“L’arte di Van Gogh, ovvero come rischiare la vita”, la relazione proposta il 17 gennaio da Carmelo Sciascia ai ‘mercoledì coi grilli per la testa’ in via Roma al 163

Mercoledì 17 gennaio 2024: la conferenza sull’arte di Van Gogh tenuta da Carmelo Sciascia con introduzione di Claudio Arzani e letture di Gianpietro Taina

(Ndr) Dopo il saluto ai presenti da parte di Bernardo Carli, presidente dell’associazione di volontariato organizzatrice ‘Fabbrica&Nuvole’ e l’introduzione da parte dello scrittore e poeta Claudio Arzani, l’artista, filosofo, opinionista Carmelo Sciascia ha sviluppato di fronte al folto pubblico la conversazione attorno alla controversa figura dell’artista Vincent Van Gogh vissuto in estrema povertà tantoché, come ha evidenziato Arzani, se nel 2022 una sua opera (Verger avec cypres) é stata acquistata alla cifra di 117,2 milioni di euro (Christie’s, 9 novembre), in vita l’artista ha venduto solo due opere, “La vigna rossa” per 400 franchi (circa 800 € attuali) e un ritratto a fronte di un pagamento di 20,00 €.

Carmelo Sciascia, artista, filosofo, opinionista, ai “mercoledì coi grilli per la testa” in via Roma al 163

L’arte di Van Gogh, ovvero come rischiare la vita – Relazione di Carmelo Sciascia

Il 25 maggio del 1990 mi sono trovato ad Amsterdam per la mostra dei dipinti ad olio di Vincent van Gogh, insieme al mio amico Gino che aveva procurato, tramite un istituto di credito, i relativi biglietti. Il 26 ad Otterlo, sempre in Olanda, per la mostra dei suoi disegni eseguiti con varie tecniche: era il centenario della sua morte avvenuta il 29 luglio del 1890 a Auvers-sur-Oise in Francia. È stato un momento indimenticabile, per capire l’arte di questo pittore e per comprendere tutta la storia dell’arte contemporanea: Una mostra di quadri di van Gogh è sempre una data nella storia, non nella storia delle cose dipinte, ma nella storia storica semplicemente”. “Perché van Gogh è un grande nome della pittura di ogni tempo e inoltre della pittura moderna che senza di lui (a parte Cezanne e Gauguin) non avrebbe nulla di veramente autentico da mostrare al proprio attivo”. Queste affermazioni quanto mai semplici e precise sono di un intellettuale che non è un critico d’arte, nel senso comune del termine, ma di un uomo, scrittore, poeta ed attore che ha sofferto disturbi psichici che lo hanno portato ad essere internato in manicomio come Van Gogh. Quest’uomo è Antonin Artaud ed il suo libro “Van Gogh-il suicidato della società” ha dato un contributo notevole alla comprensione dell’opera dell’artista.  La ribellione di questo scrittore alla realtà circostante è direttamente proporzionale alla sua esasperata introspezione che lo conduce a vedere meglio di altri alcuni aspetti dell’opera e della vita dello stesso van Gogh. È palese a questo punto come il titolo dell’incontro tragga origine dalla lettura del libro e dalle osservazioni del suo autore Antonin Artaud. Terrò in debito conto, durante lo svolgimento di quest’incontro, delle tesi sostenute nel libro, anche se poco note al grande pubblico, o proprio per questo!

Una mostra del 1990 mi faceva riscoprire un pittore da tutti conosciuto e per questo in realtà poco compreso. La data della mostra cui si riferisce lo scrittore è febbraio 1947, Artaud scrisse le sue osservazioni quello stesso anno. Rimane comunque l’assunto che una mostra di un pittore come van Gogh ha fatto la storia, non solo delle cose dipinte, ma la storia della storia: “la storia storica semplicemente”. Questo perché la sua pittura ha gettato le basi affinché si sviluppasse tutta la storia della pittura moderna e contemporanea. Ad eccezione di altri due pittori: Cezanne e Gauguin, come ci ricorda Antonin Artaud, ed a ragione.

La mostra tenuta nel 1990 nei Paesi Bassi, nella terra dove Vincent era nato

Dicevo che mi trovavo Il 25 maggio del 1990 ad Amsterdam per la mostra dei dipinti di Vincent van Gogh. La mostra si teneva proprio nei Paesi Bassi, nella terra dove Vincent era nato, il 30 marzo del 1853, precisamente a Zundert nel Bramante settentrionale. Zundert era ed è un piccolo paese olandese al confine con il Belgio, non a caso il paese di Zundert ha origine da una donazione risalente al 1157 del vescovo di Liegi, importante cittadina belga. Non a caso, per prossimità territoriale, troveremo il pittore in Belgio, a Paturages nel dicembre del 1878, all’età di venticinque anni. Partendo da quel paese, era ferma intenzione di van Gogh iniziare un’esperienza ecclesiastica che lo avrebbe portato a diventare un pastore protestante come il padre.

Paturages si trova in Belgio, nella Vallonia, la regione francofona dell’Hainout, in provincia di Mons. Da Hornu a Paturages sono tre chilometri circa, percorribili in pochi minuti in auto e raggiungibile anche a piedi passeggiando. A Paturages Van Gogh non è gradito, è un giovane molto diverso, per certi versi una figura inquietante. Il comitato della scuola teologica di Bruxelles, in seguito a varie lamentele, per allontanarlo lo assegnerà ad un altro paese Wasmes, come “evangelista laico”. Da Hornu a Wasmes sono due chilometri, percorribili in pochi minuti e raggiungibile anche a piedi passeggiando. Da Wasmes nell’agosto del 1879 andrà in un altro paese, a Cuesmes, dove proseguirà la sua opera di apostolato. Da Hornu a Cuesmes sono nove chilometri percorribili in pochi minuti e raggiungibile anche a piedi.

Tutti questi comuni, dove van Gogh, nato nel Bramante settentrionale, è stato dal dicembre del 1878 all’ottobre del 1880, si trovano nel Bramante meridionale, in Vallonia, nella regione francofona dell’Hainout, in provincia di Mons. Guarda caso anche Hornu si trova nella regione dell’Hainout, in provincia di Mons. Perché ho citato Hornu e la distanza con i comuni sopramenzionati, dove ha soggiornato van Gogh?

La scoperta di quanto accomuna Sciascia e l’artista Van Gogh

Perché ad Hornu cent’anni dopo la nascita di van Gogh sono nato io. Ecco perché lo sento molto vicino, perché accomunato da vari fattori: il centenario della nascita (1853-1953), il luogo dove sono nato (in Belgio, ad Hornu in provincia di Mons), il lavoro di minatore di mio padre, e sappiamo bene come il giovane van Gogh sia stato legato alla realtà dei lavoratori delle miniere di carbone di quella regione. Infatti, il Nostro non solo cerca di aiutare i bisognosi, gli ammalati, gli indigenti, ma si identifica addirittura con loro, schierandosi senza riserve dalla parte dei minatori stessi. Atteggiamento che non piacerà alle autorità, politiche e religiose, che lo considereranno da subito un sovversivo.

Allora possiamo affermare che un giovane olandese del Bramante del nord, venuto da predicatore in Belgio, nel Bramante del sud, proprio in questi piccoli paesi del Borinage, dove si trovava la più antica e vasta produzione carbonifera belga, subirà la sua personale e drammatica metamorfosi, e da giovane predicatore, impregnato di misticismo religioso, diventerà un artista: interprete originale del mondo circostante e creatore di un’arte pittorica completamente nuova. Sarà l’inizio di un’ascesa vorticosa, senza compromessi, nel mondo dell’arte che lo porterà a rischiare più volte la vita.  Un’ascesa frutto di una discesa, discesa nel mondo degli ultimi, di una immersione nella natura per coglierne l’essenza.

In tutti i paesi nominati, e cioè a Paturages, a Wasmes, a Cuesmes, esiste ancora la casa dove il Nostro ha di volta in volta soggiornato, dove è stata abbattuta l’originale ne è stata ricostruita un’altra identica. Come esistono i centri minerari che hanno ospitato i tanti italiani che vi hanno lavorato, e dove talvolta sono anche morti. Come non ricordare a proposito la tragedia di Marcinelle, avvenuta nel 1956, dove sono morti 262 minatori di cui 136 italiani, italiani di ogni regione, giusto per ricordare come l’emigrazione italiana sia stata un fenomeno nazionale.

Oggi il centro minerario di Hornu, il famoso centro carbonifero del Borinage, è patrimonio UNESCO perché è stato un prototipo di un’architettura industriale, esempio della rivoluzione industriale del XIX secolo.

Il 2023 corrispondeva al 170° anniversario della nascita di Van Gogh. Ed allora eccoci qui riuniti a ricordarlo. Oggi dilagano le mostre immersive, mostre digitali, che tentano, grazie all’informatica, di dare un ulteriore contributo alla conoscenza dell’arte di van Gogh.  Noi cercheremo di inoltrarci nel suo mondo, non con l’intelligenza artificiale ma con le parole, con una circostanziata descrizione dei passaggi fondamentali che lo hanno portato ad essere l’autore che è diventato a costo di sacrificare la sua stessa esistenza.

Accertato che da aspirante pastore diventerà aspirante pittore proprio attraverso l’esperienza, tragica ed esaltante, vissuta nel Borinage, cercheremo di vedere cos’era stata la sua vita prima dell’esperienza belga. Mentre il Belgio era già uno stato indipendente, fin dagli anni trenta, a metà ottocento l’Italia era ancora divisa, imperversava l’opera lirica ed a Venezia veniva rappresentata la Traviata di Giuseppe Verdi. Come già detto era nato a Zundert nel Bramante settentrionale nel 1853.

Van Gogh è il primo figlio di un pastore protestante, Theodorus van Gogh e di Anna Cornelia Carbentus. Il suo nome completo sarà Vincent Willem van Gogh. Willem era il nome del fratellino nato morto l’anno prima. Vincent sarà perciò il maggiore dei fratelli, cinque in tutto: due fratelli e tre sorelle. Di loro ricorderemo il fratello Theo (terzogenito) e la penultima Wilh (diminuitivo di Wilhelmien), per la corrispondenza che il Nostro avrà con loro, perché l’opera che Vincent ci ha lasciato in eredità non è solo pittorica.

 La sua opera letteraria, costituita dalle lettere anche se meno conosciuta dal grande pubblico, non è da meno per la comprensione della sua personalità e della sua pittura. Possiamo affermare che sono due opere colossali, che possono anche camminare insieme o separatamente come opere indipendenti, che contengono con lucidità disarmante l’animo ed il pensiero dell’unico autore. Noi cercheremo, nei limiti che ci sono consentiti, di farle camminare insieme (le lettere e le opere pittoriche).

Dice Antonin Artaud che aveva visitato, il primo febbraio del 1947, la mostra al Palais de l’Orangerie: “Descrivere un quadro di van Gogh, a che pro. Nessuna descrizione tentata da un altro potrà mai valere il semplice allineamento di oggetti naturali e di tinte al quale si abbandona lo stesso van Gogh, grande scrittore non meno che grande pittore, e che a proposito dell’opera descritta dà l’impressione della più sbalorditiva autenticità”. Quindi oltre che pittore, scrittore autentico e filosofo, aggiungo io.

È infatti lo stesso Artaud a ricordarci come l’occhio con cui van Gogh osservava il mondo può essere paragonato allo sguardo del filosofo Nietzsche: “No, Socrate non aveva quest’occhio, prima di lui forse solo il povero Nietzsche ebbe questo sguardo che spoglia l’anima, che libera il corpo dall’anima, che mette a nudo il corpo dell’uomo, fuori dai sotterfugi dello spirito”. Scrive van Gogh, da Arles, in una lettera del 1888 al fratello Theo: “Ah, mio caro fratello, a volte so talmente bene quello che voglio. Però nella vita e nella pittura posso benissimo fare a meno di Dio, ma non posso, nella mia sofferenza, fare a meno di qualcosa di più grande di me e che è la mia vita: la potenza di creare”. La potenza di creare, di cui scrive il pittore cos’è se non la volontà di potenza con cui l’uomo crea e conduce la sua vita come teorizzato da Nietzsche? Il discorso sulle affinità filosofiche sarebbe lungo da fare e ci porterebbe in lidi lontani, pertanto lo tralasciamo, limitandoci, a questo punto, a piccoli richiami, a riferimenti palesi che tutti conosciamo.

L’angoscia e l’insoddisfazione sono i sentimenti che accompagnano la vita dell’uomo

Le lettere, come abbiamo detto, testimoniano, da un lato la sua visione critica della storia dell’arte, e dall’altro la sua filosofia di vita. Da un punto di vista esclusivamente letterario sottolineano l’angoscia e l’insoddisfazione insite nella sua ricerca artistica. L’angoscia e l’insoddisfazione che saranno i sentimenti che lo accompagneranno tutta la vita. Non vi sembra di averne sentito parlare in ambito letterario? Di averli studiati nella letteratura del nostro Ottocento? Mi sembra allora di potere paragonare alcune riflessioni delle lettere di van Gogh al nostro Giacomo Leopardi delle Operette morali. Giacomo Leopardi che nel Dialogo di Plotino e di Porfirio si spinge a teorizzare perfino la legittimità del suicidio! “Per il mio lavoro, io rischio la vita, e la mia ragione vi è quasi naufragata…”  questa è l’ultima lettera trovata addosso a van Gogh, il giorno del suo suicidio. Il suicidio allora è un rischio da correre, il rischio che comporta il suo lavoro svolto con onestà fino alle estreme conseguenze. Ecco che il suicidio diventa allora la soluzione finale che può porre fine alla sofferenza provocata da una ricerca spasmodica e dolorosa.

Quando la ragione naufraga si rischia la vita! Il naufragio della ragione può condurre, anzi inesorabilmente conduce alla pazzia, preludio in questo caso del suicidio.

 I fallimenti scolastici, le 668 lettere inviate al fratello Theo, l’incapacità a stabilire rapporti stabili e duraturi con le donne, la missione religiosa, l’iscrizione all’Accademia di Belle Arti

Ma torniamo alla vita vissuta, alla vita reale. Vincent ha un’infanzia piena di attenzioni da parte dei genitori, van Gogh nel 1889 scriverà infatti che “Qualunque cosa io possa pensare su altri punti, nostro padre e nostra madre sono stati una coppia esemplare”. La sua è una famiglia borghese, il nonno era un pastore protestante come il padre, i suoi zii Hendrik e Cornelis mercanti d’arte, un altro Johannes un ammiraglio olandese. Nonostante il clima familiare positivo, la scuola per il piccolo Vincent non era il suo ambiente ideale, anzi, una foto di quel periodo ce lo mostra imbronciato, chiuso, a braccia conserte ed isolato dai compagni. Zundert, il paese dove era nato, era in fondo un piccolo borgo sorto accanto ad un grande mulino a vento. Un quadro del pittore Jacob Maris del 1880 ce ne dà una visione precisa. Un grande mulino in primo piano, e sullo sfondo case basse, appena accennate.

Nel 1864, a 11 anni frequenterà la scuola a Zevenbergen, a meno di trenta chilometri dal suo paese natale. Lo scarso interesse dimostrato per gli studi costringono la famiglia a fargli cambiare scuola. Così due anni dopo lo troveremo all’istituto Hannik di Tilburg. Anche qui il profitto non migliora, fintanto che il padre, che si trovava in ristrettezze economiche, non lo ritira definitivamente dalla scuola e lo avvia al lavoro. Nel 1868 lo zio, che come abbiamo visto era mercante d’arte, lo farà assumere alla filiale olandese dell’Aja come commesso nella casa d’arte Goupil.

Forse è il momento migliore della sua giovinezza, è preciso ed interessato al suo lavoro, legge tanto e di tutto, è preparato e zelante e sa rapportarsi con i clienti. Per tutto ciò viene premiato economicamente con un cospicuo aumento di stipendio ed inviato nel 1873 nella sede londinese della Goupil. Nello stesso anno il fratello Theo sarà assunto nella medesima casa d’aste ed inviato a Bruxelles. In una lettera Vincent si compiace di questa scelta e scrive: “sono contento di sapere che ormai lavoriamo nello stesso settore, e per giunta per la stessa ditta. D’ora in poi dovremo scriverci ancora più spesso”. Promessa che sarà mantenuta: saranno 668 le lettere inviate da Vincent al fratello Theo ed a sua moglie. La maggior parte in olandese, alcune in inglese, altre in francese. La lingua in cui queste lettere sono scritte ed i temi trattati ne fanno un caso unico a livello europeo.

A Londra van Gogh si innamorerà per la prima volta, la ragazza di cui si innamora, Ursula, è la figlia della signora che lo ospita. A lei Vincent farà una proposta di matrimonio, proposta che verrà rifiutata. Sarà la prima avvisaglia della sua incapacità a stabilire rapporti stabili e duraturi con le donne. Quest’episodio lo fa entrare in una profonda crisi depressiva, crisi che d’ora in poi faranno capolino, con effetti più o meno devastanti, nella sua pur breve e travagliata esistenza. Per allontanarlo da Londra e da Ursula, lo zio lo fa trasferire nella sede della stessa società a Parigi.

A Parigi Vincent non è più lo stesso irreprensibile impiegato che era stato finora, inizia un processo di ripensamento critico sulla sua vita e sul senso dell’esistenza in generale. Queste riflessioni, condotte in un solipsismo esasperato, lo convinceranno sempre più che scopo della sua vita non dev’essere il guadagno e la vita borghese ma la missione religiosa. La sua crisi esistenziale darà luogo ad un fervore più che religioso, mistico. A causa di questa vocazione mistico-religiosa, lo troveremo ad Amsterdam a studiare per gli esami di ammissione alla facoltà di teologia. Nonostante il suo impegno gli esami vanno male, non demorde e così nel 1878 va a Bruxelles ma anche lì le cose non andranno meglio, e nonostante le continue sconfitte continuerà imperterrito a seguire la sua vocazione. Tanto che, nel dicembre del 1878, lo troveremo impegnato come predicatore laico nella triste e misera realtà mineraria del Borinage in Belgio.

E qui ritorniamo a ribadire quanto già detto. Qui verrà fuori quel bisogno impellente di servire il prossimo, non più con la parola e la religione ma con il pennello e la pittura. Il suo comportamento non ammette reticenze, come era intriso di misticismo il suo atteggiamento religioso così sarà totale il suo dedicarsi alla pittura. Non è tanto lui che si impossesserà degli strumenti della pittura quanto la pittura, il demone dell’arte, ad impossessarsi di tutto il suo essere.

Ed allora eccolo fare i bagagli per recarsi a Bruxelles, per iscriversi all’Accademia di Belle Arti. Il suo trascorso religioso nel bacino carbonifero dell’Hainout non lo abbandonerà mai più, il suo animo rimarrà marchiato da quella esperienza dove si è trovato a condividere la miseria dei poveri e la povertà della miseria. “Ho scarabocchiato un disegno che rappresenta dei minatori di carbone che vanno ai pozzi, al mattino, nella neve, su un sentiero che costeggia una siepe di rovi, ombre che passano, vagamente distinguibili nel crepuscolo”. Sono quegli uomini diventati, a causa del loro lavoro nelle miniere, ombre “vagamente distinguibili” dal paesaggio circostante. Così in una lettera a Theo il 20 agosto del 1880. Theo, il fratello minore che lo sosterrà tutta la vita, l’unico a credere in lui. Il bisogno d’amore e d’affetto lo spingeranno nell’estate del 1881 a chiedere la mano di sua cugina Kate, rimasta vedova con una figlia piccola. Sarà l’ennesima delusione: Kate rifiuterà irrevocabilmente la proposta. Continua allora a cambiare dimora, da Etten dove si erano stabiliti i suoi, 160 chilometri più a nord di Zundert dove era nato Vincent, si reca a l’Aja. Più che un trasferimento la sua è una fuga continua, da una città ad un’altra, da una delusione ad un’altra. Infatti a l’Aja incontrerà Clasina Maria Hoornik detta Sien, una donna malata, con un bambino ed incinta. Non è bella, è una prostituta emarginata dalla società, un’emarginata come lui. Sarà un rapporto difficile, Vincent vorrebbe da religioso redimerla, sposarla perfino, ma le liti e le incomprensioni impediranno una relazione duratura, tant’è che il loro rapporto dura solo un anno e mezzo per dissolversi in litigi ed episodi di violenza. Dopo il rifiuto a Londra di Ursula, il rifiuto della cugina Kate, questo con Sien possiamo dire sia la prima concreta relazione, seppur turbolenta, con una donna. Di lei ci rimangono diversi disegni, colpisce la silhouette di un corpo giovane precocemente invecchiato, un’immagine perfino sgradevole ma significativa. Dopo questa ennesima delusione, scriverà: “sono in preda ad una grande tristezza al pensiero della donna e dei bambini, ma non c’è altra soluzione”. persuaso dall’amico pittore van Rappard si stabilirà a Hoogeveen, per andare dopo qualche mese a Nuenen, dove nel frattempo si era trasferita tutta la sua famiglia.

Filosofo, cioé un uomo, un artista che riflette sempre sul proprio operato, sulle proprie convinzioni, sulle scelte opportune

Van Gogh è stato anche filosofo, cioè un uomo, un artista che ha sempre riflettuto sul proprio operato, sulle proprie convinzioni e sulle opportune scelte da compiere. Come era stato un apostolo del messaggio religioso nella sua missione nel Borinage, sarà un apostolo adesso della ricerca estetica, che partendo dall’eccezione socratica di “so di non sapere”, continuerà a cercare la propria verità. In una lettera al fratello dell’agosto del 1883 scrive: “Vivo dunque come un ignorante, il quale sa con certezza una cosa sola: in pochi anni devo assolutamente terminare un determinato lavoro. Non è necessario che mi affretti tanto, perché non servirebbe a nulla: devo seguitare a lavorare con calma e serenità, il più regolarmente e ardentemente possibile. Il mondo non m’interessa se non per il fatto che ho un debito verso di esso, e anche il dovere, dato che mi ci sono aggirato per trent’anni, di lasciargli come segno di gratitudine alcuni ricordi sotto forma di disegni o di quadri, non eseguiti per compiacere a questa o a quella tendenza, ma per esprimere un sentimento umano sincero”. Non compiacere alla gente, ma per esprimere “un sentimento umano sincero”, e per fare ciò farà riferimento ad alcuni pittori dell’Ottocento francese: Daumier “gli ho riconosciuto un gran talento, ma solo da poco mi rendo conto che vale ancora di più di quanto credessi” ed ancora in un’altra lettera “Individui come Daumier bisogna venerarli, perché sono tra i pionieri” e poi Corot e Millet “il loro valore è al di là della pittura, la loro opera è tutt’altra cosa da quello che vuole la gente chic”. Ecco come l’ignorante cercherà di “lasciare un segno di gratitudine” del suo passaggio terreno, ricercando l’utile, il vero ed il necessario, che è “tutt’altra cosa da quello che vuole la gente chic”. Van Gogh aveva fatto la sua scelta di classe con l’apostolato religioso, continuerà a farla anche in campo artistico fino all’estrema conseguenza, giungendo a rischiare la vita. A rimetterci la vita, perché “a forza di cercare l’infinito ha finito col soffocarne, cioè a rimanerne schiacciato (Artaud IX capitolo op.cit.).

Il primo vero capolavoro: I mangiatori di patate

A Nuenen van Gogh rimane due anni. E da questa cittadina ha inizio l’avventura del grande pittore Vincent, qui avremo il primo vero capolavoro: I mangiatori di patate.

Siamo nell’aprile del 1885, d’ora in poi farò a meno di un preciso riferimento cronologico come è stato fatto finora, perché questa data segna l’irrompere nel mondo dell’arte di un nuovo grande artista. Un pittore che ha appreso ed ha fatto propria la lezione di alcuni grandi artisti dell’Ottocento francese ed europeo ed è andato oltre, oltre la loro pittura, oltre il loro modo di affrontare, attraverso la pittura, il pesante fardello dell’esistenza. Che Van Gogh sia stato anche un filosofo, alla maniera di Leopardi per intenderci, ce lo conferma anche Artaud: L’occhio di van Gogh è quello di un grande genio, ma nel modo in cui lo vedo dissecare anche me dal fondo della tela da cui è sorto, non è più il genio di un pittore ch’io sento vivere in lui in questo momento, ma quello di un certo filosofo da me mai incontrato nella vita”. “Un certo filosofo”, come Socrate? No! Dice ancora Artaud: “No, Socrate non aveva quest’occhio, prima di lui forse solo il povero Nietzsche ebbe questo sguardo che spoglia l’anima, che libera il corpo dall’anima, che mette a nudo il corpo dell’uomo, fuori dai sotterfugi dello spirito”.

Per descrivere e capire I mangiatori di patate le parole più appropriate non le hanno scritte i critici ma lo stesso van Gogh: “Ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto che facesse pensare a un modo di vivere completamente diverso dal nostro, di noi esseri civili. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole”.  E di fronte alle critiche nei riguardi di quest’opera scrive ancora: “…oso affermare che i mangiatori di patate, assieme alle tele che dipingerò in avvenire, resteranno”.

A Nuenen, il battesimo dei suoi primi capolavori sarà funestato da due eventi dolorosi. Primo: Margot Begeman una donna, sua vicina di casa, con cui aveva intrapreso una relazione tenta il suicidio perché la famiglia era contraria al rapporto con lui. Secondo: Il padre Theodorius van Gogh muore all’improvviso.

Allora riparte, va ad Anversa dove incontrerà, dopo aver conosciuto Rembrandt, anche l’opera di Rubens. È attratto dall’opera di Rubens, di cui scriverà: “esercita su di me un’impressione fortissima”, per un verso mentre dall’altro, per le espressioni dei personaggi, lo considera “superficiale, vuoto, ampolloso, e in conclusione convenzionale come Giulio Romano o, peggio, ancor, come i pittori della decadenza”. Giudizi che fanno del Nostro un vero ed originale critico d’arte, non a caso dalle sue lettere viene fuori una vera e propria antologia critica sulla pittura dell’Ottocento e sull’intera storia dell’arte.

Dal rapporto con gli Impressionisti all’espressionismo

Nell’86 lascia Anversa alla volta di Parigi, dove lo attende il fratello Theo. A Parigi l’atmosfera di dieci anni prima quando era commesso alla Goupil è cambiata, adesso si respira l’aria nuova dell’impressionismo. Entra in relazione con Monet, Degas, Pissarro, Signac, Seurat, Renoir, Gauguin, ma nonostante questi artisti abbiano in qualche modo influenzato la sua pittura, rimarrà sostanzialmente un artista isolato. Litigherà con questi nuovi amici, ed anche se frequenteranno gli stessi luoghi come il negozio di Père Tanghy a Pigalle o il cabaret Tamburin, Il suo carattere ombroso ed irascibile lo porterà a scontrarsi violentemente con alcuni di loro.

La sua ricerca del colore non è proprio conforme alle teorie degli impressionisti, anche se dirà di amarli e cercherà comunque di imitarne la tecnica. In questo periodo farà dei quadri più vivaci e più luminosi del periodo precedente. Lo testimoniano i suoi quadri come le vedute di Parigi da Montmarte, i vari mulini e ponti parigini, gli autoritratti. C’è, in questo periodo, una lettera inviata da Parigi alla sorella Wilhelmina dove spiega questo suo nuovo tentativo di dipingere “dei quadri dove ci sarà un po’ di freschezza, di gioventù ma rimane dolorosa la consapevolezza che la gioventù ) una delle cose che ho perduto”.

Gli ultimi anni di vita

Alla stessa sorella l’anno successivo, siamo nel 1888, farà sapere di trovarsi ad Arles, dove si consumeranno gli ultimi anni della sua vita. Qui sembra aver trovato l’ambiente ideale per proseguire la sua ricerca sul colore.

La tavolozza di oggi è assolutamente colorata: celeste, arancione, rosa, vermiglio, giallo vivissimo, verde chiaro, il rosso trasparente del vino, violetto”, nella stessa lettera, siamo in aprile, paragona l’armonia che riescono a creare questi colori con “la musica di Wagner, la quale, anche se eseguita da una grande orchestra, non resta per questo meno intima”. Scrivendo all’amico pittore Emile Bonnard, sembra consapevole di avere dato origine ad una nuova corrente pittorica: all’espressionismo, ed aperto le porte a tutta l’arte del Novecento. Infatti scrive: “Impasti, pezzi di tela lasciati qua e là scoperti, angoli totalmente incompiuti, ripensamenti, brutalità: insomma, il risultato è, sono portato a crederlo, piuttosto inquietante e irritante, affinché non faccia la felicità delle persone con idee preconcette in fatto di tecnica…”.

Cosa cercherà Vincent negli ultimi anni della sua drammatica esistenza? Abbiamo detto che è, oltre che pittore, filosofo. Il suo obiettivo sarà la completa identificazione con l’oggetto da rappresentare, o meglio ricostruire la natura e gli esseri umani che lo circondano, avvolti in un’atmosfera visionaria, compie lo sforzo titanico di rappresentare l’essenza della natura. Cercare di arrivare a rappresentare il noumeno kantiano, cioè l’essenza delle cose che per il filoso Kant non è né raggiungibile, né rappresentabile, ma che comunque costituisce l’essenza delle cose; il noumeno può essere solo pensato. Van Gogh impazzisce perché ha trovato ciò che un altro filosofo, a noi più vicino, Heidegger chiamerà “l’intima essenza delle cose, al di là del dire, del fare e dello stesso pensare”. “L’intima essenza delle cose” lo porta ad affermare ad esempio che “Un cipresso è bello, in quanto a linee e a proporzioni, come un obelisco egizio”, e riesce a raffigurare l’essenza di un cipresso, anzi dei cipressi verdi che si scagliano contro il cielo come colonne di un tempio dorico. Oppure di un ritratto scrive: “Ah, il ritratto con dentro il pensiero, l’anima del modello: questo mi sembra talmente che debba venire!”. Dopo avere conosciuto ed apprezzato la pittura giapponese, la riproduce e la ripropone come sfondo ai suoi ritratti, ama la pittura giapponese per il fatto che rappresenta l’uomo, un uomo che “si limita a studiare un unico filo d’erba”, che cerca di rappresentare non imprese epiche ma l’essenza della natura, delle piccole cose. Starà per poco in compagnia di Gauguin che lo raffigurerà mentre dipinge il famoso quadro dei girasoli. Gli artisti sanno vedere più lontano degli scienziati, infatti quando Vincent osserverà la tela esclamerà: “Sono proprio io diventato pazzo”. Infatti appena Gauguin andrà via, Vincent compirà il noto gesto dell’amputazione del lobo dell’orecchio per offrirlo in dono a Rachel, una prostituta di sua conoscenza.  Il postino Roulin, che il pittore aveva raffigurato diverse volte, lo trova sanguinante e lo fa ricoverare in ospedale. In seguito, resosi conto della propria instabilità psichica chiederà egli stesso di essere ricoverato a Saint-Remy (dove scriverà le sue considerazioni sui cipressi di cui sopra). L’istituto di Saint-Paul-de-Mausole a Saint-Remy è un ospedale per alienati mentali. Dopo una breve visita al fratello Theo a Parigi, si recherà a Auvers-sur-Oise, dove sarà preso in cura del dottore Paul Ferdinand Gachet. A proposito del dottore Gachet, Artaud ha un atteggiamento critico ed in realtà pensa che detestasse il suo paziente “van Gogh, pittore, e che lo detestasse in quanto pittore, ma sopra ogni altra cosa in quanto genio”. Perché “è praticamente impossibile essere medico e galantuomo… La medicina è nata dal male, se non è nata dalla malattia, e se, invece, ha provocato di sana pianta la malattia per darsi una ragione di essere” e poi continua a prendersela con la psichiatria ed i psichiatri: “c’è in ogni psichiatra vivente un atavismo sordido e ripugnante che gli fa vedere in ogni artista, in ogni genio che gli sta davanti un nemico”. Non va dimenticato che chi scrive ha una certa esperienza in queste cose essendo stato a sua volta internato in un manicomio.  Ma è un pazzo lucidissimo, per questo lo considero uno dei migliori critici dell’opera di van Gogh, perché sostiene giustamente nelle sue lunghe considerazioni tanti fatti che a suo tempo erano considerate stranezze: “non è delirio passeggiare di notte con dodici candele accese piantate su un cappello per dipingere un paesaggio dal vero; infatti come avrebbe potuto fare il povero van Gogh a farsi luce?”.

Questo l’incipit della lettera di van Gogh del settembre 1888: “Ho vegliato a dipingere per tre notti di seguito, coricandomi durante la giornata”. Si riferisce al caffè di notte, e ci descrive i colori usati ed il loro contrasto. Artaud si immedesima in van Gogh e compone questa lettera, datata 8 settembre, descrivendo così il caffè di notte, che inserisce nel suo libro: “Nel mio quadro del caffè di notte, ho cercato di esprimere che il caffè è un luogo in cui ci si può rovinare, diventare pazzi, commettere crimini. Infine, per mezzo dei contrasti fra rosa tenero e rosso sangue e vinaccia, fra tenue verde Luigi XV, e Veronese, che contrastano con i verde-giallo e i verdi-blu duri, il tutto in un’atmosfera di fornace infernale, di zolfo pallido, ho tentato di esprimere qualcosa come la potenza delle tenebre di una bettola”. Concordo ancora con Artaud quando sostiene che “non ci sono fantasmi nei quadri di van Gogh, né visioni, né allucinazioni”, ma solo la verità del sole, della luna, della terra: “è la natura, nuda e pura, vista come si rivela quando la si sa accostare da abbastanza vicino”.

Infatti adesso quando guardiamo e cerchiamo di capire un girasole in natura abbiamo bisogno di rivedere van Gogh ed i suoi girasoli. “Così come per capire un temporale in natura, il cielo tempestoso di una pianura in natura, non potrò più non rifarmi a van Gogh” e così quando guardiamo un cielo stellato di notte o un campo di grano ondeggiare sotto il sole d’estate, non possiamo che rifarci a van Gogh.

Van Gogh muore il 29 luglio del 1890. Nel modo che tutti conosciamo dopo essersi sparato due giorni prima un colpo di pistola nell’addome. Addosso aveva la famosa lettera: “Per il mio lavoro, io rischio la vita, e la mia ragione vi è quasi naufragata…”. E noi sappiamo come sia realmente naufragata!

Mercoledì 17 gennaio 2024: durante la conversazione su Vincent Van Gogh si é ricordata la mostra con opere dell’artista allestita al Mudec di Milano fino al 28 gennaio

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.