“I bambini di Pinsleepe”, romanzo di Jonathan Carrol, Fazi editore

Devo confessare di aver letto un solo libro del decantato e talvolta osannato Stephen King: ho trovato gratuite alcune pagine nelle quali il Re dell’horror descriveva con (inutile) dovizia di particolari l’arrotamento (rotolamento del corpo sotto le ruote dell’auto) di un bambino.

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Da quello decisi di non leggere altro, che il Re poteva accumulare royalties a prescindere dal mio contributo personale ed io potevo leggere altro.

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La traccia poteva essermi utile anche all’approccio con Jonathan Carrol: significativo il fatto appunto che, a suggerirne la lettura, fosse proprio il Re.

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Invece, alla fine, il giudizio si ritrova in bilico tra l’una sponda (quella dell’avvincente lettura) e l’altra (pollice verso). Certo, nulla da eccepire sullo stile e sulla capacità di inventare situazioni che afferrano il lettore: specie la prima metà del racconto riesce a passare di invenzione in invenzione generando stupore da stupore, ma alla fine un certo sfilacciamento narrativo porta ad appesantimenti che determinano qualche stanchezza (con recupero nel finale).

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Salvoché la verità invece non sia che semplicemente l’horror non è il genere a me più congeniale: allora, non resta che avventurarsi in libreria, abbandonarsi alla tentazione dell’acquisto, per alla fine giudicare e magari addirittura verifare l’assunto stesso ovvero che i bambini di Pinsleepe sono demoni dell’ampiamente sfruttato filone del terrore oscuro.

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La vicenda narrata? In buona sostanza il romanzo racconta di Philip Strayhorn, genialoide regista di film horror che, anche a prescindere dalla trama, diventano rappresentazione pura del Male e ispirazione per pazzoidi che confondono finzione e realtà.

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La saga dei “Film di mezzanotte” diventa leggenda e Philip arriva al folgorante successo scandito dal tintinnio dei dollari, apparentemente appagato nei desideri coltivati dopo gli anni bui dell’università e del difficile e avaro inizio carriera.

Proprio allora, giunto all’apice, si suicida nel suo ricco appartamento.

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Lasciando per l’amico Weber Gregston tre videocassette e una missione: la ricerca della verità.

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Nella prima videocassetta Weber trova il filmato degli ultimi istanti di vita della madre, morta anni prima precipitando con un aereo di linea: chi e come può aver girato quelle immagini che sembrano provenire dall’aldilà?

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Domande che comunque sono nulla, rispetto a quando Weber incontrerà quella bambina, Pinsleep,  forse un angelo che parla in nome di Dio, raccontando dell’avvertimento portato a Philip affinché salvasse la propria anima dal Male.

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Ma Philip si mostrò sordo e, a quel punto, non gli è rimasta altra soluzione se non il suicidio.

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Una morte che comunque non ha placato il Male scatenato e, a quel punto, il mondo è nelle mani di Weber.

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I bambini di Pinsleepe” rappresenta il primo capitolo di una serie, il “sestetto delle preghiere esaudite”: dovessi riprendere da capo la lettura non nego che lo rifarei (il romanzo, come dicevo, è ben scritto e a tratti la sorpresa lo rende avvincente) ma, nello stesso tempo, quasi sicuramente non leggerò i capitoli a seguire.

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Un fatto va comunque evidenziato: l’autore, al contrario del Re, non si arrotola in descrizioni più o meno gratuite di efferati delitti e spesso, anzi, in un ambito complessivamente più intriso di magia piuttosto che di terrore, si parla di amicizia e di amore.

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Una pagina, in particolare, mi ha colpito:

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Ogni volta che un sogno si avvera, ti avvicini un passo di più a Dio. Ma più ti avvicini a lui, più lo vedi bene, e più ti accorgi che non è come te lo immaginavi.

Mi innamorai di Cullen James nel modo in cui mi era sempre piaciuto innamorarmi: con l’entusiasmo gioioso e la dedizione di un adolescente, uniti alla piacevole capacità di apprezzare le cose, che solo l’esperienza può darti. La desiderai nel momento stesso in cui la conobbi. Era una donna per cui lottare, una donna da desiderare. Le parlai con troppa foga, volevo che sapesse ogni cosa e subito. Il suo sorriso mi disse che comprendeva la mia fretta. Il mio sogno si avverava.

Non abbiamo mai fatto l’amore. Non ho mai assaggiato la sua bocca minuscola. Era felicemente sposata con un uomo a cui non avevo niente da obiettare, un uomo in gamba, forte, fondamentale per lei. Io non lo ero, e qui il mio sogno si faceva fin troppo vero. Avevo finalmente trovato ciò che volevo, una moneta di inestimabile valore rinvenuta per caso in mezzo alla strada, ma non c’era alcuna effigie sul rovescio di quella moneta. Cullen voleva un amico, non un’altra persona con cui condividere la vita.

Perché lui e non io?

Perché io e te ci mandiamo fuori di cervello a vicenda… siamo troppo simili, Weber. La persona che più mi fa andare fuori di testa sono io. Cosa succede se due me o due te si ritrovano  la notte nello stesso letto? Certo, faremmo l’amore alla grande, e faremmo anche le più belle chiacchierate del mondo, ma entrambi conosciamo i punti deboli, come due maestri di karate. Tutti i punti di pressione più a rischio. Colpisci in questo punto e vedrai il tuo avversario crepare in un secondo. Colpisci in quest’altro e vedrai il tuo ego cadere a pezzi.

Danny mi dà la tranquillità. Non è una tranquillità ottusa. Noi ci bilanciamo a vicenda. Non è questo che dovremmo fare, cercare il nostro equilibrio?

“Come fai a sapere tutte queste cose se neanche ci proviamo?”

Perché ho paura che mi piacerebbe troppo vivere con te, e mi accorgerei troppo tardi del grande errore commesso.

“Questa si chiama vigliaccheria.”

Essere sicuri ed essere amati non è vigliaccheria. Tra noi ci sarebbe amore, ma non sicurezza, Weber, Ci ritroveremmo a lanciarci da un trapezio all’altro senza rete. Tutto va bene quando sei giovane e non hai altro da perdere oltre al cuore, ma quando invecchi, e ti accorgi che il cuore è solo una parte di un tutto unico, allora ti tiri indietro e preferisci avere una famiglia piuttosto che stare sospeso nel vuoto. Io preferisco sdraiarmi per terra e guardare le stelle nel cielo piuttosto che tentare di volare per raggiungerle, con pochissime possibilità di riuscita.”

Allora credi che esista qualche possibilità per noi?

“Certo. Ma sono pochissime, e io non voglio più correre rischi. Al momento ho un brav’uomo al mio fianco, ho un figlio, e una vita piena di gioie. Che cosa dovrei fare, puntare tutto questo ben di Dio sul tavolo da gioco nella speranza di vincere un piatto ricco? Quante volte capitano le vincite clamorose? Quanta gente si alza dal tavolo con le tasche piene di soldi?”

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Come dire: nell’economia del racconto concentrato sulla morte, anche un pizzico di filosofia di vita non guasta, tenendo sveglia l’attenzione più e meglio di qualsivoglia efferato squartamento (anche se forse, provare per credere, fa più male una lacerazione del cuore più che l’infierire sulla carne). Con una curiosità, peraltro: non è di certo Cullen James una protagonista della storia. Introduce tuttavia un interessante riflessione sulla vita e sulla morte, sui nostri destini, sui nostri cammini in questa vita preparandoci, forse, per un trapasso nell’altra dimensione il più sereno possibile. L’esatto opposto della tragica vicenda di Philip Strayhorn.

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A quali valori, dunque, orientare il nostro quotidiano?

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Potrebbe essere questo, il quesito ed il messaggio lanciato dall’autore: uno stimolo in più, tra i tanti che, ne va dato ampio atto, offre il romanzo. Non resta dunque che augurare buona lettura. 

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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