“Kiev: una città nel parco”, cronaca di una visita a settembre 1983

Kiev, città nel parco

Quattro ore di viaggio, un salto di due ore di fuso nell’attraversare la cortina di ferro volando Aeroflot, la compagnia di bandiera della grande madre Russia, la grande potenza in eterna competizione con gli odiati rivali d’oltreoceano a stelle e strisce.

Il primo impatto? L’aereo, interni molto sobri, l’essenziale senza alcuna concessione al piacevole e un volo “fatto di scarti, di rullii, di vibrazioni, di cadute, di riprese, di sospiri di sollievo, di oscillazioni per turbolenze a ottomila metri“, ma tranquilli, dice Alina, la guida ucraina assegnata al nostro gruppo, ricordando forse non proprio paure ma, certo, un senso di inquietudine e sicuramente un’impressione di inadeguatezza, di attese deluse da parte di un’aereo di linea della grande potenza sovietica capace di mandare astronavi nello spazio.

Non parliamo, poi, della qualità del pasto servito, una cosa da far rimpiangere la pur discutibile qualità dei vagoni-ristorante dei treni italiani. “Già in volo, – vedendola col senno di poi -, ci prospettano quel che ci aspetta: molta povertà, molta miseria, ma forse loro ci stanno bene, non fanno niente per migliorare“. Apatici? Rassegnati? Alina alza le spalle, non risponde.

Alla fine ecco l’arrivo a Kiev, quasi tre milioni di abitanti, fondata nel V secolo da tre fratelli ed una sorella che, anziché i metodi fratricidi di Romolo, preferirono “discuterne in famiglia“, decidendo alla fine di dedicare la nuova città ad uno dei fratelli, Kie.

Attraversata dal Dniepre, il fiume che sbocca nel Mar Nero dopo un viaggio di 2280 km, vanta una grande quantità di parchi tanto da meritare il motto “una città nel parco“, ma, chiosa Alina, “ciò nonostante ha enormi problemi ecologici, a partire dal fatto che a soli 120 km c’è Chernobyl” (noi non capiamo quale sia il problema, ma lo capiremo tre anni dopo, nell’aprile del 1986, quando la nube radioattiva fuoruscita dal reattore esploso della centrale verrà spinta dal vento raggiungendo i cieli d’Europa).

Sistemati in un albergo in centro, rigorosamente scelto dall’organizzazione turistica sovietica senza possibilità di discussione, si segue la guida alla scoperta della storia russa. Perché proprio a Kiev, si dice, inizia la storia della Grande Russia: da qui partì Yuri Dogaruti per fondare Mockba, Mosca: qui vennero incoronati nella cattedrale di Santa Sofia principi e re.

La grandezza della Storia (quella con la esse maiuscola). Cosa siamo noi piccoli uomini di fronte alla grandezza della Storia? Forse per questo all’aeroporto di Kiev invano alcuni viaggiatori hanno atteso i bagagli al nastro trasportatore: di fronte al lento trascorrere dei secoli, cosa sarà mai l’attesa d’una valigia? L’organizzazione sovietica, però, non perde colpi, almeno ufficialmente: valigie o non valigie, tutti sul pullman in attesa all’ora prevista e via comunque.

Nel XIII secolo vennero i Tartari e col ferro e col fuoco cancellarono Kiev, compresa la cattedrale, meta obbligata per il turista: “affreschi meravigliosi, da ammirare a bocca aperta, raffiguranti angeli, arcangeli, cherubini senza ali e serafini con le ali“.

Nel pavimento di ghisa sono riportati i simboli della religione mussulmana, “destinati ad essere calpestati dai fedeli, monito della superiorità della religione cristiana“. Le cupole della torre, invece, sono d’oro e s’accendono di riflessi d’incanto al calar del sole.

Altra meta di visita obbligata, l’Università creata nel 1934. La scuola, puntualizza Alina, è obbligatoria dai 7 ai 17 anni, poi si passa direttamente all’università che è a numero chiuso e programmato (naturalmente coi posti migliori riservati ai figli di chi conta, ovvero i russi e gli esponenti del Partito: tutto il mondo è paese). Al termine del percorso di studi “lo Stato s’impegna a trovarti un posto di lavoro: se lo rifiuti hai sei mesi di tempo per trovarne un altro e, se non lo trovi, perdi la laurea; se accetti lavori gratuitamente per tre anni“.

Dall’Università ai Grandi Magazzini, naturalmente statali.

Il turista può acquistare nei negozi berioska in valuta estera e lì trova tutto” ovviamente caro come il sangue. Possiamo però anche entrare nei negozi o nei Grandi Magazzini acquistando in rubli e allora, se hai fatto il cambio al mercato nero, paghi poco e niente. Con un piccolo inconveniente: non c’è niente da comperare, i banchi sono spesso vuoti e, quando arriva un articolo interessante, trovi code con decine di persone in attesa così desisti.

La differenza comunque è notevole: un oggettino d’ambra lo paghi 35/40 dollari nella berioska mentre, una volta effettuato un cambio al mercato nero (ad ogni angolo di strada, in albergo, al ristorante, ovunque trovi qualcuno che ti offre rubli per dollari ad un cambio più che favorevole), lo stesso oggettino ai Grandi Magazzini costa l’equivalente di 3 dollari.

Ancora da visitare il monastero ortodosso dell’XI secolo e il parco museo dove sono riprodotti villaggi dei popoli primitivi insediati in questa zona.

Ma, al di là delle bellezze architettoniche e delle suggestioni della Storia, qual’è l’ambiente? L’URSS è davvero uno Stato di Polizia nel quale non puoi muoverti senza avere un militare alle costole?

All’arrivo, all’aeroporto, siamo passati al controllo con uno specchio inclinato alle spalle, telecamere e ‘occhi‘ ai raggi X dappertutto. Sì, ti senti intimorito però bisogna riconoscere che ci si aspettava molto peggio eppoi molta parte della paura deriva dal fatto che tutti abbiamo più soldi del dovuto e del dichiarato. Infatti durante il volo dall’Italia è stato distribuito un foglio da compilare con la dichiarazione della valuta e dei preziosi importati. Alla fine del viaggio, prima della partenza, un doganiere controllerà la corrispondenza tra beni iniziali e contenuto delle valigie e qui, come si suol dire, cascherà l’asino. Un modo per combattere, a posteriori, la diffusione del mercato nero penalizzando e colpevolizzando il turista ‘furbetto‘.

Se, supponiamo, un turista dichiara il possesso di 200 dollari alla fine deve dimostrare, ricevute alla mano, un cambio corrispondente e, naturalmente, acquisti per valori proporzionali. Ma, per fortuna, tutto è solo teorico. La Grande Madre Russia, dice Alina, la nostra guida ucraina, acquista grano dal nemico d’oltreoceano e, per questo, ha bisogno di valuta pregiata, cosicchè non sta a guardare troppo per il sottile.

I cambi sono tre. Quello ufficiale ovvero 1 rublo per 2250 lire, quello effettivo praticato in occidente di 1 rublo per 335 lire e quello nero – 1 rublo per 110 lire – offerto da intraprendenti giovanotti nelle hall degli alberghi o negli angoli delle piazze a due passi dal militare che generosamente finge di non vedere o addirittura compartecipa all’impresa pretendendo quel che a Napoli chiamano ‘pizzo‘ a Milano ‘bustarella‘ e a Piacenza ‘farletta‘. Sempre perché tutto il mondo comunque è paese.

Insomma, la ‘facciata’ è una cosa, la realtà altra (par d’essere in Italy, patria d’eccellenza per ‘giovanotti furbetti‘ di tutte le età). Sei formalmente represso ma di fatto libero oppure l’opposto, a piacere di chi legge.

Alla sera siamo liberi di andare in metrò dove ci pare (dove – ed è questo il trucco – senza scontrini e ricevute puoi bere, mangiare, ‘trovare allegra compagnia femminile‘ a volontà pagando coi rubli presi al mercato nero che non esistendo ufficialmente, non incidono sul tuo badget riconosciuto, certificato e ammesso. Ma bada bene, alle 22 i locali chiudono, ti sbattono fuori. Questo perché, essendo tutti i lavoratori di fatto dipendenti statali, che lavorino di più o di meno, la busta paga è sempre quella a prescindere dall’incasso. Pubblica virtù, di dove la patina bianca apparente e morigerata nasconde un torbido nero avvolto di noia e indifferenza.

Comunque, entriamo in un bar un tizio che si definisce capitalista offre a tutti i clienti, noi inclusi, un caffè. Il barista lo serve con a fianco un brocchino da tè che in realtà contiene cognac. Tornati in albergo Alina sorride e spiega che qui tutto è mimetizzato, servire superalcolici è vietato per combattere un alcolismo che ufficialmente non può esistere. Vizi privati e pubbliche virtù: tutto il mondo è paese.

In albergo una telefonata prenotata per le 16 è arriva alle 6 della mattina successiva, ovvero alle 4 ora italiana. Solo dopo un pò si scopre che, con una piccola mancia, potevamo averla in tempi accettabili evitando patemi d’animo a chi a casa alle 4 della mattina, nel silenzio e nel buio della notte, è stato svegliato dal trillo del telefono. Ovviamente qui il vizio della mancia, tipicamente italiano, non esiste. Quando in albergo finisce la carta igienica, la bella cameriera che gentilmente la porge lo precisa col sorriso: “niet, mancia“. Prezzo 2 dollari grazie. Dai soldo, vedere cammello.

La casa c’è per tutti, ma in tempi da tragedia“, confida Alina. in vena di moderato dissenso. “Se in casa un figlio si sposa resta per anni con i genitori e, dopo un pò, in cucina bisogna mangiare a turno. Sì, certo, io ero sposata, avevamo deciso di acquistare mobili e mi hanno dato un numero, il 2013″.

La posizione in lista d’attesa?

No, l’anno di consegna“.

Se però avessimo potuto pagarli in dollari, li avremmo avuti subito“.

E i russi, l’uomo della strada sovietico?

“Sono molto , molto seri, sembrano delle statue” e i russi ancora più degli ucraini.

Così scopriamo le origini della nostra guida Alina: lei è ucraina, non russa e si capisce.

Comunque tornando ai russi molto, molto seri, “però quando sono ubriachi sono affabili e bevono spesso, e molto, specie nelle occasioni di festa” (poi però confessa che lo stesso vale anche per gli ucraini, tutte le feste sono paese e, un’etnia o l’altra, nessuno disdegna la bottiglia di vodka).

Festa, per esempio, è un matrimonio.

Entriamo in una chiesa ritrovandoci testimoni di una cerimonia per unire otto coppie di novelli sposi uniti col rito ortodosso. Moltissimi i curiosi presenti, un pò come succede ancora nei nostri paesi, nelle nostre campagne. Curiosità ma anche attesa della festa che seguirà naturalmente a base di vodka, fino a tarda ora. Partecipazione ma, in una parola, anche molti imbucati.

Dicevamo dunque che sono seri, tanto i russi quanto – sia pure in modo diverso, dice Alina, gli ucraini. Comunque entrambi pazienti.

Incredibili, le code. Ti accorgi se nei negozi c’è qualcosa di nuovo dalle code. File esterne di venti-trenta metri per un’insalata, 50 metri per uno sportello bancario, 100 metri da McDonald. Rassegnati? Forse. Ma in fondo è questione d’abitudine. Se non piove un’attesa in coda non fa male a nessuno e puoi sempre sperare di trovarti dietro o davanti ad una biondina carina. Paese che vai, emozioni amorevoli che trovi.

Come quei bambini incontriamo in un parco impegnati a depositare fiori ad un sacrario, tutti incolonnati dalla maestra come soldatini, li abbiamo avvicinati, gli abbiamo regalato biro, chewing.gum, lire. L’insegnante ha brontolato un pochino ma noi non si voleva fare elemosina, lo si faceva per simpatia.

Incontri ravvicinati tra popoli lontani.

E loro, i bambini, hanno sorriso.

E alla fine anche la maestra ha sorriso.

Passa un soldato con la divisa della gloriosa Armata Rossa fondata da Lev Trockij nel 1922. Incrociando un gruppo di turisti che parlano in inglese. Forse americani. Sputa per terra.

E per noi giunge l’ora di partire, destinazione Leningrad. Kiev bye bye.

Kiev, piazza Maidan (oggi piazza dell’Indipendenza)

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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