“La vecchia quercia”, ovvero solidarietà e resilienza, un film di Ken Loach nel commento di Carmelo Sciascia

Presentato a Cannes, finalmente proiettato nelle sale cinematografiche, giunge l’atteso film di Ken Loach “The old oak”. “La vecchia quercia”, è il nome del locale di proprietà di un certo TJ Ballantyne (Dave Turner). Intorno a questo tipico pub di una piccola e decadente cittadina inglese (Durham) ruota tutta la vicenda del film. Intanto poniamoci una domanda: perché andare a vedere questo film? Le ragioni sono tantissime, ma una in particolare credo debba essere presa in considerazione.

In Italia ed in Europa viviamo il problema dell’immigrazione da anni, il fenomeno desta paura e preoccupazione in gran parte dell’opinione pubblica, paura alimentata da certa politica che presenta il problema come perdita di identità nazionale, sostituzione etnica, fattore di disturbo per il mercato del lavoro e di squilibrio sociale. Allora, se ben conosciamo le ricette che ci prone certa politica, vediamo cosa ci propone di contro il mondo del cinema, questo film in particolare. La cinematografia contemporanea al riguardo ripropone un ventaglio ampio di interpretazioni e dà varie soluzioni. Come vede allora il problema il nostro Autore e quali soluzioni propone? Intanto premettiamo che tutta la trama del film è ancorata alla realtà, rispecchia una verità storica. Ci troviamo in un piccolo paese del nord dell’Inghilterra, un paese in decadenza da quando sono state chiuse le miniere di carbone presenti nel territorio. Il lavoro che soddisfaceva le esigenze economiche della collettività e forniva il collante sociale è venuto meno. Tutti ricordiamo la grande battaglia dei minatori inglesi contro la politica liberista di Margaret Thatcher, primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990. La sua battaglia politica si fondava su alcuni capisaldi: privatizzazione di aziende pubbliche, smantellamento di parte dello stato sociale, liberalismo economico. Questa politica portò alla chiusura di molte miniere e alla decadenza di molte località dove esse sorgevano. Questo è stato il tema prediletto di altri film di Ken Loach che ha avuto la macchina da presa sempre puntata sugli effetti nefasti di questa politica neoliberista sul tessuto sociale, in particolare sui ceti meno abbienti. Come dimenticare alcuni film recenti come “Sorry We Missed You”, sulla precarizzazione del lavoro o “Io, Daniel Blake” che denunciava le inefficienze dello stato sociale. Protagonisti sono sempre i lavoratori in una Inghilterra fortemente segnata dalla politica della Thatcher. Anche questa volta il tema non cambia solo che alla decadenza di una piccola cittadina questa volta si innesta il fenomeno dell’immigrazione. Il cinema per il Nostro è militanza politica, è portare all’attenzione dell’opinione pubblica la vita quotidiana delle classi subalterne, ma non è solo denuncia la sua, il suo cinema è politico nel senso più compiuto del termine perché insieme alla denuncia prospetta soluzioni. La storia si svolge in Inghilterra, certo è il suo paese e conoscendolo bene lo può descrivere meglio, ma è una storia che può essere avvenuta in qualsiasi paese europeo. Noi in Italia abbiamo assistito alla vicenda di Riace, dove il sindaco Mimmo Lucano ha cercato di risolvere con l’inclusione un problema di difficile soluzione come quello dell’immigrazione. Anche a Durham arriveranno degli immigrati, saranno i profughi che sono fuggiti da una Siria martoriata dalla guerra ed anche qui vedremo quale risposta  si cercherà di dare.

Per la verità molti degli autoctoni non li accettano, anzi mostrano un’avversione dichiarata ai nuovi arrivati. La soluzione sarà cercata dal gestore del pub che insieme a poche altre volontarie, soprattutto con la collaborazione della giovane siriana Yara (Ebla Mari), si inventeranno un pranzo sociale, completamente gratuito, da servire nell’ampio retrobottega abbandonato del locale. TJ Ballantyne figlio di minatore è un uomo sull’orlo del fallimento sociale ed umano ha tentato perfino il suicidio, trova la sua ragione d’essere ed il suo riscatto sociale nel volontariato, riscatto che lo salverà dalla sua precaria condizione esistenziale.

Ecco la soluzione, una delle soluzioni politiche al problema dell’immigrazione, operare per una concreta ed effettiva politica dell’inclusione. La solidarietà come risposta alla disgregazione sociale. Primeggiano, nel vecchio stendardo dei minatori rimesso a nuovo dalle donne siriane, con una grafica arabeggiante, tre parole: “Forza, Solidarietà, Resistenza”. Saranno queste parole d’ordine dei vecchi operai delle miniere che formeranno il collante sociale da far superare qualsiasi atteggiamento xenofobo.

Non è un film comunque ideologico, o meglio non lo è nel senso tradizionale di intendere una battaglia politica per partito preso, perché è un film che cammina sulle gambe dei personaggi, sulle loro storie, su reali vicende umane. Per questo è anche un film che sprigiona una grande poesia. Perché la poesia è compassione, avere cioè la stessa passione dei personaggi, è comunanza, è partecipare dello stesso dolore che esprimono le singole storie.

Le scene finali scorrono sullo schermo indicandoci la soluzione al problema dell’immigrazione: una grande massa di uomini e donne che marciano insieme, sotto lo stendardo con le parole d’ordine dei vecchi minatori, andando incontro al futuro, per costruire un destino comune. La presa di coscienza che nasce dal bisogno quotidiano dà forza, attraverso la solidarietà, per superare qualsiasi avversità individuale e diventa la base da cui partire per costruire una società migliore ed inclusiva.

Carmelo Sciascia

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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