“I tre giorni della Famiglia Cardillo (un’orribile storia di terroni)”, romanzo di Flavio Pagano, Piemme edizioni

Come potrebbe essere una famiglia di immigrati italiani di seconda generazione laggiù in Amerika? Naturalmente malavitosi, orgogliosamente mafiosi, ora e sempre più di ieri e meno di domani inequivocabilmente amabilmente terronici. Lui, il boss, che in realtà non ha ereditato le capacità del padre e da sempre resta un gregarietto non avendo al dunque la forza di tirare il grilletto: gran brutta cosa il cuore debole e la compassione per la vittima di turno, semplicemente incapace di pagare il pizzo per il cattivo andamento degli affari! La moglie? Naturalmente cristianamente Mary. Ex pin-up che dopo due gravidanze si è irrobustita e il sedere non sta più completamente nel maledetto specchio. La figlia che invece comincia a farsi donna e nello specchio ci entra eccome, iniziano i primi segni della maturità e s’affaccia la malizia. Infine il figliuolo, grassoccio e stupidotto che già comincia a guardare con interesse e cupidigia il revolver del papà. Gli italiani in Amerik, la Mafia eccola qua. Ora prendiamo questa famigliola e da Detroit portiamola in Italy per il matrimonio della figlia di don Pinuccio ‘o Cavaliere. Lui sì, boss di quelli veri, di quelli potenti, di quelli che potrebbero far fare un buon salto di carriera al nostro Tony, capofamiglia dei protagonisti della vicenda, i Cardillo per l’appunto. La prima volta: incontenibile l’emozione per il primo calare (dal cielo, all’aeroporto) nella terra d’origine, la bella Italia. Anzi, la bella italietta visto che nel nostro BelPaese, rispetto all’Amerik, tutto è piccolo, in miniatura, dalle case alle strade, alle auto. I nostri baldanzosi italoamericani affittano (non trovando di meglio con gran lamentio di Mary) una stationwagon vergognosamente senza televisione, senza frigobar, senza navigatore. E naturalmente don Pinuccio ‘o Cavaliere dove sta? Nel centro di una qualche megalopoli? Certo che no (del resto non esistono megalopoli in Italy)! Una villa, quella sì enorme, nelle colline del Cilento, raggiungibile attraverso stradine che, agli occhi di Tony, sembrano sentieri. Dove, senza navigatore, se arrivi dall’Amerik, il rischio di perdersi nel bosco è altissimo e immancabilmente, succede. E gira che ti rigira, mentre si scatena un temporale infernale, che succede a papà Tony? Gli scappa la cacca! Si ferma nel bel mezzo del bosco e s’apparta tra le frasche al riparo d’una  grotta. Come succede che, a questo punto, passa da quelle parti Carminuccio, serial killer spietato e psicopatico, e convince mamma culo grosso (e tette in correlata dimensione) e bambini amerikanini a salire sul suo pick up, va scoperto leggendo il libro. Diciamo solo che per fortuna di Tony l’agenzia di noleggio auto non avendo notizie dell’auto informa della scomparsa i Carabinieri mentre viene allertato contemporaneamente don Pinuccio. Partono le ricerche e laggiù, tra le colline del Cilento, arrivano le divise nere con la striscia rossa sui pantaloni insieme a giovanotti su rombanti auto di gran cilindrata eppoi giornalisti di telespinta alla ricerca dello scoop salvaposto in epoca di ristrutturazioni aziendali, pastori e tutto il resto del cucuzzaro interessato.  Si scopriranno fanfaronate giovanili di Tony che, per far colpo sulla bella Mary le aveva raccontato rapporti di parentela con il grande pardon il Grande Al Capone. E si scoprirà che la vecchia madre (ormai rincoglionita) di Carminuccio vanta una mezza parentela con la nonna di quel Capone partita per l’Amerik. Fatto che fa sperare a Mary (impacchettata nello scantinato del casolare di campagna dove stanno Carminuccio più madre e fratello) d’essere liberata ma la vecchia, che scopre la presunta comune parentela, purtroppo colta da alzheimer avanzato, prontamente se ne scorda.

Insomma, un libro, una Mafiaba, un’orribile storia di terroni, da leggere senza tirar fiato, dalla prima all’ultima pagina. 

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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