“Democrazia sanitaria nella rossa Ersilia”, resoconto d’una inaugurazione in Azienda Ospedaliera in tempo d’elezioni


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Imbruniva. Degno scenario per chiudere l’ennesima giornata d’impegni. Francesco Piva di Veano uscì dalla palazzina di direzione ospedaliera ancora carico di energie. Questione d’una notte, l’indomani s’annunciava una giornata importante, avrebbe consolidato quell’incarico di direttore generale faticosamente raggiunto grazie alle amicizie romane. Quel sistema di potere al quale apparteneva di diritto per fatto di censo: in definitiva poteva vantare  nobili origini anche se lui, della famiglia, rappresentava il ramo povero. Ignorato addirittura dalla cognata, quella famosa, quella animalista, quella delle grandi battaglie a difesa della foca. Certo al momento si trovava relegato ai margini dell’Impero, lontano dalla capitale, inviato a far gavetta, nonostante i cinquanta anni suonati, nella punta estrema della rossa Ersilia, ai confini con la verde Lombadia dominio degli odiati Bozzi e Bertusconi. Una tranquilla notte in attesa dell’alba, di quell’orologio che lentamente avrebbe segnato il tempo fino all’ora prevista, mezzogiorno in punto, i cancelli si sarebbero aperti, la prima auto sarebbe entrata nel parcheggio ospedaliero finalmente asfaltato grazie al finanziamento che lui in persona aveva ottenuto dal vertice regionale (con intercessioni dalla Capitale). Quanti acquazzoni erano piovuti da cielo da quando era salito sulla poltrona dirigenziale dell’ospedale, sostenuto dagli amici della Cocconi, l’Università zilanese vicina ai poteri economici e politici dominanti nel Paese, ora ammantati di centrosinistra, ora di centrodestra? Tanti, troppi acquazzoni e ogni volta il parcheggio si trasformava in una specie di terreno paludoso, costringendo pazienti del pronto soccorso e parenti in visita ad improbabili slalom tra il fango. Ogni volta immancabilmente erano gioie per le lavanderie ma nel contempo ai quotidiani locali arrivavano lettere di protesta e ormai l’assessorato regionale aveva già manifestato un deciso disappunto. Si profilava all’orizzonte una bocciatura alla prima verifica annuale del suo mandato? Non si erano ancora placati gli echi delle polemiche per quei milioni spesi per ristrutturare i locali della palazzina di direzione per assecondare le sue mire di rappresentanza. Per tacere dei milioni di lire necessari all’acquisto di un’auto di cilindrata degna del suo rango (certo non poteva presentarsi nei cortili della Cocconi con una modesta, proletaria Taif). Insomma, doveva recuperare in immagine, agli occhi dei dipendenti, della città, dell’assessore regionale dal quale dipendeva la conferma del suo incarico. Per questo aveva mosso mari, monti e soprattutto conoscenze altolocate per ottenere quel finanziamento. Ed ora mancavano poche ore. All’inaugurazione. All’arrivo della prima auto che lui in persona avrebbe ricevuto. Indossando un giubbotto giallo da posteggiatore con la scritta in evidenza, rossa, “Azienda Ospedaliera”. Da giorni preparava il sorriso adeguato. Per le telecamere. Delle televisioni locali e, naturalmente, della televisione ufficiale, quella che gli avrebbe garantito un passaggio nel tg regionale. Perché un direttore generale con pettorina proletaria, un direttore generale democratico nella regione della partecipazione acclamata era un direttore generale come si confà, degno della stima dell’assessore, gradito al Partito investito da sempre del governo regionale. Di conseguenza degno di rinnovo alla scadenza della verifica annuale. Per questo sentì il sangue gelare. Superato il muro che impediva la vista del piazzale del parcheggio lo vide. E gli parve di avere un mancamento. Il tendone sotto il quale si sarebbe tenuto il rinfresco per le autorità era montato nel punto sbagliato, avrebbe impedito un corretto posizionamento degli operatori televisivi, mandando a rotoli il progettato (e studiato a tavolino) “passaggio” nel piccolo schermo. No, nessun mancamento. Con grande freddezza tolse dalla tasca il cellulare aziendale, compose il numero della responsabile della comunicazione. Nulla da fare, il telefono nell’ufficio della dottoressa Steccante squillava a vuoto tra le scrivanie e i corridoi ormai avvolti nel buio della sera. Non era certo un problema, per Piva di Veano: chi aveva voluto e accettato di essere nominato ad incarichi di responsabilità con tanto di adeguate remunerazioni aveva dovuto giurare fedeltà e naturalmente doveva essere a sua disposizione in ogni momento, a necessità, tanto di giorno quanto di notte. Compose il numero personale e, dopo poco, la voce della Steccante s’affacciò alla cornetta. Incapace, inetta, stupida donnetta furono gli appellativi più gentili che infuocarono la linea, stordendo la malcapitata. Alla quale non restò che rindossare lo spolverino da poco gettato sul letto in camera, spiaccicare qualche parola di scusa al compagno che, vedendola paurosamente sbiancata in volto, non osò chiedere altro mentre lei si precipitava alla porta. Venti minuti. Per percorrere i cinquanta chilometri che separavano la sua abitazione in collina dall’ospedale provinciale. Compresi i due autovelox collocati agli incroci della statale nei rettilinei del comune di Carmato  e della frazione di San Zenone. Naturalmente, impietosi. Il conto sarebbe stato salatissimo ma nessun conto spaventava più della rabbia di Piva di Veano e soprattutto del rischio di dismissione dall’incarico dirigenziale. Certo, prospettive comunque fosche: che si poteva fare, ormai? L’orologio al quarzo nel cruscotto della Brysler 4×4 aveva ormai superato le 21, non le restava che subire una nuova bordata di insulti, a testa china. Niente di tutto questo. Il direttore generale aveva completamente recuperato il sangue freddo, lo sguardo fisso vagamente allucinato, l’estrema lucidità mentale e naturalmente aveva individuato la soluzione. Bastava richiamare in servizio gli operai dell’ufficio tecnico integrandoli con manovali di qualche cooperativa esterna. Smontare il tendone, spostarlo nella giusta posizione, rimontarlo. Un lavoro che avrebbe tenuto impegnati per ore, fino a notte fonda, gli operai dell’ospedale e gli addetti della cooperativa esterna. Che vennero richiamati d’ordine dell’ingegnere capo a sua volta costretto ad abbandonare la serata in famiglia. Senza badare al diritto al riposo di quanti avevano terminato il turno di lavoro da poche ore. Ferme restando, democraticamente, le maggiorazioni economiche legate al lavoro notturno naturalmente a carico del bilancio pubblico nonostante lo stesso fosse già in grande sofferenza. Democrazia sanitaria. Democraticità e generosità dell’illustre direttore generale. Con buona pace di converso dei lavori di manutenzione ordinaria che l’indomani quegli stessi operai, data l’inevitabile conseguente assenza, non avrebbero potuto garantire. In compenso il giorno dopo, mentre i lavoratori della notte finalmente dormivano e la Steccante stava elegante in prima fila nonostante gli occhi rossi leggermente gonfi, già nell’edizione delle tredici del tg il volto sorridente di Francesco Piva di Veano bucava il video, portando alle stelle il gradimento della città per quel personaggio arrivato dalla Capitale con la nomea d’essere dalla parte giusta, dalla parte del potere di centrosinistra, al governo in Ersilia praticamente da sempre. Ovviamente consolidate le chance di rinnovo alla scadenza dell’anno, a prescindere dall’aumento delle gravi sofferenze di bilancio. 

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Nomi, personaggi, luoghi e fatti descritti nel racconto sono di pura fantasia senza alcuna corrispondenza con fatti e persone della realtà
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Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

3 Risposte a ““Democrazia sanitaria nella rossa Ersilia”, resoconto d’una inaugurazione in Azienda Ospedaliera in tempo d’elezioni”

  1. perchè questo accanimento? non é ora che si stacchi la spina dei ricordi?

    Ciao

  2. Accanimento? Spina dei ricordi da staccare? Domani sarà il 25 aprile, non dimentico quel Benito che faceva andare in orario i treni e nello stesso tempo ordinava l’uso dei gas per piegare la resistenza dell’esercito eritreo contro i soldati italiani invasori. Nessun paragone, naturalmente, tra la realtà del regime di allora e la fantasia della mia storiella di oggi se non la morale che il passato serve se ricordato e analizzato per evitare di ripetere gli errori di ieri. Nessun accanimento, dunque, ma semplicemente una storia che toglie la maschera ad una forma di potere che ordina e dispone prescindendo dal rispetto del lavoro. Storia insomma d’un esempio da non imitare.

  3. Staccare la spina dei ricordi, come scrive chi ha lasciato il primo commento, significa morire, significa non aver futuro. E come tu scrivi domani è il 25 aprile ed è un ‘ottima occasione per non smettere di ricordare.

    Una cronaca amarissima, la tua, Claudio, e purtroppo non surreale o fantascientifica, ma molto aderente alla realtà

    Buon 25 aprile!

    Milvia

    Milvia

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