Piacenza: “abbiamo 250 milioni dalla Regione? Spendiamoli in salute, non per un nuovo ospedale”

L’attuale Polichirurgico a Piacenza

250 milioni per un nuovo ospedale a Piacenza che, al momento, ad un passo dalle elezioni comunali, l’assessore alla sanità e il presidente della Regione promettono di mettere a disposizione. Un investimento che fa luccicare gli occhi a qualcuno: dal candidato Sindaco del Partito Democratico, a primari ed infermieri che lamentano gli scarsi spazi attualmente a disposizione dopo il (temporaneo?) trasferimento dei reparti dell’ospedale di Fiorenzuola, oltre al fatto che l’attuale struttura risulterebbe ormai superata dai tempi.

Considerazioni che hanno lasciato perplesso Piersergio Serventi, primo Direttore Generale dell’Azienda Usl negli anni ’90 al quale va ricondotta proprio l’inaugurazione dell’attuale Polichirurgico di via Taverna.

Nel 1994 ho avuto l’onore di aprire il nuovo Ospedale, ha postato in facebook, dopo circa 20 anni di problemi e per questo ho ricevuto apprezzamenti che ancora ricordo con soddisfazione. Però 23 anni mi sembrano pochi per considerare ammortizzati e ben spesi i 124 miliardi di vecchie lire che alla fine era costato. Ora si pensa di spendere 250 milioni di euro per fare un altro nuovo Ospedale? Allora le risorse non mancano! Mi deve essere sfuggito qualcosa circa la crescita delle esigenze della sanità piacentina in termini edilizi degli ultimi 20 anni. Curiosità: dell’attuale ospedale, nuovo e vecchio ristrutturato in gran parte, che se ne farà?

Ma non solo. Le perplessità sono innanzitutto generali. In Europa l’86% dei decessi è attribuibile alle malattie croniche non trasmissibili che a loro volta determinano il 77% degli anni di vita in salute persi e il 75% dei costi sanitari. Una vera e propria epidemia tipica di tutte le società sviluppate che si dettaglia a livello mondiale in malattie cardiovascolari (48%), tumori (21%), malattie respiratorie croniche (12%), diabete (3,5%). La maggior parte di queste malattie e le conseguenti morti premature vengono attribuite a cause complesse (genetiche, ambientali, comportamentali) che hanno negli stili di vita insalubri le cause principali: alimentazione scorretta, scarsa attività fisica, fumo, alcol.

In realtà a monte di tutto questo troviamo come ‘causa delle cause’ i ‘determinanti sociali di salute’: reddito, occupazione ed educazione sono fattori decisivi per lo stato della salute delle persone. I cittadini in condizioni di svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza, ad essere meno soddisfatti della propria salute e a morire prima. Il rischio di morire ad esempio cresce regolarmente con l’abbassarsi del titolo di studio; tra gli uomini fatto uguale a uno il rischio di un laureato, la mortalità cresce del 16% in chi ha raggiunto solo la maturità, del 46% in chi ha un titolo di scuola media e del 78% per chi ha fatto solo le elementari.

Queste considerazioni modificano l’approccio ai temi di salute: se morbosità e mortalità dipendono in maniera decisiva dallo status socioeconomico, l’azione in difesa della salute pubblica non può essere confinata all’ambito sanitario ma deve investire tutte le politiche, dal fisco ai trasporti, all’ambiente, al lavoro, all’educazione. In pratica occorre, da parte di chi governa (partendo dai massimi sistemi alla gestione di un territorio locale)  considerare la salute in tutte le politiche.

Nel settore sanitario bisognerebbe orientare l’azione molto più decisamente verso la prevenzione e la promozione della salute, settori che attualmente utilizzano solo il 3% circa delle risorse complessive del budget della sanità (compresa la sanità veterinaria). Inoltre la prevenzione delle malattie croniche non dovrebbe concentrarsi solo sugli stili di vita in quanto tali ma sui loro determinanti sociali, appunto ‘la causa delle cause’: senza questa consapevolezza le politiche per migliorare gli stili di vita nella popolazione sono destinate a restare in gran parte inefficaci.

Le disuguaglianze di salute riguardano l’intera popolazione, dai più poveri ai più privilegiati, tuttavia alcune categorie di individui sono più vulnerabili e risentono maggiormente di meccanismi di esclusione sociale che amplificano ricadute negative di salute: i disoccupati, i disabili, gli infermi mentali, gli stranieri, i senza casa, i monogenitori, i poveri, gli anziani poveri.

Le azioni di contrasto delle disuguaglianze di salute, dicevamo, non devono coinvolgere solo la sanità ma tutti i settori di governo.

In sanità i principali interventi sono la prevenzione e in particolare interventi soprattutto ‘ambientali’ rivolti agli stili di vita (come l’introduzione del divieto di fumo nei locali pubblici e una pianificazione di conseguenti attività di controllo) oltre a maggiore attenzione ai ceti più svantaggiati che di regola mostrano scarsa adesione agli screening (mammella, colon-retto, Pap test). A seguire la necessità di migliorare l’equità di accesso all’assistenza specialistica per la quale si evidenziano deficit di utilizzo da parte di chi occupa una bassa posizione sociale (istruzione e status). Infine la necessità di garantire una copertura sanitaria veramente universale aumentando l’offerta gratuita delle cure: negli ultimi anni infatti si registra il fenomeno dell’abbandono delle cure (intorno all’8%) per motivi economici con in evidenza le spese odontoiatriche, oculistiche e quelle dei farmaci.

Ruolo fondamentale deve poi essere ricondotto:

  • al mondo della scuola che può dare un grande contributo con programmi rivolti al benessere mentale, alla corretta alimentazione, all’attività fisica;
  • ai servizi dedicati all’infanzia periodo nel quale si forma il nostro capitale di salute;
  • al mercato del lavoro per ridurre la disoccupazione e superare il precariato in attesa del reddito minimo garantito strumento fondamentale per la salute del lavoratore;
  • all’ambiente del lavoro rivolgendo l’attenzione all’ambiente fisico (rumore, temperature ambientali), alle mansioni (carichi di lavoro, cura dell’autonomia individuale, incentivazione all’inserimento in lavori di gruppo), alle relazioni sociali (comunicazione all’interno della singola Azienda, supporto sociale);
  • alla protezione sociale: ricordiamo che i sussidi contro la povertà costano meno delle misure sanitarie successive in mancanza dei primi;
  • all’accesso ai servizi: servizi orientati a non accrescere le disuguaglianze devono sviluppare particolare attenzione verso i lavoratori a basso reddito, le persone che vivono da sole, coloro che non possono permettersi una casa e che hanno un livello basso di istruzione e di reddito;
  • all’ambiente urbano: operazioni di trasformazione urbana volta ad aumentare l’offerta di percorsi pedonali e ciclabilità con un’alta offerta di servizi facilitano le scelte di salute; gli spazi verdi influiscono sulla salute mentale e fisica; la cura del decoro urbano diminuisce l’incidenza di microcriminalità; la presenza di servizi di prossimità (negozi, librerie, scuole) fornisce l’opportunità di integrazione sociale e aiuta a promuovere benessere e salute mentale.

Concludendo, abbiamo 250 milioni che la Regione garantisce a Piacenza da investire in salute? Spenderli, in epoca di grandi tagli proprio in sanità, per realizzare un nuovo ospedale sembra proprio l’ultimo dei bisogni di una città con decine di altri bisogni ‘preventivi’, con la prospettiva di ottenere scarsissimi effetti concreti sulle effettive cause delle cause della morbilità e della mortalità.

Arzyncampo sostiene la lista Passione Civica della candidata Sindaca Sandra Ponzini e la candidatura come consigliera comunale di Dalila Ciavattini, 56 anni, diplomata ragioniera, Impiegata. Le sue motivazioni per la candidatura di sostegno a Sandra: “Mi rendo disponibile perchè ci credo. Credo in una città diversa, la città di Sandra, una città dove si respiri meglio, con una sanità più facilmente accessibile che organizza ambulatori di prossimità nei quartieri periferici, una città attenta a chi lavora. Senza dimenticare i bisogni del tempo libero, dell’arte, della cultura”

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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