Il 9 aprile 2014 moriva Aldo Braibanti. Stefano Raffo lo ha ricordato su Libertà, quotidiano di Piacenza

Il 6 aprile 2014, moriva Aldo Braibanti. Aldo è stato un pensatore-poeta di grande valore e mi sembra doveroso, non solo giusto, ricordarlo oggi. Braibanti si è occupato di tante cose (anche radio, cinema, teatro) e i suoi approdi intellettuali sono sempre stati profondamente, nobilmente politici. Ora ritengo necessario ricordarlo per quello che è stato cuore, nocciolo, essenza del suo pensiero: l’uomo NON è superiore agli altri esseri viventi popolanti il minuscolo pianeta chiamato Terra. Di qui una sua originale visione del mondo, strutturalmente ecologista e obiettivamente rivoluzionaria, che solo la nostra consolatoria pigrizia (moi sur tous) ha teso a volte a considerare eccentrica, quando non stravagante. Ma è il destino dei precursori. [ Stefano Raffo ]

Con Aldo Braibanti scompare un altro pezzetto – in realtà, quanto grande – di Novecento, inteso come secolo in cui si è sperato di cambiare le cose, e di cambiarle davvero. Aldo, quel secolo, lo ha attraversato con la forza di una biografia libertaria e generosa fino all’autolesionismo. Figlio e fratello di grandi medici (il padre curava i poveri senza farsi pagare, il fratello Lorenzo è a tutt’oggi indimenticato in una vasta porzione di provincia piacentina), Aldo intraprende gli studi di filosofia a Firenze. Istintivamente antifascista, nel capoluogo toscano entra precocemente in contatto con gli ambienti della Resistenza, ne fa parte e sconta quella scelta obbligata con il carcere e le torture della efferata Banda Carità, una di quelle polizie parallele – spesso guidate da sadici – che la Rsi non sapeva nemmeno censire, tantomeno controllare.
Di quegli anni duri e straordinari Aldo ricordava le amicizie, su tutte la fierissima partigiana Teresa “Chicchi” Mattei (logica e dura come l’acciaio la sua rivendicazione circa la necessità di eliminare Giovanni Gentile, nientemeno) e la scelta per lui ossimorica, in quanto anarchico, di aderire al Pci togliattiano: “Anche a Firenze il fardello più pesante della Resistenza lo portarono i comunisti, quasi tutti operai. Aderire a quel partito in quel momento mi sembrò doveroso”. Militanza breve, tuttavia: responsabile cultura della gioventù comunista toscana, anno 1946, viene chiamato a Roma per volontà di Palmiro Togliatti. In Braibanti prevale l’afflato libertario e le Botteghe Oscure per lui non costituiscono approdo. Nasce qui il lungo dopoguerra di Aldo. L’arte, intesa come a-specializzazione, conduce Braibanti alla pittura e alla scultura (l’arte povera degli assemblages avec les objects trouvés), alla poesia, alla scrittura e alla regia teatrale. Poi l’imponderabile, con quella accusa di plagio violenta ma forse conseguente nell’Italia schizofrenica degli anni Sessanta, protestataria e tenacemente clericale, generosamente rivoluzionaria nelle intenzioni e tuttavia timorosa di smarrire un suo discutibile ordine costituito. Indispettisce fino al disgusto pensare che un uomo sia consegnato alla gogna per scelte di natura che per sola onestà morale definisco amorosa, e non sessuale, come (forse) il giornalettismo ancora vorrebbe. Basti sapere, oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, che a nulla valsero le mobilitazioni, anche della intellighenzia migliore (Piergiorgio Bellocchio, Pierpaolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Umberto Eco), così come può bastare sapere che Aldo ne fu così squassato da rinunciare a qualsivoglia difesa, erigendo di fronte alle accuse un muro, come si suole dire, di ostinatissimo silenzio.
Io, però, Aldo l’ho conosciuto a inizio secolo (XXI, beninteso) e l’ho conosciuto in quella città di Roma in cui lui abitava dagli anni sessanta (del XX, questa volta), compresa la parentesi di Regina Coeli (il processo per plagio, la condanna). L’ho dunque incontrato ottuagenario allo scopo di intervistarlo per ricavarne materiale poi divenuto libro. E il Braibanti che ho incontrato era un intelligentissimo vecchio, vitale e ilare, veloce sul porfido scivoloso del centro di Roma nella sua camminata rapida e insicura, simile a quella di tutti gli adorabili anziani. Certo, fu necessario vincerne la diffidenza, fu necessario assecondare l’ironica richiesta di farmi riconoscere, come nei vecchi film di spionaggio, grazie a un giornale infilato in tasca – era il manifesto – nell’animazione del mercato di Campo de’ Fiori. Io, poi, che quell’uomo piccolo e intabarrato fosse Braibanti l’avevo capito, poiché nessun altro avrebbe avuto ragione di apparire e scomparire tra le bancarelle di frutta e verdura, davanti alla libreria del Campo che non so se oggi ci sia ancora, in faccia al vetusto cinema Farnese che sicuramente c’è ancora, restaurato e vivo comme il faut. Si divertiva, sorvegliato dalla statua incappucciata del suo caro eretico Giordano Bruno. Braibanti, quando abitava al Portico d’Ottavia, nel ghetto ebraico, per gli abitanti del rione era “il professore” e a me narrava del grande cuore del popolo romano, “cinico in apparenza, ma generoso”. Nella sua abitazione-deposito-laboratorio viveva con il malandato cane Tico, un bastardino carico d’anni, poi con un furetto, infine con un bassotto nero dalle lunghe orecchie. In mezzo, però, c’era stata Cornyix, una gazza che non si sa come aveva eletto la casa di Aldo a sua abitazione (eccolo un nuovo, ateissimo San Francesco), fino al giorno in cui aveva deciso di volarsene via senza fare ritorno. Nei primi tempi, alle prime visite, Aldo mi mostrava anche un formicaio con una straordinaria formica regina, retaggio dei suoi studi di etologia (in vita è stato accompagnato da una robusta fama di mirmecologo). E poi le migliaia di libri accatastati, i libri letti e i libri da leggere, quelli scritti e quelli ancora da scrivere, le registrazioni delle trasmissioni radiofoniche condotte alla Rai nei primi anni Settanta, i testi per il teatro, le riviste e i giornali (tre o quattro, col caffè, ogni mattina).
E infine “l’esilio” a Castell’Arquato, sua remota sponda di Mar Nero, nonostante la vivida memoria del Torrione.
Caro Aldo, come potevi pensare che scrivendo libri con titoli così, tipo “Acrazia”, rifiuto del potere, ti si potesse ascoltare? In un paese di conformismo sornione e di quasi feroce esibizionismo tu, schivo al punto da considerare spudorata anche una timida esposizione mediatica, non potevi che ritirarti ai margini. Ma i margini li hai abitati con la dignità degli uomini e non fosse altro che per questa ragione la terra, che mai hai offeso, di certo su di te non peserà.

[ a cura di Stefano Raffo, giornalista ]

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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