“Il giardino delle meduse”, una giornata di rimembranze alla mostra al museo di scienze naturali Kosmos a Pavia (fino al 25 settembre 2022)

Pavia, il Ponte Coperto o Ponte del Diavolo

Così, come del resto previsto, il sole tramonta sull’ultimo giorno di vacanza e, quando la luce dell’alba torna a splendere, chiudi la porta della stanza che ti ha ospitato, scendi le scale, ti fermi al bar dietro l’angolo per l’ultimo caffè, tanti saluti cordiali e la barista che d’un tratto ricorda: “ma lei l’ho vista in televisione“. Già, raccontavo dell’essere sopravvissuto alla bestia, 88 giorni tra malattie infettive, rianimazione, terapia intensiva, riabilitazione, sopravvissuto, maledetto Covid non hai avuto il mio scalpo! E il piccolo schermo tramite una piccola trasmittente locale (TeleLibertà) se non mi ha reso proprio famoso mi ha comunque regalato un istante di notorietà. Addirittura a MIlano! E finalmente si parte, un pò mestamente, un pò tristemente, scorre diritta la strada che porta a casa. Un’oretta e tutto sarà finito, i fatti della vacanza già sedimentati, gustati, semplicemente già chiusi nei tanti cassetti della memoria. Ma la magia dell’etere colpisce ancora: alla radio qualcuno parla d’una mostra dedicata alle meduse al museo di scienze naturali Kosmos e allora, chi ci nega la deviazione? L’imprevisto, l’ultimo bicchiere d’un nettare che si chiama vacanza, relax, holiday. Così rapido addio al segnale indicatore dell’autostrada, saluti al cartello che ci porta a Piacenza e via sulla strada per la città assisa sulle sponde del Ticino, Pavia.

Pavia, il monumento alla lavandaia. Rievoca i tempi in cui le sponde del Ticino si riempivano di donne che lavavano i panni nel fiume. Le donne lavoravano tutto il giorno sulla riva. I panni venivano lasciati in ammollo tutta notte in enormi recipienti di cemento, poi portati in riva al fiume e  lavati con l’aiuto della classica asse di legno, ‘a scägn’. Gli uomini  e i bambini raccoglievano i panni e li riconsegnavano a tutta la città. Era un lavoro molto faticoso e poco redditizio, una o due lire per capo. Le lavandaie più fortunate conquistavano i clienti più facoltosi, medici o avvocati pavesi.

Eccoci dunque al ponte coperto, simbolo della città e del caratteristico Borgo Ticino in particolare. Secondo una leggenda, durante la notte di Natale dell’anno 999, molti residenti del quartiere volevano recarsi alla messa di mezzanotte in città, ma le barche che avrebbero dovuto traghettarli sulla sponda opposta del fiume si trovavano in difficoltà a causa della fitta nebbia. All’improvviso arrivò un uomo vestito di rosso, il diavolo, che propose di costruire immediatamente un ponte in cambio di avere l’anima del primo essere vivente che lo avesse attraversato. Tra la folla c’era l’arcangelo Michele che lo riconobbe e accettò il patto. Il diavolo fece degli strani disegni sul terreno, subito il ponte apparve e l’arcangelo fece passare per primo un caprone. Il diavolo, arrabbiato, scatenò una tempesta, ma il ponte, da quel momento detto Ponte del Diavolo, restò intatto.

Ma, fuor di leggenda, Pavia ha avuto un’importanza particolare nella mia vita, sia pure “laterale”. Finite le superiori, nell’ormai lontano 1973, stavo accarezzando l’idea di affrontare gli studi universitari. Era un momento di svolta fondamentale, nella mia vita. Durante gli anni delle Superiori, a ragioneria, era risultato fondamentale il rapporto con Giuliana. Finita la scuola eravamo andati a festeggiare, soli, al mare, una settimana insieme in una pensioncina a Gabicce mare, trattati da tutti come giovani sposini. Ma non era quello il futuro che m’attendeva. Tornati a casa, a settembre, mi sono ritrovato solo senza neanche sapere veramente perché. Forse proprio il fatto che il suo primo obiettivo era il matrimonio mentre io intravvedevo un futuro fatto di studio? Ma, proprio in quest’ottica, il problema era anche università sì, ma quale facoltà? Scienze politiche, forse. Del resto erano gli anni della contestazione, del Movimento, della partecipazione che mi aveva visto presente a tanti scioperi, manifestazioni, assemblee, riunioni, ciclostilaggi (con mammà che s’imbufaliva per le macchie d’inchiostro su camicie, magliette, jeans, paltò), volantinaggi. Bene, quindi forse ad ottobre viaggio a Pavia, appunto facoltà di scienze politiche. Una lunghissima coda, un centinaio e oltre di studenti e aspiranti tali, e finalmente sportello di segreteria, non ho capito nulla. Ho chiesto quali erano i libri di testo, mi hanno risposto che li sceglievo io in base al piano di studi che avrei scelto. Scelto? Piano di studi? Un altro mondo ed io non avevo riferimenti. Nessuno dei miei conoscenti aveva esperienze universitarie, un mondo fino a poco tempo prima riservato ai figli della borghesia, avvocati, ingegneri, professionisti, inavvicinabile ai figli dei lavoratori, tanto più se diplomati in istituti tecnici come appunto ragioneria. Insomma, 1973, Pavia le porte chiuse, di nuovo sul treno, ritorno a Piacenza, la coda tra le gambe, la nebbia nella mente. Solo dopo un anno di lavoro in un’assicurazione prima, impresa edile poi, banca infine, un festival rock a Misano Adriatico autorizzazione negata dalla giunta regionale, occupazione dell’autostrada e relativa carica della polizia, un altro anno in divisa con la penna nera sul cappello tra i monti Cuneo e di Aosta, le bombe degli assassini fascisti sull’Italicus. In licenza, a dicembre 1974, il primo incontro con Mina, una pietra definitiva sul grande eterno amore con Giuliana, ad agosto 1975 la rinuncia all’assunzione in SIP e finalmente la grande decisione, l’iscrizione alla facoltà di Giurisprudenza. Ottobre 1975, iscrizione all’università. Ma niente Pavia, scomoda da raggiungere in treno. Parma.

Le meduse sono animali e alcune sono velenosissime. Forse chissà, nei giorni passati insieme al mare con Giuliana prima e poi in riva al Grande Placido Fiume con Mina, qualcuna stava in agguato e ferocemente s’avventò su quei grandi eterni amori soffocandoli per sempre. Invece, anno 1989, tornava in auge il rapporto con la magica Pavia. Dalila al mio fianco ma solo virtualmente. Nella realtà lei a casa a badare ai nostri due figli, io in viaggio verso il sogno della vita, il giornalismo. Dopo la laurea e i due anni in area Fiat a Torino e Modena, l’assunzione nella sanità pubblica a Piacenza, la collaborazione con l’Avanti! e l’iscrizione all’albo dei giornalisti (pubblicisti), la collaborazione con giornali locali (anche Libertà ma soprattutto il settimanale Corriere Padano), un aggancio importante con un quotidiano nazionale, Italia Oggi con l’incarico di realizzare uno speciale proprio su Pavia, in collaborazione con un collega, direttore appunto del Corriere Padano. Definiti e divisi i compiti di ciascuno, per tre giorni ho incontrato esponenti economici, politici al governo delle amministrazioni e all’opposizione, sindacalisti, imprenditori. Poteva essere, come dicevo, l’occasione della vita pur tra molti dubbi. Tanti saluti alla scrivania dell’Usl n. 2 ma la necessità di una decisione importante: seguire la strada che portava al professionismo significava dedicare almeno due anni al praticantato e con una famiglia da supportare economicamente e uno stipendio solo (quello di Dalila) potevano sorgere problemi seri. Ma nel breve volgere di pochi giorni i dubbi sono stati spazzati via: confezionato lo speciale (se non ricordo male 8 pagine da inserire nel quotidiano), il giorno dopo, la mattina del 17 marzo 1989, improvvisamente, senza segnali premonitori, crollò la Torre civica medioevale di piazza Duomo, alta 78 metri. Per fortuna prima che si concretizzasse l’intenzione espressa dagli amministratori comunali di aprirla al pubblico. Comunque la massa di mattoni, granito e sabbia che si riversò sulla piazza provocò 4 morti – tra i quali due giovanissime ragazze – e 15 feriti. Oltre ad insabbiare lo speciale che ormai aveva perso senso, attualità e soprattutto potenziale capacità di recupero pubblicitario a sostegno del quotidiano. Tutto in discarica. Insieme ai miei sogni di lavoro nel fascinoso campo del giornalismo nazionale. Ma così risolti tutti i dubbi, privilegiato definitivamente il rapporto con il mondo della sanità, tutte le mie energie sono state impegnate nel raggiungere una posizione dirigenziale e, a settembre di quell’anno, vincevo un concorso a Mirandola, in provincia di Modena. Come dire che la mia vita non doveva essere di là dal Grande Placido Fiume in terra lùmbard ma nella mia terra d’origine, la verde Emilia rossa.

Eppure l’amore per la scrittura restava, insopprimibile. Unito al bisogno di leggere e raccontare il mondo attraverso la visione e l’interpretazione del sociale. Così lentamente, grazie all’acquisto di un computer per i miei figli e alla conseguente scoperta di siti letterari in internet, ritornavo ad esprimermi in versi poetici. Era l’ottobre del 2005 quando negli scaffali delle librerie piacentine trovò spazio il primo libro poetico pargol del cor. Alla prima presentazione erano presenti, presumo in buona parte per curiosità (raro che un dirigente pubblico si diletti e proponga poesia), oltre 80 persone. Insomma un successo e sostanzialmente uno stimolo per iniziare un percorso di proposta girando di paese in paese (Castel San Giovanni, Castell’Arquato, Piacenza, Carpaneto solo in quell’ultimo scampo d’anno) con la collaborazione di Tiziana Mezzadri, attrice, di Fausto Chiesa, critico letterario, di musicanti accompagnatori. Venne dicembre e proprio Fausto suggerì una serata di nuovo a Pavia, nella libreria che lui conosceva e frequentava. Oggi, sette altre pubblicazioni dopo, credo oltre 50 presentazioni e vere e proprie esibizioni di musica (grazie anche a Francesco Bonomini in molte serate d’accompagno con il suo organetto diatonico), poesia, confronto, ebbene oggi ricordo quella serata a Pavia come una delle più emozionanti e partecipate. Personalmente. Perché presenti eravamo ben pochi. Al mio fianco Dalila, Fausto, il libraio organizzatore. Pubblico? Due. Ludovico Gaiuffi, amico e compagno di militanza politica, addirittura venuto da Piacenza in treno. Stefano (Drakul) Canepa di Pavia, poeta dark conosciuto attraverso appunto un sito internet, Scrivi.com. Assente Tiziana, con Dalila a subentrare nella lettura di poesie e, tra queste, “Luci nel fondo valle” (leggi qui) con Ludovico visibilmente emozionato, evidentemente scosso da quella fine d’un amore. Poi, alla fine, fuori nella nebbia dicembrina, tutti a mangiare in un locale con il proprietario che si rivela piacentino.

Ed ora, 2022, diciassette anni dopo, con Dalila, ormai nonni, di nuovo a Pavia. Sopravvissuti dal Covid, la belva che tra l’altro ha graziato anche Francesco. Con Tiziana ormai da anni uscita dal sodalizio, e Fausto che purtroppo non è più. Ed eccoci a scoprire il meraviglioso mondo della meduse. Che di solito hanno la forma di un ombrello con la parte curva verso l’alto. Colorano di riflessi l’acque degli oceani, dei porti e delle spiagge, sono ovunque, ora grandi come aquiloni, ora piccole, trasparenti, attaccate ai fondali o galleggianti, SONO LE MEDUSE! Talvolta velenose, possono sembrare lontane ma attenti ai lunghi tentacoli, meglio stare alla larga, evitare di fare il bagno. Hanno le caratteristiche di tutti gli animali, ma hanno il cervello? Hanno cellule nervose collegate in rete. Vivono, muoiono, dormono, vanno, vengono, mangiano. Come in fondo fanno tanti umani. Non amano la luce forte, di giorno vengono in superficie quando è nuvoloso o al tramonto mentre scendono in profondità quando c’è luce piena e per riposarsi, di notte.

Con delle pulsazioni ritmiche respingono l’acqua da sotto l’ombrella, così nuotano. Salgono verso l’alto, si lasciano poi affondare lentamente, quindi ricominciano. Viaggiano ad una velocità che va dai 6 ai 100 metri al minuto. Quando la temperatura dell’acqua è troppo bassa, si nascondono. Scendono e si attaccano in forma di polipi al fondale e non le vediamo più, anche per anni. Nel Mediterraneo troviamo meduse tipiche ma anche altre venute dai Tropici attraverso il canale di Suez o lo stretto di Gibilterra. Le chiamano meduse aliene ma in realtà si adattano benissimo alle acque diventate più calde per effetto del riscaldamento globale. Ma attenzione alla noce di mare, pericolosissima: voracissima è stata capace di svuotare di pesci il Mar Nero.

La più pericolosa però è la vespa di mare, capace di uccidere un uomo in pochi minuti. Per nostra fortuna vive nelle acque dell’Australia. Comunque normalmente il contatto con i loro tentacoli provoca solamente dolore, gonfiore e prurito. La prima cosa da fare è uscire dall’acqua e continuare ad asciugarsi. Invece per il prurito occorre applicare una crema in vendita in farmacia. Attenzione anche alla medusa Olindia. Nuota velocemente verso la superficie poi, arrivata a pelo d’acqua, apre i tentacoli e scende piano piano verso il fondo: durante la discesa cattura e mangia tanti piccoli crostacei. Sembra un agguato ma in realtà vuole solo mangiare.

Ma le meduse, sono buone da mangiare? In Giappone, Cina, Indonesia, nelle Filippine e in Tailandia sono ritenute un cibo prelibato. Piacciono agli uomini ma anche alle tartarughe marine e ai pesci luna. Purtroppo le tartarughe a volte ingeriscono la plastica abbandonata che trovano in mare perché le scambiano per una medusa. A causa del riscaldamento globale in aumento causato dall’uomo le meduse aumentano così rischiando di sconvolgere interi ecosistemi: l’uomo dovrebbe smetterla di inquinare, rovinare l’ambiente e pescare lasciando ai pesci la possibilità di ripopolare il mare. Così le meduse, trovando di nuovo tanti pesci a competere per lo stesso cibo, diminuirebbero in modo naturale.

Una precisazione d’obbligo: tutte le notizie relative al meraviglioso e tutto sommato per quanto mi riguarda sconosciuto mondo delle meduse sono tratte dal libro “Il giardino delle meduse” scritto da Paola Vitale e illustrato da Rossana Bossù, edizioni CameloZampa, in vendita al ben fornito bookshop museale con deciso apprezzamento per l’organizzazione e personale soddisfazione dopo alcune esperienze milanesi al limite della decenza. Ma in procinto di lasciare il locale che ospita la mostra sorge spontanea una domanda: viste le esperienze delle precedenti visite, a cosa prelude l’incontro nell’anno domini 2022 con Pavia? Quale mai sarà il nostro futuro prossimo venturo al di là del Grande Placido Fiume, nella nostra Piacenza? Come si suol dire, parafrasando la nota canzone resa celebre nel mio tempo da Doris Day “que serà, serà, nessun saper potrà, che mai succederà, que serà, serà“. Il mio tempo, tempo del paleolitico e del resto la mostra è ospitata all’interno del Museo di scienze naturali, tra riproduzioni di Mammuth, tigri dai denti a sciabola ed altri animaletti di preistorica memoria. Tutto quadra.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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