Nel 1954 nasceva la televisione ed io lanciavo il mio primo vagito, a Fiorenzuola d’Arda, in una fredda giornata d’inverno imbiancata da mille fiocchi di neve. Solo due anni dopo mamma e papà, per fatto di lavoro, si sono trasferiti a Sant’Antonio con tanto di pargolo al seguito ma, dopo breve, nuovo trasferimento. In una fattoria che allora si trovava in campagna, praticamente dove oggi si trovano l’incrocio e il semaforo tra via Dante, via Corneliana, via Patrioti e via Leonardo da Vinci. Doveva infine sorgere il sole del 1960 per vederci trasferiti in quella che oggi è via IV Novembre, all’epoca tanti campi ma finalmente nel perimetro cittadino.
Da lì i ricordi si susseguono, si fanno vivi. Si giocava in strada aspettando il passaggio del convoglio che andava all’Arsenale mentre chi passava in stragrande maggioranza lo faceva in bicicletta o al massimo motorizzazione significava Gilera, la moto degli operai che abitando in campagna venivano a lavorare in città. Di lì a pochi anni cominciarono a sorgere come funghi gru che segnalavano cantieri edili, cemento che soffocava i prati verdi e questo, allora, era progresso, benessere, nuove opportunità, i giovani abbandonavano le campagne, venivano a vivere e a lavorare in città. Nei cantieri, in fabbrica, le ragazze nei bottonifici e, la domenica, tutti in balera senza vacche da mungere e gallinelle da inseguire nella corte.
Intanto per quanto ci riguardava, nuovo trasloco, stavolta in via Dante in fase di nascita. Qualche primo piccolo condominio, molti campi, il cinema all’aperto ma niente giochi in strada, oltre alle biciclette, alla Gilera e alla Vespa, già passavano le Topolino e le prime 500, qualche 1100 e, per i benestanti, le rombanti Alfa Romeo da ammirare come oggi si fa con una Ferrari. Era già boom economico.
Così, allo Spazio Rosso Tiziano, per un istante il tempo sembra scorrere a ritroso, sembra ritrovare una città che comunque non esiste più. Oggi Piacenza è diversa. Non migliore e tantomeno peggiore. Diversa, semplicemente. Ma, come ben sappiamo, il presente trova sempre le proprie radici nel vissuto lasciato alle spalle e, sia pur senza rimpianti, ritrovare le immagini del passato può servirci per riflettere e magari correggere qualche errore per un futuro migliore.
Non resta dunque che ringraziare Mauro Del Papa, figlio di Bruno, per aver mantenuta vivo e disponibile il lavoro fotografico del padre. Insieme naturalmente al gallerista, Maurizio Sesenna. Con il rammarico per la mancanza di un catalogo che raccogliesse le immagini di quella Piacenza ma, come ben si sa, le leggi dell’economia ancora una volta trionfano sulla poesia.
A proposito. Nel proseguir del tempo, quando è arrivata l’alba dei ’70 la famiglia ha vissuto un nuovo trasloco, stavolta entro le mura, in quella via delle Teresiane che stava sorgendo sostituendosi al convento delle suore (abitavamo al numero 2, il primo palazzo edificato nella via che ancora era indicata come Stradone Farnese, civico 77 A). Ma, questa, è un’altra storia che magari Sesenna e Del Papa sapranno proporci con una mostra prossima ventura.