“Il cappellano. Appennini Natale 1944”, scenografia di Klaus Mann, Pendragon editore, 2018

Nel 1945 Klaus Mann, fiero oppositore del nazismo, figlio del grande Thomas, fuggito dalla Germania all’avvento di Hitler e poi naturalizzato americano, venne coinvolto dai produttori del film che avrebbe alla fine preso il titolo di Paisà con la regia di Roberto Rossellini. “Il cappellano“, sceneggiatura finora rimasta inedita che Pendragon di Bologna ha riscoperto e pubblicato nel 2018, doveva essere un episodio del film, per l’esattezza il settimo, ma svanì nel nulla probabilmente per contrasti tra lo scrittore e il regista che lo escluse dal cast degli autori (forse per eccesso di “libero pensiero” e di “lesa potestà di regia“) come inizialmente previsto. Siamo al passo della Futa, valico dell’Appennino tosco-emiliano,  altitudine 903 m s.l.m., sito in provincia di Firenze, nel comune di Firenzuola. Natale 1944. Le truppe anglo-americane sono attestate sulla linea gotica, in attesa di sferrare l’offensiva verso Bologna. Nebbia, nuvole, aspre montagne, edifici distrutti dalla guerra, fango, fango e ancora fango. Tanta neve sciolta. Nella realtà Klaus Mann era là, alla Futa, nel comando della V Armata nel paesino di Taverna, a fare la guerra psicologica contro i barbari guidati dalla svastica, a scrivere volantini per incitare i soldati tedeschi alla diserzione, a interrogare i prigionieri. Lui in quel fango c’era stato veramente e quel fango è passato dalla realtà alla sceneggiatura, al racconto scritto. Un cappellano militare americano predica ai combattenti di scacciare l’odio dal proprio cuore: il nemico, dice di fronte alla platea dei militari, va combattuto, non odiato (altrimenti, che differenza ci sarebbe tra truppe dell’uno e dell’altro versante?). Nel nome di questi valori di fondo, si prepara a dar festa per i bambini del posto: prepara caramelle, gomme da masticare, cioccolata, scatolette un albero di Natale, qualche giocattolo per una festa nella casa della moglie del podestà fascista, misteriosamente scomparso (lo scopriremo dalla parte di quegli italiani ultimi combattenti nel nome di Mussolini). Resta ai margini della festa, rifiuta d’essere coinvolto, Ernesto, figlio storpio del podestà, intelligentissimo ma inevitabilmente emarginato, corrotto dalla retorica fascista della supremazia e dell’atto esemplare, diverso, deriso, accecato dall’odio e dalla voglia di rivincita, di fatto simile a tanti italiani e tedeschi che si erano affidati a coloro che avevano considerato “padri”, Mussolini e Hitler. Ma per Rossellini e per i vincitori tutto questo non poteva, non doveva esistere, le immagini che potevano passare, a prescindere dalla realtà di un popolo confuso tra irriducibili difensori del passato e negazionisti dei valori di quello stesso passato, combattenti per la libertà, dovevano essere solo le immagini delle folli esaltanti, festeggianti, plaudenti al passare delle truppe alleate vincitrici. L’Italia di Rossellini, l’Italia avviata, per la propaganda dei soliti vincitori, verso la costruzione del mondo nuovo e, quanto alle contraddizioni, semplicemente non potevano e non dovevano esistere (li avremmo poi scoperti nel mondo reale, con i tanti fascisti più o meno ex che ritroveremo dopo qualche salto della quaglia nei ministeri, nelle forze dell’ordine, nei vertici dell’esercito, in magistratura, nei partiti democratici, nei posti di comando dello Stato, nei servizi segreti deviati, in misteriose formazioni paramilitari (come Gladio). Mann invece, già di suo viveva di contraddizioni. Tedesco antinazista convinto, fuggito negli Stati Uniti e qui accettato come cittadino a stelle e strisce ma dopo lunga attesa, oltretutto diverso dal comune sentire di un Paese ancora estremamente bigotto come l’Italia in quanto omosessuale, con notevoli difficoltà di relazione che lo porteranno al suicidio nel 1949. Ben rappresenta che, dietro all’apparenza, il male continua ad esistere, persiste. Mann nel suo racconto tratteggia l’ambivalenza di una popolazione che non sa come comportarsi con quelli che avevano comandato fino a poco prima, che sono padri, mariti, figli, componenti dello stesso popolo di chi viene liberato o ha combattuto come alleato dei liberatori per cui non può che salutare l’arrivo di chi porta cibo e doni, anche se qualcuno li definisce nuovi occupanti. Il soggetto de “Il cappellano” è stato riscoperto di recente da Frederic Kroll, biografo di Mann, pubblicato da Pendragon di Bologna nel libro curato da Pier Giorgio Ardeni e Alberto Gualandi, con contributi anche di Lorenzo Bonosi e Susanne Fritz. Per concludere, ritornando all’agire e predicare del reverendo Martin, dobbiamo osservare che gli Ufficiali, quelli a stelle e strisce, lo richiamano, lo censurano poco prima della festicciola. Quel suo mettersi a disposizione di bambini, donne, ragazzi della popolazione segnata dalla guerra, addirittura cercando di dialogare con Ernesto, quel suo ribadire che il nemico va combattuto ma non odiato, sembrano ammantarlo di inaccettabile larvato pacifismo. Un principio, come ci insegna la Storia e ribadisce Klaus Mann, che purtroppo risulta spesso inaccettabile per i vincitori, da qualunque parte essi stiano. Per questo la lettura del libro e soprattutto del sermone del reverendo Martin rimane attualissimo anche ai giorni nostri, giorni carichi di troppo odio e di ostilità verso chi viene definito diverso per provenienza, cultura, nascita, scelte di vita.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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