“Le libere donne di Magliano”, romanzo testimonianza di Mario Tobino, Mondadori editore, edizione 2020

Romanzo autobiografico scritto sotto forma di diario da Mario Tobino nel 1953 che racconta della propria esperienza di medico psichiatra nel reparto femminile (“La Vigilanza“) dell’ospedale psichiatrico di Maggiano (piccola località a 6 km da Lucca), nome che egli modifica in “Magliano“. Tobino sostiene che la pazzia non sia una vera malattia e che gli altri esseri umani si sentano superiori ai malati di mente solo perché non capiscono le loro “leggi”.

Venire da Magliano” per la gente del luogo significa portare il segno della pazzia, di una vita attraversata dal vento sublime e dannato della sofferenza mentale. In un reparto psichiatrico femminile, negli anni precedenti l’età degli psicofarmaci e della riforma Basaglia, un medico vive con donne aggressive, tristi, erotiche, disperate, orrende, miti, malate o semplicemente fuggite dal mondo. Questo romanzo è il poema della profondissima e unica atmosfera che pervade le stanze della follia: “il manicomio è pieno di fiori, ma non si riesce a vederli“. Parole commosse per portare alla luce la vita di queste donne che sognano, preda dei loro deliri, che amano e alle volte chiedono soltanto la pace della felicità.

Questo libro è una finestra sul mondo delle donne, sulle loro passioni e delicatezza e soprattutto sui loro bisogni e sofferenze, in un mondo e in una società che non sa dar loro quello che meritano e che le relega a un “ruolo” e ad una posizione fissa e sclerotizzata all’interno della società. La follia, così, si trasforma in un atto di libertà. E le libere donne di Magliano rappresentano la verità, la ribellione e, infine, l’amore.

Dunque eccoci entrare, attraverso la lettura, in un reparto psichiatrico femminile, negli anni precedenti l’età degli psicofarmaci e ben prima della riforma Basaglia. Un reparto dove il medico vive con le “libere donne di Magliano”: donne aggressive, tristi, erotiche, disperate, orrende, miti, malate o semplicemente fuggite dal mondo. “Anche i matti sono creature degne d’amore”, come scrive Tobino, scrittore psichiatra che abitò due camerette della Casa Medici dal 1943 al 1990 in cui operò come responsabile del settore femminile fino al 1980.

Il libro resta testimonianza dei tempi che precedono la Legge 180/1978 quando i malati con disturbi psichici erano considerati irrecuperabili e pericolosi socialmente e pertanto venivano allontanati dalla società, emarginati e rinchiusi nei manicomi. Il primo successo della Legge 180 risiede nella chiusura dei manicomi che ha permesso di restituire dignità e valore ai malati in essi reclusi riconoscendoli come persona titolare di diritti a tutti gli effetti. Tale considerazione ha determinato la fine dei metodi custodialistici, riconoscendo invece la necessità di una presa in carico della persona. Ecco dunque il secondo significato fondamentale della legge Basaglia: centralità della persona. Tutto ciò ha permesso la nascita del nuovo modello di presa in carico che si realizzava attraverso un incontro autentico tra paziente e terapeuta, in cui l’accoglienza, l’ascolto, il sentire l’altro, rappresentano la premessa per una collaborazione attiva, ovvero un lavorare insieme per il cambiamento che rappresenta l’avvio effettivo della riabilitazione psichiatrica. In base al nuovo approccio terapeutico la relazione tra medico e paziente avviene nel rispetto, nell’accettazione e nell’ascolto dell’altro come persona.

Chiudo infine questo commento alla lettura del libro con qualche esperienza personale. Anni fa, non ricordo come e per quale motivo, sono entrato nel reparto psichiatrico dell’ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza. In un grande stanzone ho trovato una ventina di persone che, all’apparenza, erano sotto effetto di psicofarmaci. Non fu possibile nessun rapporto diretto personale, la sensazione fu quella di due mondi diversi incapaci di comunicare e non posso tacere di una sensazione di disagio legata a prevenzioni, a paure indotte. Così, da ragazzino, quando nella casa contadina di fianco a quella dei miei nonni in località “Bora” in Val Chero arrivò Mario, un uomo “dal quale era meglio stare lontano” perché appena uscito dal manicomio. Con i miei cugini siamo spesso stati in quella casa dove lui abitava solo. Certo, parlava poco, non era interessato ad avere rapporti con noi ma non posso dire altro. In seguito ho conosciuto chi sosteneva di parlare con i marziani, chi mi raccontava la meraviglia dell’anguria, chi restava per ora seduto in riva al Grande Placido Fiume con lo sguardo perso ammirando un mondo tutto suo, invisibile a noi umani ciechi. Col tempo ho imparato a rispettare quella diversità e non ho più avuto sensazioni di disagio o di pericolo. Sensazioni che invece ho avuto e continuo ad avere con persone normalissime ottenebrate dal consumo di droghe o di alcol. Un ricordo? Il tizio al bar di via Pubblico Passeggio angolo con piazzale Lupa che, visibilmente alterato per il troppo vino, di fronte ad un commento ironico ha rotto una bottiglia minacciando i presenti. Ecco, in quel caso ho avuto paura della ‘pazzia‘.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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