“La rimozione. Storia di Giuseppe Tavecchio, vittima dimenticata degli anni di piombo”, di Andrea Kerbaker, Marsilio editore

Chi ha vissuto quegli anni settanta anche solo da spettatore sicuramente ricorda molti nomi dei personaggi che occupavano le pagine delle cronache. Milano, Roma, Bologna, Torino, Firenze trasformate in arene di uno scontro senza esclusione di colpi. Ad un passo dalla rivoluzione, nelle manifestazioni, nei cortei spuntavano le armi, si sparava, da una parte e dall’altra. Le vie di Milano, forse la città dove lo scontro fu più duro e più drammatico, ci racconta Kerbaker, ancora oggi sono piene di targhe che ricordano i caduti di quei giorni. In fondo a via Manzoni, in piazza Cavour eccone una che ricorda Claudio Varalli, miltante del Movimento Studentesco “assassinato il 16-4-1975 per mano fascista“. In corso XXII Marzo all’angolo con via Cellini si legge “Onore al compagno Giannino Zibecchi, caduto partigiano della nuova Resistenza“, travolto da una camionetta dei Carabinieri nei pressi della sede del Movimento Sociale durante violentissimi scontri tra studenti e polizia. Passando davanti all’Università Bocconi l’autore nota i ragazzi che parlano del prossimo esame di economia aziendale. Ben pochi fanno caso al monumento dedicato a Roberto Franceschi, ventunenne, ucciso in scontri con la polizia nel gennaio del 1973. Al numero 15 di via Paladini si ricorda Sergio Ramelli, giovane militante della destra atteso sotto casa il 13 marzo 1975 da una decina di militanti della sinistra estrema. Lo assaltano con spranghe e chiavi inglesi. Muore il 29 aprile, dopo un mese e mezzo di ospedale. Ma non muoiono solo militanti politici. in via Bellotti, angolo con via Poerio, una lapide ricorda Antonio Marino, ventidue anni, poliziotto in forza al III Celere, ucciso dalla bomba lanciata da manifestanti di destra il 12 aprile 1973. Altri nomi, altre lapidi: Antonio Custra, Giuseppe Pinelli, Guido Galli, Emilio Alessandrini, Walter Tobagi, Antonio Annarumma, Mario Calabresi. Giuseppe Tavecchio? Nessuna traccia. “Quando una vittima non serve a nessuno, leggiamo in quarta di copertina del libro di Kerbaker, non è più una vittima”. Marzo 1972, sabato. Un pomeriggio qualunque, un pomeriggio come tanti. Giuseppe, milanese, sessant’anni, pensionato, esce di casa per una commissione. Prende il tram, prosegue a piedi fino a piazza della Scala, entra nella macelleria, chiacchiera con l’amico che da anni gli vende ottime bistecche, assistono, da lontano, agli scontri in atto tra studenti e polizia. Prudentemente resta al sicuro tra le mura del negozio poi ecco un attimo di calma, Giuseppe si allontana, attraversa la piazza, arriva al semaforo e al verde attraversa. Inspiegabilmente da una camionetta della polizia parte un lacrimogeno, un candelotto sparato ad altezza d’uomo, raggiunge al collo Tavecchio. Intanto gli studenti prendono d’assalto la sede del Corriere della Sera in via Solferino. Così il giorno dopo tutti i quotidiani parlano di questo e sostanzialmente ignorano quel vecchio che ‘non serve a nessuno‘. Muore tre giorni dopo e, su indicazione della polizia, chi ne parla ipotizza sia stato lo stesso Tavecchio ad ammazzarsi ‘schiantandosi’ (da solo, accidentalmente) contro un palo segnaletico. Sparo ad altezza d’uomo? Nessun poliziotto, la versione ufficiale, ovviamente. Inizia così un lungo calvario, da parte dei figli, perchè emerga la verità, un calvario che Kerbaker nel suo libro segue passo per passo, mese dopo mese, anno dopo anno. Una storia dimenticata di un signor nessuno morto per caso e per questo dimenticato, una storia di una grande tristezza che merita di essere seguita e scoperta per riflettere ancora una volta su quegli anni per fortuna lontani. Affinchè non ritornino, per capire che la giustizia sociale con si conquista con le P38 e le molotov lanciate contro il nemico che spesso è solo e soltanto un lavoratore magari al servizio della democrazia.

Durante una manifestazione della sinistra extraparlamentare la polizia uccide il pensionato Giuseppe Tavecchio (archivio Unità)

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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