“Com’è cambiata la classe operaia dagli anni settanta: dal riformismo nell’interesse comune all’individualismo”, presentazione a Bobbio alla Settimana della Letteratura del libro “Nelle fauci degl’Agnelli”

Antonio Mosti, l’autore Claudio Arzani, Gian Luca Zilocchi alla presentazione di “Nelle fauci degl’Agnelli” (Pontegobbo edizioni)

“Il mio ’68 arrivò nel ’70 quando mi ritrovai .(omissis). in una stanza in via Campagna, nella mia città. Alla porta una tabella con falce e martello e una scritta, P.S.I.U.P., Partito Socialista di Unità Proletaria. Quando ho deciso di iscrivermi han sciolto il Partito per mancato risultato elettorale.” Così sta scritto in quarta di copertina del mio libro “Nelle fauci degl’Agnelli”, libro-testimonianza di una storia socialista che, nonostante tutto, dura ancora oggi e che è stata protagonista martedì 10 agosto, alla Settimana della Letteratura promossa da Daniela Gentili e Bruna Boccaccia delle edizioni Pontegobbo e dal Comune di Bobbio. Ma proseguiamo con la 4^ di copertina: “Dopo lungo pensamento mi sono presentato in via Risorgimento. Lì stava la sede del P.S.I. e del Circolo Turati. Sono entrato. Mio padre e i suoi amici fecero festa. Mi han detto che, per loro, quel mio ’68 valeva come il loro 1948 ed eravamo compagni, compagni socialisti. Laici, democratici e di sinistra. Acomunisti. A pugno chiuso.” Ma come spiegare il passaggio dalla contestazione studentesca, dalla intempestiva decisione di aderire allo P.S.I.U.P. alla successiva scelta di iscrizione al P.S.I. anzichè, come fece la maggioranza degli psiuppini, al P.C.I.? Di questo il libro non fa cenno ma una poesia (il libro racconta fatti e ricordi in versi e in prosa) lo fa intuire, “Elegia del socialismo utopista“, che ricorda la tragedia dei carrarmati con la Stella Rossa inviati a soffocare la “Primavera socialista” del governo cecoslovacco di Alexsander Dubcek (ricordo Renzo Arbore che, dai microfoni rai interrompeva Bandiera Gialla e raccontava, la voce spezzata, le notizie che mano a mano arrivavano). Il P.C.I. non aveva ancora chiarito fino in fondo il distacco dal regime sovietico, nelle sezioni accanto al ritratto di Marx spesso si trovava quello di Lenin ovvero del teorizzatore di un Partito che concentrava il potere nelle mani di pochi “intellettuali professionisti della politica” formati nelle scuole di Partito, preludio della dittatura da parte di pochi sul popolo tutto, base per la deviazione ideologica che avrebbe portato ai gulag staliniani dove migliaia di dissidenti, socialisti o anche comunisti della prima ora, vennero inviati e rinchiusi. Per tacere, tanto per ricordare uno dei tanti delitti del regime, dell’omicidio di Lev Trotskij, già commissario politico, capo ed eroe dell’Armata Rossa che sconfisse gli zaristi, costretto esule in Messico per l’opposizione e il contrasto politico con Stalin, infine assassinato da Ramòn Mercader, agente sovietico. Certo, il P.C.I. di Enrico Berlinguer stava maturando il distacco dall’Unione Sovietica, aveva iniziato una trasformazione che l’avrebbe portato a teorizzare un (inesistente) eurocomunismo per poi arrivare alla decisione di incontro con le masse cattoliche moderate, ovvero il compromesso storico ma, nel momento della mia scelta, la maturazione verso il cambiamento, che poteva portare ad una scelta socialista, era ancora da venire (sempreché la si consideri ancora oggi effettivamente avvenuta – non basta infatti la mera scelta di affiliazione formale all’Internazionale Socialista dopo averne preteso la trasformazione nominativa voluta dall’allora segretario pro-tempore del P.D. Matteo Renzi in “Internazionale dei socialisti e dei democratici” -). Dunque, ed era il 1976, varcavo il portone di via Risorgimento passando prima attraverso le iniziative del Circolo Turati e, in breve, prima ancora dell’iscrizione al Partito, trovandomi eletto alla segreteria della giovanile socialista (F.G.S.I.) a seguito delle dimissioni di Daniele Losi. Anche di questi fatti non fa cenno il libro che ha tutt’altro obiettivo ma va ricordato che, proprio in quell’anno, il P.S.I. guidato da Francesco De Martino, ha avuto un risultato elettorale deludente, con percentuali di voti inferiori al 10%, il minimo storico, in contrapposizione al grande successo del P.C.I. che alterava gli equilibri a sinistra di fatto penalizzando la partecipazione socialista al governo con la Democrazia Cristiana (il c.d. centrosinistra nel quale aveva creduto Pietro Nenni salvo poi accorgersi che per i socialisti l’ingresso nella stanza del bottoni significava in realtà incidere solo marginalmente sulla gestione del potere, saldamente nelle mani dei rappresentanti del bianco fiore). Venne indetto un Congresso di riflessione che, per motivi di temporaneo equilibrio politico tra le correnti interne, elesse un funzionario milanese vicino alla corrente di Pietro Nenni, tal Bettino Craxi, nell’attesa di una più precisa definizione appunto degli equilibri interni nella prospettiva di una guida affidata alla sinistra lombardiana e di conseguenza ad una possibile scelta politica e di alleanze alternativa alla Democrazia Cristiana. Nell’attesa la “mia” giovanile socialista (F.G.S.I.), seguendo le linee generali definite a livello nazionale, si caratterizzò subito per una spiccata tendenza autonoma dal Partito, di grande attenzione nei confronti dei movimenti nati dalla contestazione (pur ribadendo ovviamente la scelta riformista rispetto a quella rivoluzionaria) e con la scelta politica dichiarata di andare nella direzione dell’alternativa di sinistra, ovvero di un governo di sinistra laica (P.S.I., P.C.I., P.R.I.) che finalmente potesse mettere all’opposizione la moderata Democrazia Cristiana, quella ostentatamente schierata con la Confindustria e con i settori più conservatori della Chiesa cattolica (erano da poco superati i tempi, lo ricordo, del referendum sul divorzio con la strenua difesa della negazione da parte di Amintore Fanfani, segretario dello scudo crociato). Malauguratamente Craxi, grazie all’abbandono della corrente lombardiana da parte di “forforone” Gianni De Michelis in cambio di una poltrona ministeriale (ah, il fascino discreto del potere e della poltrona in pelle), consolidò la sua segreteria, continuando a teorizzare un governo delle sinistre ma subordinandolo al ridimensionamento elettorale del P.C.I. e all’abbandono da parte di Berlinguer della politica di compromesso storico (obbiettivi di per sé condivisibili ma che, in realtà, in Bettino erano solo parole al vento). In pratica che si consolidasse un processo evolutivo di fatto in atto e ancora oggi negato dagli eredi piddini: il P.C.I. stava evolvendo in senso socialista, abbandonando definitivamente le origini rivoluzionarie del leninismo ma, questo, era assolutamente negato dai leader comunisti che storicamente avevano sempre evidenziato la diversità rispetto ai ‘cugini’ socialisti. Così in Russia (dove i bolscevichi – futuri comunisti – costrinsero all’esilio i menscevichi – o socialisti che dir si voglia – ) e analogamente nel nostro BelPaese sin dai tempi della scissione del 1921. Ma non divaghiamo. Nel frattempo, ormai oltre il ’68 delle proteste studentesche nate dagli scontri a Villa Giulia (Roma) tra polizia e studenti universitari figli della ricca borghesia, aperto l’accesso alle Università in nome del diritto allo studio anche ai figli del proletariato e dei lavoratori tutti, lo scontro con lo Stato si era fatto più duro. Nel 1977 , sciolte organizzazioni sessantottine come Potere al Popolo e Lotta Continua, nasceva Autonomia Operaia che si contrapponeva, armi in pugno, alle forze dell’ordine le quali a loro volta, su mandato del Ministro dell’Interno democristiano Francesco Cossiga, sparavano ad altezza d’uomo (nel libro il ricordo di Giorgiana Masi, la giovane studentessa colpita e uccisa mentre fuggiva dall’assalto della Polizia alla manifestazione indetta dai radicali a sostegno di alcuni referendum). Rispetto ai ragazzi dell’Autonomia la politica della giovanile socialista (e quindi la mia) era quella delle porte aperte al confronto continuo perché erano “compagni che sbagliavano”, certo ma che non per questo dovevano essere abbandonati alla logica del terrore e di una rivoluzione che non era nelle corde della maggioranza democratica, classe operaia compresa. In particolare massima apertura rispetto a quella parte del Movimento diciamo creativa, gli indiani metropolitani che facevano musica, balli di piazza delle femministe, manifestazioni pacifiche, che insomma non si presentavano agli incontri con la P.38 in tasca, che volevano il cambiamento sociale, la fantasia al potere, la rivoluzione dei costumi non certo quella armata. Così lo stesso Partito quando i ragazzi dell’Autonomia, a settembre, convocarono tre giorni di riflessione e dibattito nella città dove la polizia aveva sparato e ucciso (colpendolo alle spalle, mentre fuggiva) un altro studente, Francesco LoRusso. Bologna, dove arrivarono oltre 100mila ragazzi e intellettuali e tutte le sezioni del P.S.I. erano aperte (chiuse invece quelle del P.C.I.) per chiunque fosse stato disponibile al confronto. Poi i tempi cambiarono, Craxi consolidò la sua segreteria e anche a Piacenza le mie posizioni di contestazione e apertura ai movimenti extraparlamentari (il Movimento Lavoratori per il Socialismo in particolare) cominciavano a non essere gradite. Un noto esponente comunista, Ernesto Carini, usava salutarmi con il simbolo della P.38, in occasione della festa provinciale dell’Unità ho avuto l’onore di una critica citazione come simpatizzante degli extraparlamentari sul foglio stampato e distribuito quotidianamente tra gli stand e i tavoli con commenti ed osservazioni rispetto ai problemi cittadini, un ex deputato sempre del P.C.I. piacentino, quando noi giovani socialisti non firmammo un comunicato congiunto con F.G.C.I. e D.C. (comunicato utile alla strategia del compromesso storico berlingueriano) non esitò a definirmi “fascista” (ma pensa un po’). Niente di nuovo, in fondo anche all’epoca dell’avvento del fascismo gli esponenti comunisti definivano i compagni di Filippo Turati “socialfascisti“. Insomma, la mia segreteria non era del tutto gradita ai compagni comunisti piacentini ma ancor meno lo era in parte del Partito e in particolare la nostra autonomia non era condivisa dal segretario Remo Beretta (uno dei tanti pronto a saltare sul carro maggioritario craxiano magari ottenendo un posto da assessore costringendo alle dimissioni compagni che lo precedeva o in lista). Dunque il segretario provinciale, nell’ottica del rafforzamento della sua posizione, senza particolare esitazione, tentò di sostituirmi nell’incarico di segretario provinciale con un compagno funzionario che riteneva politicamente “dalla sua parte”. Manovra priva di fondamento fino a quando lo statuto della F.G.S.I. garantiva una certa autonomia dal Partito per cui sarebbe stato necessario un Congresso vero e proprio. Comunque per evitare eccessiva polemica, semplicemente si fece tutti insieme “un passo laterale“, lasciando la segreteria provinciale (quasi ridotta ad un guscio vuoto con esclusione dei dissidenti compagni di Fiorenzuola) al compagno funzionario individuato e costituendo un Nucleo Socialista solamente cittadino. Come definirlo? La proposta venne dal compagno Antonio Mosti: così nacque il “Nucleo Socialista Rosa Luxemburg“.

1978, cartolina celebrativa del Nucleo socialista Rosa Luxemburg (particolare)

Mi scuso della lunga premessa che rapportata alla realtà odierna del dibattito interno ai partiti sembra fantascienza. Una premessa tuttavia necessaria per capire l’intervento di Antonio martedì alla presentazione del libro “Nelle fauci degl’Agnelli” alla Settimana della Letteratura a Bobbio che, di Rosa Luxemburg, non parla direttamente ma era e ne resta “intriso” con i valori di fatto rappresentati, i valori del nostro essere stati ed essere socialisti. Forse utopisti, forse eretici, ma comunque socialisti (inevitabile la citazione di un’altra poesia riportata nel libro, ovvero “Eresia nonna di Utopia [ nel limbo azzurrognolo ove Pace, Follia, Filosofia, Amore e Rivoluzione si fan sogno uno e uno solo ] ). Certo, Rosa fu rivoluzionaria, uscì dal Partito Socialdemocratico, fondò la Lega degli Spartachisti che diventerà l’embrione del Partito Comunista tedesco. Dunque Rosa è diventata comunista? Un’affermazione che, a mio parere, va contestualizzata nell’epoca del potere gestito da zar, monarchi e imperatori, un’epoca (l’inizio del ‘900) nella quale ben pochi erano i diritti riconosciuti ai lavoratori e agli umili. Socialdemocratica, Rosa non esitò a contestare la socialdemocrazia tedesca nell’ambito della Repubblica di Weimar, troppo tollerante e arrendevole nei confronti delle prime bande organizzate in armi della destra hitleriana guerrafondaia. Non esitò però poi a polemizzare con le teorie di revisione del marxismo da parte di Lenin evidenziandone i rischi di degenerazione nella dittatura di pochi su tutti. Favorevole al collettivismo nell’interesse economico di tutti ma nel rispetto del confronto continuo e quindi sostanzialmente della libertà di pensiero e di opinione esprimibile nell’ambito assembleare dei primi Soviet (i Consigli degli operai e dei contadini nati dalla rivoluzione del 1905 all’interno dei quali si confrontavano tutte le diverse posizioni salvo poi diventare, all’indomani della rivoluzione del 1917, espressione del pensiero unico definito dal potere del comunismo leninista). Aggiungiamo infine tornando a Rosa, una grande capacità di amare, un grande senso d’umanità e di disponibilità. Una donna libera, rispettosa del libero pensiero nell’ambito di una società di sinistra plurale dalla parte degli umili. Ecco, Antonio martedì sera, parlando del mio libro, ha ricordato i valori che caratterizzarono la vita di Rosa e le nostre scelte laiche, libertarie, socialiste di quegli anni che poi, tali hanno continuato ad essere anche se oltre e all’esterno del P.S.I. divenuto dominio di Bettino Craxi, sempre più integrato nella scelta governativa con Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani, la parte più conservatrice e anticomunista della D.C., oltre ai rapporti con l’emergente Silvio Berlusconi, industriale edonista totalmente estraneo alle mie posizioni politiche. Così arriviamo alla testimonianza contenuta in “Nelle fauci degli’Agnelli” passando attraverso l’esperienza – negli anni ’80 – con la Fiat torinese illudendomi nella possibilità di cogestione nella vita della fabbrica tra proprietà e lavoratori. Appunto un’ingenua illusione così, in breve, l’inevitabile scelta del passaggio al servizio dei cittadini (con l’assunzione in sanità pubblica) e non dell’utile di pochi azionisti. Per proseguire, sempre nel libro, con il racconto degli anni del riflusso, l’approdo nel Movimento Laburista di Valdo Spini e nei Democratici di Sinistra poi, vivendo la crisi della politica, del sindacato, il superamento delle ideologie e del mondo di quei lontani anni settanta. Insomma, così eravamo, fino ad arrivare ai giorni nostri chiedendomi – nelle ultime pagine del libro – se la classe operaia e dei lavoratori può ancora ambire al Paradiso, sperare nel sorgere del Sol dell’Avvenire ovvero nell’affermarsi di un mondo equo, solidale, di giustizia e di pace, un mondo basato sulla partecipazione diretta innanzitutto nel nome dell’ambiente e della tutela della salute di tutti, del soddisfacimento prioritario dei bisogni primari prima di qualsivoglia altro elemento di riferimento. Su questo, tornando alla serata di martedì a Bobbio, interessantissimo l’intervento di Gian Luca Zilocchi, segretario generale della Camera del Lavoro di Piacenza, la prima Camera del Lavoro costituita nel nostro BelPaese 130 anni fa. “Parlare oggi di classe operaia, ho introdotto, è forse fuori tempo, riduttivo rispetto ad una società e ad un mondo del lavoro profondamente cambiati” (nel libro in evidenza la lirica “Maledetto sindacato” testimonianza della rabbia di chi, emarginato, finisce col giustificare il “buon padrone che m’ha licenziato” oltre al racconto “Ritorno alle fabbriche dagli operai in tuta blu, ma l’attesa è vana, han cambiato il cancello d’uscita” – cronaca di un volantinaggio nel 2007 -). Il libro, dicevo, racconta della mia ammissione ad un master a tempo pieno per una borsa di studio finanziata dall’Unione Europea finalizzato alla Direzione del Personale gestita in collaborazione tra Amministrazione Provinciale piemontese (all’epoca governata da una giunta di sinistra) e la Scuola di Amministrazione Fiat ovvero uno dei tanti rami dell’impero industriale di Gianni Agnelli, come noto simpatizzante del P.R.I. lamalfiano. In pratica quasi un anno a tempo pieno a contatto con il gotha dell’Impero industriale italiano, quello che aveva iniziato una drastica politica di licenziamento del personale (erano 130mila i lavoratori Fiat e oggi sono meno di 50mila) dopo la pesante sconfitta sindacale nel 1980 dalla quale, come ha rilevato Zilocchi, “parte il processo tuttora non arrestato, di allontanamento della politica dai temi del lavoro, i cui effetti sulle dinamiche sociali del Paese si fanno sentire ancora” e in proposito basterà pensare alla cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e alla conseguente possibilità di licenziamento del lavoratore da parte dell’imprenditore, ottenuta con il consenso di tutta la sinistra, Partito Democratico in testa (l’erede del P.C.I. e dei D.S., frutto della politica di compromesso storico proseguita e attuata nel concreto da Walter Veltroni). Insomma, sono molto lontani il ’68, le proteste operaie del ’69, con le conquiste ottenute negli anni ’70, “il mondo del lavoro, ha proseguito il segretario della C.G.I.L. piacentina, oggi è costituito da un esercito di persone, spesso giovani, che convivono quotidianamente con la precarietà che è sociale ancor prima che lavorativa e che parla di difficoltà a garantirsi una condizione dignitosa con il proprio impiego. Sottoutilizzato, sottopagato”. Purtroppo viviamo negli anni dell’individualismo, dell’edonismo, Craxi, fuggito in Tunisia per evitare la giustizia italiana (forse non proprio obiettiva, forse persecutori ma un vero leader avrebbe dovuto affrontare a testa alta i suoi avversari considerato che, quanto a corruzione e malaffare nessuno poteva “lanciare la prima pietra”). Dunque Craxi ha lasciato il BelPaese nelle mani del liberista Silvio Berlusconi interessato più ad un arricchire se stesso e a sostenere un sistema dei pochi privilegiati che non il mondo degli umili, sempre più abbandonati ed emarginati. Difficile, dopo il ventennio di governi berlusconiani, trovare un punto di convergenza comune con il mondo delle riforme sognate negli anni settanta, con quei valori del passato che pure tante conquiste avevano garantito: sul piano dei diritti civili, dal divorzio all’aborto alla Legge Basaglia; sul piano del lavoro con lo Statuto dei Lavoratori; sul piano ambientale e della sicurezza nelle fabbriche; sul piano della democrazia con il decentramento del potere decisionale dallo Stato alle Regioni; sul piano della politica con la scelta dei “cento fiori” a livello territoriale. Certo, ha evidenziato Gianluca, oggi non esiste più un unico Sole che possa coinvolgere gli interessi di tutti. Un po’ come succede se guardiamo all’universo, esistono tanti Soli, tante situazioni, tanti gruppi sociali ciascuno con le proprie condizioni e con le proprie speranze. Una realtà diversificata, dalle mille sfaccettature che innanzitutto rende complessa l’azione del sindacato: la centralità della fabbrica non esiste più, gli operai non sono altro che una delle espressioni del mondo del lavoro e non più quella prevalente (per cui risulta difficile individuare un unico e unificante punto di riferimento comune). Eppure, come alla fine ribadisco nel libro, valori e punti d’interesse comune collettivi continuano ad esistere. Per citarne uno rimando all’ultima poesia pubblicata, “La più bella pianta della foresta perché, se i potenti, i detentori della ricchezza del pianeta innanzitutto non si preoccuperanno di tutelarlo, questo nostro pianeta, il Sole semplicemente si spegnerà e ogni ricchezza accumulata non servirà a nessuno. Ultima conclusiva osservazione: in quei lontani anni ’80 i dirigenti Fiat teorizzavano la motorizzazione totale. In ogni famiglia già era presente un’auto ad uso durante la settimana del padre lavoratore (la donna, casalinga, aspettava in casa), della famiglia intera per le gite fuoriporta domenicali, del figlio al calare delle ombre della sera dopo il rientro del padre dal lavoro. Obiettivo della Fiat, come dicevo, era una testa un’auto e magari, nel caso di figlio più piccolo, di un bel Ciao Piaggio ovvero, nel caso la famiglia fosse arricchita dalla presenza di una ragazza, una bella Vespa. Risultato? Lo vediamo oggi. Una famiglia, tre teste, tre auto. Città invase dalle auto ormai parcheggiate ad ogni angolo, spesso direttamente sui marciapiedi, traffico imponente, incidenti numerosi, per tacer della qualità dell’aria. Piacenza si colloca al 307° posto in Europa per la pessima qualità dell’aria che respiriamo. Se pensiamo che solo nella nostra provincia meritano l’appellativo di città ben quattro agglomerati urbani (Piacenza, Fiorenzuola, Castel San Giovanni, Bobbio) possiamo immaginare siano migliaia e migliaia, centinaia di migliaia, forse migliaia di migliaia, le città in Europa. Dunque, in quanto 307^ città classificata per inquinamento, che razza d’aria respiriamo? Che effetto si produce sulla nostra salute? Sullo stato dei nostri polmoni? Quale effetto sulla nostra potenziale aspettativa di vita?

L’articolo in Libertà quotidiano di Piacenza edizione di mercoledì 11 agosto a firma Betty Paraboschi

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.