“Sulla New economy – Pandemonio di Giorgio Bocca”, intervento di Carmelo Sciascia

Dei libri che si leggono, rimangono spesso poche cose, qualche considerazione, qualche frase significativa o semplicemente il titolo. Lo stesso posso affermare di un libro che mi è stato regalato e che ho letto in questi giorni. Ho trovato interessantissimo del libro Pandemonio di Giorgio Bocca un capitolo, quello che riguarda l’aspetto culturale della new economy.
Giorgio Bocca ci ha lasciati nel Natale di cinque anni addietro, ed è stato uno dei migliori giornalisti che ho (quasi) sempre apprezzato, credo che insieme ad Indro Montanelli ed Enzo Biagi siano stati i giornalisti più sinceri e più liberi da pressioni politiche o di condizionamenti da parte di gruppi editoriali. Considerato questo nostro tempo, non solo Dio, ma tutti quanti sappiamo, quanto ce ne sarebbe di bisogno di scrittori e giornalisti di simili moralità.

Sganciata la bomba atomica il 6 agosto del 1945, ci dice Bocca, l’umanità non ha perso il sonno. Sonno che si sarebbe dovuto perdere perché l’umanità rischiava, da quel momento in poi, di essere eliminata, di scomparire dalla faccia della Terra.
Ma così non è stato, come non hanno perso sonno i napoletani o tutti coloro i quali, dormono ancora oggi, su vulcani che sicuramente esploderanno, prima o poi. Perché? La risposta è semplice e vera, come diversamente non sarebbe potuta essere: “Morire tutti assieme non è morire”. Così noi oggi tutti ci abbandoniamo completamente al pensiero unico della dilagante tecnologia informatica, semplicemente perché crediamo che, se tutti contemporaneamente perdessimo la capacità di pensare sarebbe come non la perdesse nessuno: morire tutti assieme non è morire.
Ed allora si giustifica la fine del pensiero critico nei riguardi della scienza e soprattutto della cultura del web, quella cultura che mira alla quantità, all’espansione, alla varietà più che all’essenziale. In una parola all’accumulo di nozioni più che alla riflessione, la quantità alla qualità. Ciò che è nuovo e scientifico deve essere accolto, acriticamente e supinamente, le Cassandre sono bandite da qualsiasi dibattito.
Qual è la definizione più esatta del termine Cultura? Ecco allora venirci incontro una citazione di Fernand Braudel che dopo avere elencato l’insieme delle attività proprie di ogni individuo, quale pensare, credere, vestirsi, nutrirsi, costruire, amare, comportarsi, così chiosa: “E’ saper stare di fronte all’eternità, non scambiare la vita per una corsa inquieta contro il tempo”.
Ecco cosa è la cultura, il sapere semplicemente vivere, con i tempi che ci sono dati dalla natura, non certo scambiando la quantità per la qualità. Posso essere in perfetta armonia con l’universo standomene anche da solo, ed essere disperatamente solo in compagnia di migliaia di amici virtuali su una qualsiasi piattaforma social. Meglio un numero limitato di nuove edizioni ed avere molti e diffusi lettori anziché, come avviene oggi, pubblicare più di 35.000 libri l’anno ed avere più della metà della popolazione che non ne legge neppure uno! “La scienza può inventare e moltiplicare i numeri, non le intelligenze che hanno bisogno di tempi lunghi e di attente cure”.
La cultura è il saper collegare le conoscenze del mondo. La letteratura è un contenitore di continui rimandi, di allegorie, di metafore, di analogie. Senza questi termini non ci sarebbe la poesia, ma nemmeno e tout-court la storia. La velocità non ci allunga la vita, brucia semplicemente i tempi del divenire, e quindi non ci fa apprezzare i momenti che sono legati alla fisicità ed alla emotività della vita dell’uomo. Molti sono stati i secoli della cultura orale, quando ogni vecchio intellettuale corrispondeva ad una biblioteca vivente, tanti i secoli della cultura scritta e stampata. Oggi finite le epoche della cultura orale prima e della cultura scritta poi, siamo al culmine dell’era della visione, dell’immagine. Oggi i libri non è necessario leggerli, vanno il più delle volte visti al cinema. Vedere è meno impegnativo che leggere. Leggere ha i suoi tempi; il tempo della lettura ha bisogno di silenzio e di concentrazione. Perfino di solitudine. E poi ogni scrittura ha bisogno di un suo linguaggio, una sua lingua, la lingua che come un fiume ci riporta alla sorgente, all’origine della nostra cultura. Tutto ciò che è invece connesso alla rete non ha nulla di storico, è solo un insieme di semplici segni convenzionali. Non è una lingua, è una non-lingua, come i non-luoghi dei centri commerciali, degli aeroporti.
Solo i centri storici sono i luoghi che distinguono e contraddistinguono le nostre città, come il nostro idioma nazionale, la nostra letteratura forma la nostra cultura.
Se l’aspettativa di vita è aumentata, dovrebbe voler dire che ognuno di noi ha più tempo per la lettura, la meditazione, i rapporti interpersonali, una vita comunque più rilassata e libera. Invece non abbiamo mai tempo, inseguiamo il tempo che come carota sul muso di un asino ci spinge ad andare avanti, ad inseguire il tempo, “il tempo reale”. Il tempo reale, cosa sarà questo Carneade?
Paradossalmente, anziché inseguire il tempo reale a me viene in mente Sant’Agostino che negava addirittura l’esistenza del tempo, tempo che riportava a una semplice invenzione dell’uomo. Il tempo non appartiene alla categoria del divino e quindi dell’assoluto ma è una invenzione dell’uomo e l’uomo adesso trasforma la nozione dello stesso tempo assoluto in quella di “tempo reale” per far piacere alla rete, o meglio alle esigenze di una economia “just in time”.
Una economia che fornisce strumenti per una facile ricchezza, una eterna giovinezza, una salute sempiterna. Peccato che a fornire simili servizi siano ricchi finanzieri, banche e miliardari che continuamente ci spiegano che bisogna fare una rivoluzione dietro l’altra. Ma una rivoluzione, che non si pone l’obiettivo di rovesciare una classe sociale, ma viene fatta da ricchi, che fa il giuoco dei ricchi, che rivoluzione sarà mai?
Carmelo Sciascia

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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