“Aldo Braibanti ci spiega la lotta di liberazione partigiana”, commento di Carmelo Sciascia

Partigiani in ValTrebbia (Pc), foto proposta da Museo della Resistenza piacentina. Il commento di Carmelo, invece, è riferito alla lettera scritta nel 1945 da Aldo Braibanti al compagno combattente Gianfranco, caduto nella lotta clandestina. Lettera che potete leggere cliccando qui

Sulla poesia e la politica si potrebbero scrivere interi trattati. Alcuni credo siano stati scritti realmente. Se dovessimo trovare un collegamento tra i due termini, potremmo dire che sono due manifestazioni necessarie all’uomo.
La poesia per vivere, la politica per sopravvivere. Il pane e le rose, come si diceva in anni “sospetti”.
Ci sono degli uomini che hanno avuto ed hanno ancora oggi la fortuna di vedere coincidenti questi aspetti. E la lettera di Aldo Braibanti mi sembra ne sia una testimonianza. È la testimonianza di come in un uomo, vengano a coincidere la politica (la filosofia) e la poesia (la ricerca naturalista). Così come sono coincise in poeti come Quasimodo o Neruda. Il poeta cileno scrive nella sua autobiografia, “Confesso che ho vissuto”, che si era definito di fronte a se stesso come partigiano durante la guerra di Spagna. Quasimodo, fa la sua Resistenza, senza armi, con la poesia, basti pensare alla lirica scritta nel ‘45 “Alle fronde dei salici”.
La lettera, che tutti abbiamo avuto la possibilità di leggere perché pubblicata su Libertà, grazie al nipote Ferruccio, è la testimonianza di un momento alto della storia politica nazionale: la lotta di liberazione partigiana. La politica è il sistema della pianificazione e della programmazione dello sviluppo economico della società. La poesia è il sistema economico di un linguaggio personale, intimo, capace di scatenare forti tensioni emotive. Le due facoltà si riscontrano in questa lettera ad un amico – Gianfranco Sarfatti – ucciso dai fascisti, per una credenza politica.
Una fede. “la fede era certezza, e per la prima volta nella nostra grigia ed afosa giovinezza la vita era degna di essere vissuta. ” La fede in un futuro migliore, in un cambiamento ineluttabile. Essere partigiani voleva dire prendere parte, operare una scelta di campo, porre fine a qualsiasi compromesso.
Operare con la forza crudele delle armi e sentire con cuore puro di fanciullo gli eventi della vita che travolgono e trasformano ogni partecipante. Così recita una poesia della Merini: “I poeti lavorano di notte – quando il tempo non urge su di loro, – quando tace il rumore della folla – e termina il linciaggio delle ore”. I politici all’opposto lavorano di giorno (anche se a volte, non è da escludere, anche di notte), ed il tempo incalza le loro scelte, ed i rumori della gente sono tanti da diventare boati. Ma i poeti come i politici devono avere scienza e conoscenza, devono avere gli strumenti per esprimere le loro idee e poterle realizzare.
Devono essere predisposti ad ascoltare. Ad ascoltare le esigenze della società, come corpo costituito da entità singole, da individui che non fanno parte sicuramente di un organismo sociale come quello del Leviatano hobbesiano. Il politico deve conoscere gli strumenti per affrontare i problemi dell’economia, deve conoscere i problemi della giustizia, deve sapere salvaguardare e sviluppare la democrazia. I poeti devono conoscere la metrica, il suono delle parole, il significato di ogni termine usato per unire le parole, tanto da trasformare un foglio in uno spartito che suoni come sinfonia e che sappia toccare e scavare nell’animo di ognuno di noi. E mentre tanti politici si allontanano sempre più dalla gente comune, il poeta si avvicina. Non è un caso che tantissimi scrivono di poesia.
Ma le due cose dovrebbero essere riavvicinate se non unite, se vogliamo una società più umana, meno competitiva e più solidale. Ho incontrato don Gallo a Piacenza diverse volte, l’ho rivisto adesso in una foto, (come non riconoscerlo e non ricordare don Gallo), che con pugno chiuso e sigaro in bocca continua a guardarci sorridente. Novello partigiano. Ecco chi sono i partigiani ancora oggi, chi riesce a fare politica ed a fare poesia, per credenza religiosa, per convinzione ideologica.
E quando vedo personaggi simili, riesco nel nihilismo che ci circonda, ad intravedere ancora la speranza. La speranza che ci indica in quel meraviglioso scritto il filosofo-partigiano Aldo Braibanti: “La morte nulla ha mutato: tu continui con noi la nostra battaglia”. -dice all’amico ucciso, mentre proseguendo sembra rivolgersi a noi: ” Ancora bisogna lavorare, duramente, senza abbandoni”. Per che cosa? Per chi? Viene voglia di dire come Calvino, che la società degli onesti può essere immaginata come “qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è”.
Sì, probabilmente ancora non sappiamo cos’è la comunità degli onesti, ma sappiamo cos’è quella dei corrotti e dei disonesti, è quella società che considera la giustizia come (sembra) la definiva Giolitti: “Le leggi si applicano ai nemici, e si interpretano per gli amici”. I ragazzi di oggi che nulla sanno di fascismo, devono prendere coscienza di vivere un altro fascismo, per certi aspetti più subdolo e pericoloso: l’imposizione del mercimonio.
Che con una apparente ed urlata libertà li priva nella sostanza di qualsiasi autonomia critica e decisionale.
È la garanzia di una reale democrazia, il ridestare maieuticamente lo sforzo autocritico, ci dice il filosofo Aldo. Ma non basta. accanto al filosofo c’è il politico partigiano che ci farebbe dire: “Ora e sempre Resistenza”…. Ma è bene terminare, non con parole d’ordine, ma con una sommessa e sentita frase del Braibanti poeta: ” Ma tu sai – e solo ora ci è possibile dirlo – noi ascoltavamo il battito comune del nostro cuore nell’ansia delle cose e degli uomini intorno”. Frase che da sola è una compiuta e sentita poesia ermetica!

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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