“La gang dei sogni”, romanzo di Luca di Fulvio, Mondadori editore

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Aspromonte, inizi del Novecento, nonostante le accortezze della madre per “tenerla nascosta”, la piccola Cetta Luminita viene “presa” nei campi da un ricco proprietario terriero di passaggio che naturalmente non esita, consumato il fatto, ad abbandonarla stesa tra l’erba. Con il frutto di un amore consumato prima che, per Cetta, venisse il tempo dell’amore. Nessuna possibilità di rivolgersi alle forze dell’ordine per ottenere giustizia. Resta solo una pubblica vergogna che, dopo la nascita del bambino, Natale, non lascia alternative: la fuga dalla propria terra, il viaggio, clandestina, pagato concedendo i propri favori al comandante della nave la cui massima gentilezza arriva dal palpeggiamento del culo, della giovane  bella Cettina. Con un miraggio, una nuova patria oltre il mare, dove potersi rifare una vita e soprattutto dare una possibilità di un’esistenza decorosa al piccolo Natale. Ma dalla miseria non si fugge. Ellis Island non è la porta del Paradiso. La New York che accoglie Cetta, ragazza madre italiana cresciuta tra contadini, senza cultura, senza mezzi, senza conoscere una parola d’inglese, è quella del Lower East Side, quella del ghetto. Appena sbarcata, troverà un personaggio dall’aspetto e dai modi del gangster, una vera fortuna. Lui le procura l’alloggio, si prende cura di lei e del bambino ma il prezzo da pagare è subito chiaro, deve accompagnarsi e abband0narsi, in base al prezzo pagato, ai desideri degli uomini. In fondo, nulla di male, destino comune a tutte le donne, specie per chi non ha alternative, fa parte del gioco, quel che conta è il futuro di Natale che, all’Ufficio Immigrazione, hanno ribattezzato Christmas, all’inglese, negando anche il diritto alle radici che può esprimersi attraverso anche solo il nome. Alla mamma del resto in fondo non sta male, perché il suo sogno è quello di un figlio che possa avere un’opportunità, che esca dalla condizione di marginalità del ghetto dove prevale la logica della spregiudicatezza e della forza, della violenza, della sopraffazione che possono portare a momentanee affermazioni ma che non determinano mai integrazione. E invece Christmas deve diventare soprattutto quello: un americano, sottrarsi all’immagine dell’immigrato proveniente da un paese sottosviluppato, da una terra ricca solo di polvere e sassi, di processioni religiose, di ipocrisia, di violenza del maschio padre padrone al quale tutto è permesso. Ma la strada non è facile e le scorciatoie sembrano e sono nell’immediato molto più appaganti che non l’imporsi per qualità vere: costituire una banda, i “Diamonds dog”, ad esempio, non racconta nulla di nuovo, non è altro che la strada percorsa dai troppi bulli che tali resteranno per tutta la vita, passando dalla conoscenza di una cella all’altra. Per sua fortuna Natale scopre un grande talento, quello di saper inventare storie e soprattutto di saperle raccontare. L’idea, il progetto? Lavorare in una radio ma la realtà non è mai disponibile. Negri, portoricani e naturalmente italiani, se anche riescono ad entrare nel regno dell’etere, lo fanno dalla porta di servizio, quella che conduce ai locali del magazzino dei pezzi di ricambio e gli unici microfoni che possono avere a disposizione sono quelli da riparare. Il nostro Christmas, però, non si può negarlo, non solo ha talento: non manca anche fortuna e temperamento. Spesso, però, anche questo non basta per riscattare una posizione di marginalizzazione e chi è povero tale deve restare. Specie e soprattutto se italiano. Almeno in quell’America degli anni Venti. Un romanzo da leggere per ricordare e, magari, uscire di casa, osservare ai giardini pubblici la condizioni degli emigrati di oggi, macedoni, ucraini, angolesi, indiani, pakistani, tunisini. Che, se son donne, passeggiano ai bordi delle strade e, se son uomini, passeggiano a loro volta, li chiamano viados.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

3 Risposte a ““La gang dei sogni”, romanzo di Luca di Fulvio, Mondadori editore”

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