Giacigli di fango rossastro schiudono al primo sole la nascosta ferita. Una bambola rotta intrisa di sangue accanto ad un piccolo corpo supino. Mani tese, impietrite, fendono l'orizzonte come piccoli arbusti riarsi. Occhi socchiusi, senza luce, bocche aperte in un grido muto. Esili gole recise; ferite d'agnello prescelto per un dio risvegliato. Il fumo di Auschwitz si rialza nel cielo, lo stesso silenzio di Hiroshima nell'aria. Un uomo alimenta l'inceneritore; occhi sottili sopra il panno calato sul viso, mani precise al lavoro. Fucile a tracolla. Pure, un tempo, i suoi pomelli bruni s'increspavano in tenui sorrisi, i suoi occhi fremevano alla vista di un sogno. Luccicavano di pianto. La sua piccola mano stringeva un giocattolo rotto. Ora respira morte. Lingua di Babilonia, fiato di Geenna. Sparge al vento la sua parte di cenere. Certo non sa che semina in ogni sua manciata mille piccole braccia protese dalla terra ad impugnare una bambola risorta.
Sabra e Shatila erano due campi di rifugiati palestinesi alla periferia di Beirut. Furono teatro del feroce massacro di un numero di inermi arabi palestinesi, stimato tra diverse centinaia e 3500, tra cui un gran numero di bambini, perpetrato da milizie cristiane libanesi in un’area direttamente controllata dall’esercito israeliano, tra il 16 e 18 settembre del 1982.