Trent’anni dopo l’esplosione del reattore numero quattro della centrale nucleare di Chernobyl, subiamo ancora gli effetti di una strategia politica «volta non a creare energia elettrica come si vuole far credere, dato che i Paesi che hanno oggi decine di centrali nucleari sono gli stessi che hanno la bomba atomica». Così Agostino Zanetti mette a tacere quelle che secondo lui sono sempre state informazioni non veritiere.
E a lui si associa Claudio Arzani -autore del libro ‘‘Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo’’ presentato mercoledì sera nella Sala della partecipazione in Via Martiri della Resistenza a Piacenza: «quando si iniziarono a costruire le centrali in Italia ci fecero credere che sull’energia atomica si sarebbe sviluppato il Paese che avremmo voluto e che senza quella fonte di energia saremmo tutti stati costretti ad utilizzare candele per l’illuminazione domestica. Dopo l’incidente di Chernobyl del 1986, si decise per terminare la produzione di energia nucleare e nessuno di noi oggi vive in casa con più di una candela».
Il volume scritto da Arzani, con la prefazione di Carmelo Sciascia e gli interventi di Luigi Pelò, sindaco “della sicurezza” a Caorso dal 1975 al 1985 e assessore alla centrale dal 1985 al 1995 ed Augusto Bottioni, presente a Leningrado il 1maggio 1986 alla Festa del Lavoro, a pochi giorni dall’esplosione del reattore della centrale di Chernobyl, «è una raccolta di racconti e testimonianze in prosa e poesia che nasce dall’urgenza di fare informazione, di divulgare ciò che al tempo è stato taciuto dal Governo russo e ciò che oggi le nuove generazioni non conoscono».
«Tutte le centrali italiane hanno ancora oggi scorie radioattive, così come nel suolo siciliano si nasconde la radioattività degli ordigni bellici americani» -dice Arzani. Insomma l’eredità del nucleare continua a perseguitarci e chi era mercoledì sera al tavolo dei relatori è convinto che del nucleare non ci si libererà mai, che il cosiddetto “green field’’ sia solo un’utopia.
«Non esiste al mondo una centrale nucleare che sia stata totalmente smantellata commenta Zanetti – sono tutte ancora sul proprio territorio, lì rimarranno per sempre e noi saremo costretti a fargli da guardia».
IL DEPOSITO NAZIONALE
L’ex sindaco di Caorso Luigi Pelò ha vissuto per vent’anni la storia della centrale ‘‘Arturo’’. «Nel 1969 si pensava che sul territorio della bassa arrivasse un nuovo settore industriale che potesse essere la ‘‘nuova Fiat’ a beneficio di tutti. C’era un’ignoranza diffusa dettata dal non sapere, perché ebbero beneficio solo gli esercizi commerciali e le agenzie immobiliari». E già quarant’anni fa, si parlava di Deposito Nazionale. «Ricordo perfettamente -rivela Pelò – che nel 1979 un tecnico esperto del Cnen (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) mi disse ‘‘io e te sicuramente non riusciremo a vedere realizzato il Deposito Nazionale e ho i miei dubbi che sarà mai realizzato nel nostro Paese’’».
Due le ragioni: «Per pigrizia dei politici e perché -aggiunge Pelò – Scanzano Jonico era il sito ad hoc per ospitare il Deposito Nazionale».
«Ma è stata anche la fine del progetto di costruzione del Deposito Nazionale in Italia -incalza Zanetti- dato che la sollevazione popolare ha creato un precedente, e permetterà ora ad altri di dire ‘‘no’’ allo stesso modo».
IL NUOVO SARCOFAGO
Intanto, mentre il Deposito non si costruisce, si sta realizzando la nuova copertura all’edificio che ospita il reattore esploso a Chernobyl. L’Unione Europea, e anche l’Italia con i suoi contribuenti, assieme ad altri singoli Stati, sta investendo oltre un miliardo e mezzo di euro, fondo gestito dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers),per realizzare il nuovo sarcofago alto 110 metri, lungo 164, largo 257 metri. L’impresa che ha vinto l’appalto è francese ma il fornitore degli elementi in acciaio dello scheletro del nuovo sarcofago è la Cimolai, di Pordenone.
«Il vecchio sarcofago -spiega Zanetti– è stato realizzato poco dopo il disastro del 1986 con il sacrificio di 200mila soldati. Ora le crepe, dovute all’età, e alla velocità con il quale è stato costruito, rischiano di determinare infiltrazioni d’acqua che a contatto con i1600 gradi del nocciolo del reattore potrebbe provocare un’altra esplosione».
Gli anni passano, ma il nucleare e i suoi effetti rimangono.
Una presentazione molto interessante che non tocca solo le corde emotive ma informa e apre le menti.