“Nelle fauci degl’Agnelli entra alla Camera del Lavoro di Piacenza. 52 anni dopo per fortuna senza più Celerini in tenuta antisommossa: un libro, cultura, prospettive dell’economia, poesie dalla fabbrica, musica, sempre dalla parte di chi lavora”, 6 giugno 2022, ore 17.30

Credo fosse l’inverno del 1970. Avevo 16 anni, s’ascoltavano i Beatles e i Rolling Stones, pop, blues, hard rock, Deep Purple, Black Sabbath, Led Zeppelin e Antonio, che nella vita avrebbe indossato l’abito talare, in classe chiedeva “che li ascoltate da fare che tanto parlano in inglese: ci sono cantanti italiani a decine, ascoltate Sanremo“. Il BelPaese provincialotto. Pane, Nutella e gorgo di casa nostra. A scuola c’era fermento. Anzi in (quasi) tutte le scuole cittadine soffiava il vento della contestazione del post ’68. Arrivavano i ragazzi dello Psiup con i loro volantini, nasceva il Movimento Studentesco, i Collettivi del Movimento, Potere al Popolo, Servire il Popolo, il Partito Comunista marxista-leninista. Una giungla di sigle comunque accomunate da uno slogan, “studenti, operai uniti nella lotta“. E finalmente venne dichiarato lo sciopero generale di tutte le scuole della città. Pochi, quel giorno, entrarono al Romagnosi. Tutti (tranne quelli del vicino Classico) in chiassoso corteo, qualche cartello per contestare i costi del biglietto della corriera per gli studenti della provincia, le prime bandiere rosse, l’apparizione d’una bandiera nera: servì qualche spiegazione per tranquillizzare, era una bandiera del gruppo Anarchico (già, c’erano anche loro), nessuna Fiamma e nessuno a cantare ‘Faccetta Nera‘ e tanto meno “Giovinezza, Giovinezza (Primavera di bellezza)”. Via Cavour, piazza Cavalli davanti alla sede del Municipio urlanti ma tutte le finestre erano chiuse e il portone sbarrato con un paio di Urbani grintosi a vigilare sull’ordine costituito e sull’incolumità (“che non si sa mai con queste teste calde rosse“) di qualche assessore nascosto dietro le finestre del 1° piano. Rappresentanti della Balena Bianca (la Dc) e dei suoi fedeli ‘cespugli‘ del Pli, del Pri, dello Psdi, quelli che chissà perché li chiamavano ‘piselli‘ e qualcuno nel corteo inalberava un cartello con scritto ‘socialdemocrazia nemico di classe‘. Il Corso con le serrande abbassate, piazzale Genova per ricongiungersi con gli studenti (pochi) dello scientifico più interessati a protestare per ottenere la macchina distributrice della Coca-Cola per la ricreazione. E le prime voci concitate: a poca distanza, in via IV Novembre, il corteo dei ragazzi dell’ITIS e delle Professionali era entrato in contatto con i Celerini e uno studente era stato caricato di forza su una camionetta, portato chissà dove. Qualcuno diceva in Questura, altri parlavano del carcere direttamente. Fermo di Polizia abuso palese! Reagire a muso duro? Ero preoccupato, pensavo all’amico Tonino, anche lui figlio di ferroviere, che già aveva partecipato all’occupazione dell’Itis durata diversi giorni ed era sfuggito all’irruzione della Polizia saltando da una finestra e correndo a gambe levate fino a via Dante. Polmoni d’acciaio. Intanto s’alzava la nebbia e faceva freddo, si tossiva, con la sciarpa ci si copriva il viso. Mancava solo la neve oppure un bel temporale. Quelli del Movimento si mettevano ai lati del corteo, in formazione difensiva, spiegavano. Temendo una nuova carica da parte dei Celerini. Così creando un certo allarmismo e qualcuno preferiva allontanarsi dal corteo incamminandosi lungo il facsal (ignorando che un gruppo di Celerini stava ad aspettarli in via Santa Franca). Il nervosismo correva tra la folla di tanti ragazzini ancora impreparati a logiche di scontri. Protestare sì, essere menati o arrestati assolutamente no, come spiegarlo poi a casa? Comunque si prese per via XXIV Maggio per arrivare alla Camera del Lavoro, il posto magico simbolo di tutti i lavoratori, dei nostri padri, delle madri casalinghe, di quello che un giorno saremmo stati a nostra volta. E poco oltre l’ingresso i Celerini in formazione e divisa antisommossa. Tale Pasolini aveva detto che i veri figli del popolo, gli amici del popolo, erano loro ma a noi figli di operai e di lavoratori, con quegli scudi, quei caschi a nascondere il volto e quei manganelli lunghi e neri oggettivamente facevano decisamente paura. Così entrammo a passo svelto a cercar rifugio da “mamma CGIL”. Così per la prima volta varcai la soglia di quel grande salone già pieno di ragazzi e di fumo. Qualcuno col megafono (che faceva più scena del microfono) urlava “compagni, cazzo, cioè…“. Comunque venne urlato il nome dello studente arrestato. Non era il mio amico Tonino. Un ragazzo e una ragazza in ultima fila stavano l’una sulle ginocchia dell’altro sulla poltroncina in legno stile vecchio cinema di periferia (come il Roma, non ancora prescelto per le luci rosse o il vecchio cinema di Rottofreno con le seggioline cigolanti che per starci tranquillo era meglio tu fossi magrolino). Così mentre la discussione s’accendeva (“andiamo ad occupare la Questura” urlava un ragazzo di V^ con la barba lunga e nera) quei due estraniatisi dal mondo intero, limonavano senza limite nell’invidia generale perché l’impegno, la partecipazione, la politica, le bandiere rosse certo, ma l’amore era sempre più blu. Aria irrespirabile, fumo a manetta ma erano solo sigarette proletarie Nazionali, MS al massimo. Vietate perché in odor di borghesia Muratti e Marlboro, roba da guerrafondai americani che lanciavano bombe in VietNam e, come cantava Gianni Morandi, “sparavano ai VietCong“. Ecco, quello fu il mio primo magico ingresso nel locale simbolo del popolo dei lavoratori e, da quel momento, fu chiaro che con loro sarei stato anch’io per tutta la vita e infatti, nel corso degli anni, in quel luogo magico, la Camera del Lavoro, sarei passato tante altre volte. Da studente universitario prima, non nei giorni della Fiat ma solo perché ero in temporanea “trasferta” (a Torino e Modena) poi al tempo del lavoro in sanità, e così fino alla grande iniziativa di festa per i 130 anni dalla fondazione della casa dei lavoratori piacentini, prima in Italia. Anche se quella festa, nell’autunno del 2021, non è stata celebrata in via XXIV Maggio, è stata nel salone del Gotico simbolo della città stessa. Ed io, naturalmente c’ero (e nessuno si baciava, chissà che fine hanno fatto quei due ragazzi e, a proposito, non c’era neanche Tonino, nel frattempo trasferito a Reggio Emilia dove ha messo in ripostiglio il vecchio sacco a pelo tanto non passa più il tempo ad occupare e dormire nella scuola dove oggi ancora insegna). C’ero come c’erano tanti compagni del mio ormai lungo percorso di vita (tutti con la barba bianca e solo qualcuno ancora coi capelli ma tanto comunque non c’era il vento, nessuno fischiava e le scarpe erano tutte in ordine).

Ecco perché l’iniziativa del 6 giugno promossa da CGIL in onore del mio ‘Nelle fauci degl’Agnelli (Cronache in versi e in prosa dell’incontro con un Re, Sua Maestà il ’68. A seguire le ballate del ’77, le storie dei Quadri Fiat al servizio del padrone, il far di conto con i miti che si rivelano di seconda mano‘), è come un’emozionante stretta al cuore. Per il mio libro, certo, ma soprattutto perché rappresenta il riconoscimento di un percorso di vita dalla parte di chi lavora. A questo ho ispirato la mia presenza nella sanità piacentina, la direzione delle strutture che mi sono state affidate rispettando i colleghi e le colleghe oltre a lavorare nell’interesse dei cittadini, talvolta entrando in conflitto con gli amministratori dell’Azienda quando non ne condividevo le scelte perché orientate in altra direzione.

Per tutto questo invito amici, amiche, conoscenti, lettori e lettrici di Arzyncampo perché, in fondo, per quanto sembrino un pò stinte quelle bandiere rosse, comunque l’amore, il rispetto, la condivisione, la comunità, la solidarietà e l’amicizia continuano ad essere sempre più blu e lunedì sarà innanzitutto un’occasione per ritrovarci.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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