“Io non vi perdono”, di Milvia Comastri da Bologna

2 agosto 1980, Bologna

Io non vi perdono, autori materiali e mandanti.
Io non vi perdono, politici e magistrati corrotti o inetti che avete impedito e impedite che la verità sia svelata.
Io non vi perdono, faccendieri diabolici che sempre mescolate e rimescolate le vite degli altri.
Io non perdono chi ha ferito a morte la mia città.
Vorrei che il peso di quegli ottantacinque morti vi schiacciasse ogni giorno di più, che si centuplicasse,che perseguitasse ogni minuto della vostra esistenza.

E che vi accompagnasse oltre.
Nell’eternità, se eternità esiste.
Aveva le treccine, o i “codini”, non ricordo bene. Ricordo le sue lentiggini, però, che le adornavano graziosamente la pelle candida del viso, e ricordo che portava gli occhiali, e il colore dei suoi capelli, ricordo, un biondo tendente al ramato scuro.
Era un po’ più grande di noi, Mirella. Aveva due anni più di me. E si sa, quando si hanno sette, otto anni, anche due soli anni in più fanno la differenza.
Nei pomeriggi estivi, quando il sole arroventava il cortile, o quando scoppiava un temporale improvviso, noi bambini ci rifugiavamo sulle scale del condominio. Ci sedevamo sui gradini, davanti alle porte degli appartamenti dove Mirella e io abitavamo, e lei cominciava a raccontarci storie. Noi piccoli l’ascoltavamo attenti. Per lo più erano storie di fantasmi. Ci andavamo a nozze, con quelle storie… Eravamo deliziati dai brividi di paura che attraversavano i nostri corpi. Lei, poi, sapeva raccontarle così bene, con la sua aria di mammina seria seria. Nericordo una particolarmente spaventosa, che  narrava di una ragazza morta, e del suovestito viola macchiato di caffè. 
Quei pomeriggi, quei momenti delle magiche estati della mia infanzia, mi sono rimasti in mente a lungo. E me li raffiguro ancora: Mirella seduta sul gradino più alto e noi accovacciati ai suoi piedi, gli occhi spalancati, la bocca socchiusa. Noi, i piccoli, lì ad ascoltare, immobili.
Poi cambiai casa, e di Mirella non seppi più nulla.
Fino a quel terribile agosto di trentacinque anni fa, quando i giornali pubblicarono i nomi delle vittime della strage di Bologna. Perché Mirella, come me, come i bimbi di quelle estati sui gradini, era diventata adulta. Aveva un lavoro, Mirella:  dipendente presso gli uffici  che sovrastavano i locali del bar ristorante della stazione Centrale di Bologna, questo era il suo lavoro.
Chissà come era diventata, Mirella?  E oggi, chissà come sarebbe? ? E come passerebbe le sue giornate?  Forse a raccontare  le sue vecchie storie paurose  a qualche nipotino affascinato. 
Ma no, nientedi tutto questo.
Niente di niente.
Perché quello di  Mirella è nell’elenco dei nomi  inciso nel marmo della lapide posta nella sala d’aspetto della stazione di Bologna. Il suo nome sta insieme a  quello di Angela Fresu (di anni tre) e Antonio Montanari (di anni 86). Sta insieme ai nomi di altre 83 persone, vite spezzate da una criminalità diabolica.
Vite spezzate due volte, poi, visto come sono andati i processi. Ma non voglio dire una parola sull’andamento e gli esiti dell’interminabile iter processuale che si è svolto in questo nostro Paese burla. Ne hanno parlato tanto i media, in tutti questi anni, e senza dubbio molto meglio di quanto possa fare io.
Questa sera voglio solo ricordare le persone il cui futuro è stato annullato: i dipendenti della stazione, i tassisti… E quelle donne e uomini e bambini che stavano partendo per andarsene in vacanza, con le valigie piene di costumi e asciugamani, e secchielli e palette e olii abbronzanti, o un paio di maglioni pesanti per le serate in montagna. E quelli che, finite le vacanze, stavano tornando a casa, con la pelle scurita  dal sole, qualche granello di sabbia intrappolato nella valigia, il regalino comprato all’ultimo momento per la zia Adelina, con la foto ricordo dell’estate 1980 scattata dal fotografo ambulante durante la passeggiata serale, o con le diapositive che immortalavano le cime di suggestivi monti.
Persone come noi, come tanti di noi che questa sera, 1’ agosto 2015, si accingono a preparare i bagagli, perché l’attesa, sospirata vacanza inizierà domani,  o per rientrare a casa, per riprendere, con più vigore, la vita di ogni giorno.
Ci penso spesso, a quel due agostodel 1980. E penso che no, non ci può essere alcun perdono.
Che siate maledetti, voi, scippatori di vite.
Angela Fresu, oggi, avrebbe trentotto anni.
Ottantacinque fra uomini e donne, bambine e bambini, oggi, se non fosse stato per la vostra mano assassina, potrebbero… 
E invece non possono.
Che Angela, Mirella, e tutte le altre ottantatré vittime di questa strage, siano per voi, autori materiali emandanti, un macigno. Che siano per voi un macigno tutte le persone segnate per sempre, nel corpo e nell’anima, dalle ferite che gli avete inflitto.
Io non dimentico.
Io non vi perdono, maledetti.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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