolge, lo rigira, lo scompone e ricompone, come il Cubismo. La scrittura come la pittura. Per essere ancora più espliciti, azzarderei un altro paragone, cinematografico questa volta. Ogni racconto del Nostro è come un western (è un genere che a me piace tantissimo, non a caso ho apprezzato anche l’ultimo Django di Quintin Tarantino): ci sono il buono, il cattivo, il testimone, la vittima e l’assassino. Potrebbero “A ciascuno il suo” o “Il giorno della civetta” essere il titolo di film di Sergio Leone. E la colonna sonora? di Morricone non ci sono dubbi! Tornando a noi, anzi al signor Patito: “Andava Sciascia a raccogliere nelle campagne vicine ‘spinaciuolu’ “, specie di spinacio selvatico. E visto che piaceva a Leonardo, intellettuale di idee liberali e di sinistra, sarà casuale che Linneo avesse dato a questa pianta un nome per onorare la memoria di Enrico IV di Navarra, fondatore della dinastia dei Borboni? Non ha il signor Nicuzzu nessun televisore. -“Me l’avevano regalato, ma ho detto di riprenderselo, non parla latro che di disgrazie ed io voglio vivere serenamente”-. Ha capito il nostro contadino filosofo quanto nuoce al vivere quotidiano il senso costante della disgrazia. Così come Il Ministro della Paura, che i governi si danno tanto da fare per mostrarcelo continuamente ed Albanese ce lo ha teatralmente rappresentato. Ad un certo punto lu zi Nicuzzu ci mostra un pacchetto postale appena giunto dalla Spagna, è dell’Università di Navarra, ed il plico contiene un libro, in spagnolo: “La verdad recobra en la escriptura – vida y obre de Leonardo Sciascia -” ed una dedica: “a Nicuzzu, nel segno dell’amicizia e con il ricordo indimenticabile delle nostre serate di vino, pizza e chiacchierate sulle cose importanti della vita -“. La dedica porta il luogo e la data: Pamplona – 24 maggio 2012. Pamplona, ovvero la città citata da Sciascia nel libro sulle Feste religiose in Sicilia. Il frastuono e la confusione, dei cavalli e dei cavalieri che sfilano ed imperversano per il paese in costumi seicenteschi, nei festeggiamenti della Madonna del Monte a Racalmuto ricordano allo scrittore la festa di San Firmino, con i tori che scompigliano le vie di Pamplona. La vita in fondo è un giuoco di specchi – Borges – Coincidenze che si rincorrono. Ho praticamente incontrato un giovane intellettuale spagnolo, incontrando un contadino ottuagenario siciliano. Salutato il signor Patito, ci avviamo per il ritorno al paese, quando l’attenzione è calamitata da una grande ed armoniosa struttura. Un castello sorge, dirimpettaio alla casa di Sciascia (non poteva non vederlo e non conoscerne la sorte). E’ il castello Matrona. In realtà è solo il muro frontale di una grande villa ottocentesca appartenuta alla influente famiglia Matrona. Quella che ha iniziato la tradizione della “campagnata estiva” a Racalmuto. (Ma non solo, è una casa estiva che diventerà la Fondazione Camilleri a Porto Empedocle o, è sempre una casa di campagna il soggetto di tante trame della Agnello Hornby). Dietro al muro di facciata, una costruzione modernissima, recente ed in pieno e penoso stato di abbandono. Come mai? Sarà denaro pubblico sprecato o investimenti privati sbagliati? Nessuno mi ha saputo dare una risposta, allora ho capito che questa è già un’altra storia…

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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