Vita Umana (poesie da un altro altrove, 1975-76 [ 8 ])

Perdersi tra il ghiaccio sepolcrale
d’una lampada al quarzo,
nei viali tetramente dipinti
da luci finte prive di calore.
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Una sensazione di freddo o di solitudine

sentirsi Uomo tra gli dei
e quindi nulla e quindi vuoto.
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Chiedersi perché di cose lontane o vicine
e allora piangere, o allora tacere.
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Il ciclo delle poesie da un altro altrove scritte tra il 1975 e il 1976, giunge al termine. L’uomo, responsabile della propria distruzione, riflette sé stesso e scopre il vuoto lasciato dalla ricerca d’una effimera potenza. La fine dell’umanità e dell’individuo sono ormai giunte. La folle corsa verso un miraggio di dominio non ha lasciato altro che il nulla. Così, nel lontano 1975, lanciavo l’ultimo monito in forma poetica contro una rincorsa ad un effimero progresso prescindente dal rispetto dell’individuo.
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Ogni atomica una boccia e i birilli son l’umanità,
i capricci di un capoccia ed il mondo in aria salterà”,
cantava un ispirato Adriano Celentano nella fantastica
“Mondo in mi 7^”.
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Folla rincorsa agli armamenti, deliri di potenza, scoppio ovunque di focolai di guerra, era in questo scenario che erano nate le poesie di un altro altrove, l’altrove fatto di un mondo orami distrutto e desertificato che rappresentava il nostro futuro possibile.
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Ma in realtà, volendosi far carico dei destini dell’umanità, non era poi così necessario andar tanto lontano nel tempo e nello spazio. Ingiustizia, disuguaglianza sociale, limitazioni nei diritti civili elementari, bastava darsi un occhio d’attorno, bastava osservare il vivere quotidiano. Così la mia poetica si sarebbe spostata sui fatti concreti, sulle poesie di lotta e di resistenza nate parallelamente ai fatti del Movimento del ’77, ultimo anelito verso una società basata sulla fantasia al potere.
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Ma il ’77 non era fatto dai laureandi dell’Università classista a numero chiuso, il ’77 non era fatto dai figli illuminati della ricca borghesia (come il ’68): lo avrebbero tacciato di eresia, il potere ne avrebbe spinto i protagonisti, figli davvero della classe operaia, figli dell’Università aperta ai figli delle famiglie di lavoratori, verso l’esasperazione dello scontro senza speranza, della lotta armata oppure dell’abbandono della speranza e dell’autodistruzione nella siringa che inietta eroina in vena.
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Così anche le mie poesie (probabilmente inevitabilmente poiché non poteva essere quello ufficiale, delle sedi istituzionali, il loro percorso), avrebbero trovato l’ostacolo insormontabile del giudizio del duopolio DC-PCI, senza speranza alcuna di emergere.
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Ad un invito cui aderirono 48 poeti piacentini solo due non furono pubblicati: uno, disse l’esimio Presidente del Consorzio di Pubblica Lettura (di fede P.C.I.) perché troppo avanzato, l’altro perché la sua non era poesia. Non so quale fossi, dei due, so che i miei versi restarono nel cassetto della commissione giudicante. Come del resto gli stessi versi restarono al palo al concorso della locale Cassa di Risparmio presieduto dall’illustre signor professore di fede liberale unito al conservatore autorevole senatore democristiano.
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Al contrario di tutti quei versi nei quali amore faceva rima con cuore e solitudine con individuale inquietudine che comunque al sistema non lanciava anatema.
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Come dire: il solco della tradizione paga sempre, lezione da memorizzare.
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Almeno nei concorsi ufficiali.
Ma alla lunga quei versi che vanno alla ricerca di un altro altrove
(quello della realtà, quello del vissuto quotidiano
non tanto dei professori esimi quanto dei modesti lavoratori)
magari rimangono e, a trentanni di distanza,
tornano ancora a spuntare
e sanno ancora far riflettere
e sanno ancora far sognare.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

Una risposta a “Vita Umana (poesie da un altro altrove, 1975-76 [ 8 ])”

  1. Salve Conte 🙂 anche tu hai visto la splendida luna rossa ieri notte?

    Un affettuoso abbraccio

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