“Il punto di rugiada”, ovvero perché non abolire gli ospizi? Riflessione di Carmelo Sciascia sul film di Marco Risi

Molti della mia generazione sono cresciuti guardando i film di Dino Risi, pur se anagraficamente coetaneo dei nostri genitori, era considerato un nostro compagno di viaggio per una serie di motivi. Stanno a dimostrarcelo le tematiche su cui si basa tutta la sua lunga filmografia. La formazione culturale di chi è nato negli anni cinquanta è stata plasmata da registi come Risi, che hanno saputo presentare sotto le mentite spoglie della commedia il dramma sociale e politico del costume (tragico e ridicolo) proprio degli italiani. Tra questi registi ricordiamo Monicelli, Comencini e Scola.

Il figlio di Dino, Marco, regista anche lui, oggi sembra proseguire l’opera paterna, facendo un film che il padre non ha avuto il coraggio di fare. Marco Risi propone oggi all’attenzione del grande pubblico, con il film Il punto di rugiada, un vero e proprio saggio sulla condizione della terza età. La terza età è un eufemismo con cui intendiamo la condizione della vecchiaia, rappresentata dal prototipo di un vecchio decrepito (nel corpo, nella psiche o in todo).

Il film ha un titolo enigmatico: Il punto di rugiada. Perché questo misterioso richiamo alla termodinamica? Possiamo dire che il punto di rugiada è il punto di equilibrio, oltre al quale avviene il passaggio da uno stato fisico ad un altro, come quando l’aria diventa satura di vapore acqueo. Esempio di questo stato climatico sono la brina, la rugiada o la nebbia. E noi da piacentini e padani ne siamo ben consapevoli: spesso il paesaggio delle nostre campagne in inverno si presenta vestito di bianco per la brina e/o avvolto nella nebbia.

Tranquilli, non è un film sulla fisica come scienza, è un’opera invece sulla società, o meglio su una parte della società: la terza età. Gli anziani sono oggi la parte predominante, la maggioranza del popolo italiano. Ma il film riguarda anche la deriva di molti giovani, rappresentati in questa storia da due giovani che sono stati condannati: uno, Manuel (Roberto Gudese) condannato perché spacciatore, l’altro Carlo (Alessandro Fella) condannato perché ha provocato di notte un grave incidente automobilistico sotto l’effetto dell’alcol, lasciando segni indelebili sul volto della ragazza investita. Anziché andare in carcere questi due giovani vengono condannati a pene detentive alternative, a prestare servizio in una esclusiva casa di riposo, sotto la guida di una infermiera, l’intrigante e misteriosa Luisa (Lucia Rossi). Possiamo dire che l’incontro, per i personaggi della narrazione, tra una vecchia generazione ed una nuova leva, avviene per la prima volta in un ospizio. Il termine ospizio viene sempre taciuto, la RSA viene identificata con un albergo e come tale i fruitori non saranno chiamati vecchi ma genericamente ospiti!

La trama è tutta giocata sul rapporto tra questi due giovani (assistenti per caso) e gli ospiti dell’albergo. La storia inizia in una ipotetica estate del 2018 e prosegue nelle stagioni successive, fino a comprenderle tutte e quattro.

Gli ospiti si caratterizzano per le loro malattie, per le esperienze pregresse, per i loro desideri. Sono stati poeti (Federico: Luigi Diberti), militari (Pietro: Eros Pagani), fotografi (Dino: Massimo De Francovich), playboy e musicisti.

Tutti gli ospiti vorrebbero mantenere una propria dignità. Una dignità che non possono avere perché il loro stato impedisce la realizzazione di qualsiasi desiderio. Possono soltanto sognare, ma si sa come i sogni cozzano con la realtà fattuale trasformandosi soltanto in continue delusioni.

Si dice spesso che la nostra Italia non è un paese per giovani, nel senso che non offre prospettive, non lascia spazio alla creatività ed alla fantasia dei giovani. Ma non è nemmeno un paese per vecchi. Le case di riposo sono le avanguardie dei cimiteri, rappresentano una lunga agonia, un’interminabile attesa della morte. C’è tra gli ospiti perfino chi vorrebbe decidere del proprio destino, cercando di procurarsi un kit di fine vita. Altri si rifugiano nel proprio passato, indipendentemente dall’essere stato doloroso o frivolo.

C’è una nota positiva che attraversa tutta la storia ed è il rapporto che si viene a creare tra i giovani condannati a fare da assistenti e gli anziani ospiti. Il messaggio a questo punto mi sembra chiaro. Non sono sicuro che le mie affermazioni combacino con le intenzioni del regista ma credo che si possa trarre la  conclusione che si possa porre fine alla decadenza di questa nostra società solo  riallacciando i rapporti tra le generazioni, mettendo in comunicazione le diverse fasce d’età. Le generazioni non vanno divise in comparti stagni come, ahinoi, avviene oggi.

Ma affinché ciò si possa realizzare bisognerebbe abolire gli ospizi.

Nel 1978 la legge Basaglia sancì l’abolizione dei manicomi, riformando tutto il sistema di cura per le malattie mentali. L’Italia fu il primo paese al mondo a dare dignità a chi soffriva di disturbi psichici, le persone “affette per qualsiasi causa da alienazione mentale” venivano internate nei manicomi: erano i pazzi da isolare nei lager!

Adesso sarebbe il momento di chiedere una nuova legge che abolendo le case di riposo, possa dare dignità alla terza età e dare la possibilità di ricucire quel rapporto tra le generazioni indispensabile alla crescita della società. Un corretto sviluppo della storia passa anche attraverso uno scambio di esperienze e di valori, scambio che può esserci soltanto attraverso una quotidiana convivenza tra generazioni.

Il culmine della felicità nel film si raggiunge non in un momento programmato, come le feste natalizie o di compleanno, ma in una improvvisa uscita degli ospiti dagli spazi chiusi per partecipare allo spettacolo coinvolgente che può offrire un evento meteorologico come una improvvisa nevicata.

Il coinvolgimento emotivo può essere causato solo dai giovani. La trasmissione di valori solo da chi ha attraversato la storia. Come sono stati aboliti i manicomi, aboliamo i ricoveri per anziani, che siano case di lusso per anziani o volgari ospizi, la sostanza non cambia. Da più di quarant’anni abbiamo dato dignità a chi ha sofferto di disturbi psichici abolendo i manicomi, ora è il momento di dare pari dignità alla terza età abolendo gli ospizi!

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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