Arrivava nel BelPaese la TV con l’inizio delle trasmissioni ufficiali. Era il 3 gennaio 1954, poco più d’un mese prima del mio arrivo sul pianeta. Era, per l’appunto, febbraio, giorno del Signore domenica 14. Tre anni dopo, per l’esattezza il 3 febbraio, s’mpadroniva dello schermo Carosello.
Naturalmente di tutto questo io non sapevo nulla. C’eravamo trasferiti da Fiorenzuola a Sant’Antonio, praticamente periferia della città per poi nuovo trasloco andare in via IV novembre, oltre al fossato che circondava le mura di Piacenza. I nostri lussi erano la ghiacciaia, un piccolo mobile che fungeva da raffredda e conservazione cibi grazie ai blocchi di ghiaccio che papà andava a prendere in bicicletta talvolta caricandomi in canna. Televisione? Personalmente manco sapevo cosa fosse. E così i vicini. Anzi, nei paraggi era ancora da venire il primo bar per cui dopo cena tutta la famiglia semplicemente andava a dormire.
La Tv arrivò in casa nei primi anni 60. Carosello era già cresciutello ma il vero ricordo che mi rimane è quello della prima sera, dell’emozione del sedersi in salotto tuttinsieme, compresa la nonna che ogni tanto, dopo la morte del nonno, lasciava la casa in collina, in Val Chero, e viveva con noi. E proprio la nonna si fece protagonista. Veniva trasmesso un film e improvvisamente l’attore protagonista, maramaldo, baciò l’attrice. Sulla bocca! Eresia! Tutti a letto, intimò nonna Carolina. Mamma e papà compresi.
Erano, come dicevo, anni poveri, il BelPaese stava attraversando una fase di grandi trasformazioni, molti giovani lasciavano le campagne, attratti dalla vita diversa garantita o promessa ora dai cantieri edili ora dalle fabbriche. Così zio Giovanni acquistò addirittura un’auto, una Fiat Topolino. Aveva due posti a sedere ma alle spalle c’era lo spazio per uno sgabello tipo quelli usati per mungere le vacche ed io qualche volta viaggiavo così. Invece con papà e mamma, quando s’andava a trovare i nonni in campagna, si viaggiava in Vespa. In tre. Badando a studiare tracciati secondari per evitare incontri con vigili e poliziotti (che comunque, fuori centro città, erano praticamente assenti.
Anni poveri, certo, ma anni speciali. Gli anni della mia infanzia. Gli amici a scuola, la parrocchia che evitavo: quei preti in toga nera mi facevano paura, mi ricordavano pipistrelli con le ali spalancate e i denti aguzzi pronti ad afferrarti alla gola. Mamma mi dava qualche soldino da offrire ed io andavo a comprare cicche o patatine (naturalmente Pai), poi aspettavo quella ragazzina, Anna Maria, che usciva dall’oratorio finita la messa. C’erano le partite con le figurine e giù botte quando ho scoperto quel manigoldo che vinceva sempre grazie al trucco di incollare una figurina sull’altra. E che dire della dolce Euchessina che alla sera ci tormentava all’ora di Carosello? Per i bambini buoni l’Euchessina e per gli altri … lassa chi pontan!
Insomma, erano gli anni di noi, tutti Calimeri, piccoli e neri, vittime d’un mondo fatto da adulti che avremmo voluto migliore. Un mondo in mostra fino all’8 dicembre che a Mamiano di Traversetolo, mi ha accarezzato di nuovo il cuore, con tanta nostalgia e un pò di tristezza per gli anni passati. I tanti anni passati. Carosello non esiste più. Il 1° gennaio 1977 il siparietto si è spento: noi Calimeri eravamo cresciuti, diventati a nostra volta adulti e, alla sera, all’ora della pubblicità eravamo già in strada, a seguire quella ragazza che al momento amavamo e, naturalmente, con lei saremmo volentieri andati a letto. Dopo, durante e anche prima di Carosello, per l’appunto.