La norma è fondamentale, ma in molti la dimenticano o, peggio, la citano a sproposito, giusto nelle parti che fanno comodo. Nell’articolo 41 della nostra Costituzione si avverte in modo molto forte l’essenza del compromesso, cui arrivarono le forze politiche alla Costituente: un compromesso buono, radice della democrazia. Niente a che vedere con quello a cui siamo abituati oggi, che punta spesso a confermare le proprie poltrone: quel compromesso i giornali spesso lo chiamano “inciucio“, un termine goffo che a parer mio la butta quasi in satira, senza far risaltare la gravità della situazione. Ma torniamo alla norma. L’articolo 41 recita: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali“. Si inizia con un’impronta liberale, ma la trattiene il richiamo fortissimo ai principi di dignità umana e utilità sociale. La politica, dunque, entra nell’economia non solo come sostegno, ma anche come controllo dei modi di svolgimento, per una correzione in senso sociale di un’attività che altrimenti sarebbe puro profitto individuale. Nell’ottica dei costituenti è quindi previsto un sistema economico di “economia mista”, con un intervento e un controllo pubblico costanti, e non di “economia liberista”, in cui il mercato deve correre senza freni senza rendere conto a nessuno, ispirata al profitto egoistico.
Spesso invece certi manager poco illuminati e vari politici richiamano l’articolo 41 solo nella prima parte: per loro “l’iniziativa economica è libera”, ma dimenticano volutamente tutto il resto. Per dire, nel 2009 una proposta di riforma voluta dall’allora governo Berlusconi, e sostenuta tra i tanti anche da Marchionne, mirava a eliminare il riferimento all’ “utilità e ai fini sociali”: al suo posto, doveva esserci un vago e generico, e alquanto pericoloso, riferimento all’ “essenziale contributo al benessere generale”
Per fortuna quella riforma è poi caduta nel nulla, ma con il Governo Monti abbiamo dovuto assistere all’introduzione del pareggio in bilancio in Costituzione (modificando l’articolo 81!): lo ha votato un’ampia maggioranza, nel silenzio assordante e complice di gran parte delle istituzioni. E’ questa purtroppo la vera riforma, ahimè avverata. Il principio costituzionale rischia di concretizzarsi solo nell’iniziativa economica privata, nella prassi è ricostruito unicamente intorno alla concorrenza: la sicurezza, la libertà, la dignità, che dovrebbero essere principi fondativi, vengono degradati a meri limiti.
Un rovesciamento inammissibile, che sovverte la logica costituzionale e incide direttamente su principi e diritti fondamentali. I diritti sociali vengono sempre di più ridotti a termini di guadagno, di vantaggio. Un’ economia deviata li sovrasta. Prima viene il denaro, poi le persone. «Stiamo vivendo una fase costituente – dice Stefano Rodotà – senza averne adeguata consapevolezza».
Attenzione quindi a chi grida a gran voce l’esigenza di una riforma della Costituzione. Ogni volta che la politica ritiene necessario intervenire sulla Costituzione parla di “buona manutenzione”, ma siamo di fronte a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo: le poche voci critiche non sono ascoltate. «Si deve fare cosi’ perché l’economia ce lo impone», dicono. Ma non è cosi, e non può essere cosi’. Poniamo la Costituzione come madre a difesa non solo dei nostri diritti, ma dei diritti di tutti. L’unico modo per farlo è ascoltare la nostra Costituzione.