“La grande guerra”, in mostra a Piacenza, Palazzo Farnese

Una mostra che ti sorprende. Interessante nel percorso espositivo con la presenza di molte (30, per l’esattezza) divise militari dell’epoca. In particolare interessante (giudizio naturalmente soggettivo) la divisa imposta ai prigionieri italiani (ovviamente non solo) nei campi di concentramento austriaci. Ottimo l’accompagno nella sezione dedicata al Corpo dei pontieri della voce narrante e del video che ripercorre le vicende della guerra, quella che secondo la propaganda monarchica e del guerraiolo D’Annunzio, doveva finire in un amen e invece sarebbe durata per quattro lunghi terribili anni.

Foto tratta dal sito www.liberta.it

Ancora da ammirare gli oggetti, dalle bombe alle gavette dei soldati, dal filo spinato arrugginito agli apparecchi telefonici, dagli strumenti chirurgici che oggi definiremmo rudimentali (e guardiamo con malcelato inevitabile orrore) ai cappelli ed elmetti di ogni genere, dalle medaglie ai documenti individuali, alle pagine illustrate della Domenica del Corriere.

Citazione inevitabile per l’angolo ricostruito con un piccolo altare da campo e infine il sonoro che accompagna lungo il tunnel che porta alla terza sezione della mostra. Letteralmente il rombo del cannone, i rumori del campo di battaglia: chiudendo gli occhi la sensazione è proprio quella di vivere direttamente quei giorni terribili.

Foto tratta dal sito www.liberta.it

Un’impresa, questa mostra, voluta e realizzata da quattro privati collezionisti insieme a pochi altri amici, da collocare quantomeno al livello del Museo della Guerra, la permanente di Rovereto (Tn), e sicuramente all’altezza o superiore alle tante mostre allestite in occasione dell’anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia, molte delle quali decisamente limitate.

Un solo appunto: la pubblicizzazione scarsa nel circuito nazionale da parte dei sostenitori (Comune in primis, ovvero il detentore del ‘borsellino‘) limita il richiamo ai visitatori da altre realtà territoriali e dunque un’occasione persa per la nostra Piacenza che, anche quando realizza gioielli, pare non conosca il motto “saper fare, fare, far sapere”.

In evidenza, a tal proposito, l’unico articolo francamente miserello pubblicato in occasione dell’inaugurazione sul quotidiano locale e addirittura il silenzio dei quotidiani on line sempre locali (con l’unica, aurea, eccezione de ilpiacenza.it).

L’invito da parte di Arzyncampo, blog impegnato contro tutte le guerre e per la vita (ma per essere contro bisogna prima di tutto conoscere e questa mostra costituisce un’ottima occasione), è quello di programmare assolutamente la visita nei (purtroppo pochi) giorni e orari (purtroppo limitati) di apertura. Lasciando un sincero ringraziamento ai collezionisti organizzatori e un contemporaneo rammarico per un impegno a sostegno da parte della Municipalità che non sembra all’altezza di quanto auspicabile.

Con un suggerimento: ma perché non ‘replicare’, magari in strutture suggestive come il Castello di San Pietro in Cerro ovvero nel maniero di Castell’Arquato, con un respiro territoriale quantomeno interregionale?

Per ora comunque non resta che ‘accontentarci’ ricordando un passaggio (ingresso oltretutto gratuito) sabato e domenica (9.30-12.30 e 15.00-18.00), martedì e giovedì (15.00-17.30) fino al 22 novembre (con una giornata speciale mercoledi 4 novembre [15.00-17.00], quando finalmente, nel 1918, la guerra è finita).

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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