Serventi vs. Andrani: ma davvero sono i muri a fare qualità sanitaria?

Il dottor Francesco Andrani (medico chirurgo) replica al dottor Piersergio Serventi, già Direttore Generale Asl Piacenza negli anni ’90 per la relazione pubblicata da Libertà dove si affermava che la costruzione di un nuovo ospedale determina più costi che benefici

Il polichirurgico, pur “recente”, è stato mal progettato, mal costruito e
presenta enormi criticità al suo interno. Ma quest’ultimo è solo una parte
dell’ospedale: le degenze della geriatria, della medicina interna, della
nefrologia e dell’oncologia (credo più della metà dei posti letto internistici
del nosocomio) sono infatti nei vecchi padiglioni, costruiti secoli fa.
Inoltre, l’intero ospedale soffre di una carenza cronica di posti letto e, dati
gli spazi, non è possibile averne di nuovi, mentre negli anni gli ospedali
periferici sono stati vieppiù esautorati (non so se quando lo scrivente
fosse DG gli ospedali di Fiorenzuola d’Arda e Castel San Giovanni
avessero un’altra capienza). Proprio l’ospedale di Parma dimostra come la
realizzazione di un blocco unico sia più funzionale rispetto alla vetusta
organizzazione a padiglioni. Infatti, gli unici attualmente funzionanti sono
il Barbieri ed il Braga. Tutte le altre degenze sono state spostate nelle
nuove strutture realizzate negli anni. Ovvia la considerazione che non
basti il contenitore per fare in un ospedale un buon contenuto: servono i
professionisti ed una buona organizzazione del lavoro.

La risposta del dottor Piersergio Serventi

Non mi dispiace discutere con lei, perchè leggo
spesso sue cose che condivido. Il Polichirurgico è stato progettato con i
canoni del suo tempo, come tutti gli ospedali (per il “mal costruito” non
saprei cosa intende). Al tempo (1994) è stato salutato dagli addetti ai
lavori, come del tutto soddisfacente. Ne vogliamo dedurre, come ho letto
oggi su Libertà da parte di una sua collega psichiatra, che dopo 30 anni
un ospedale è vecchio? I due più grandi ospedali d’Europa (secondo
alcuni del mondo), Aquisgrana e Lovanio, sono rispettivamente del 1983 il
primo, mentre il secondo si è sviluppato come una vera e propria città
nella città, dal 1080 ad oggi. Sono certamente stati progettati con i
canoni dell’epoca. Avranno certamente mostrato nel tempo “enormi”
criticità. Non per questo sono stati abbattuti. Sono stati man mano
adeguati. Non sono venuto a contare i posti letto, ma mi si è detto che
stanno fuori dal Polichirurgico il 30% dei p.l. totali che sono circa 500,
cioè stanno nei vecchi padiglioni, non da secoli, ma dal primo novecento,
circa 150 posti letto, per le quattro funzioni che lei cita. Ne consegue che
il punto di partenza di un eventuale studio alternativo dovrebbe
riguardare la realizzazione di una soluzione edificatoria, tale da non
interrompere l’attività di ciò che sta funzionando, delle dimensioni
correlate. Concordo con lei che i posti letto siano insufficienti. Purtroppo
non a Piacenza, ma in Italia. A Piacenza i posti letto sono quelli che
risultano dagli standard (p.l./popolazione) previsti e prescritti dalla
pianificazione nazionale e regionale, ai quali sono correlate le destinazioni
di risorse correnti. Standard che hanno fatto dell’Italia la cenerentola
d’Europa, come anche in questi giorni ha pubblicato il Gimbe, lanciando
per il 31 marzo una giornata di mobilitazione nazionale per “salvare” la
sanità pubblica italiana. E infatti il nuovo ospedale, nello studio di
fattibilità, viene dichiaratamente definito “di sostituzione”, anche in
termini di posti letto, che saranno sostanzialmente gli stessi di oggi. Per la
verità ci saranno due sale operatorie in più, da 12 a 14 e di ciò si
dovrebbe tener conto nelle soluzioni da studiare. Quanto agli spazi, nello
studio di fattibilità ho letto di un 35% di posti letto in stanze che ne
potranno contenere due. E, in verità, anche di una dotazione di mq/p.l.
significativamente superiore all’attuale. Si tratta della famosa maggiore
“flessibilità” che il nuovo dovrà avere rispetto all’attuale. Il concetto di
flessibilità è strettamente legato alla disponibilità di spazi in occasione di
esigenze straordinarie, tipo catastrofi o pandemie. Temo però che tale
esigenza non sia soddisfatta da una disponibilità di maggiori spazi
distribuiti a pioggia nei reparti. Come si è visto, la pandemia è stata, per
ovvie ragioni di isolamento/concentrazione dei pazienti, affrontata
dedicando alla stessa interi padiglioni (il Barbieri a Parma ) o interi
ospedali (Castel S. Giovanni). Temo che se dovesse riaccadere quando ci
sarà il nuovo, la risposta sarà ancora Castel S. Giovanni, nonostante i
maggiori spazi del programmato nuovo ospedale.
A Parma il primo monoblocco è della metà anni ’70. Le torri sono del
decennio 80 e primi 90. Sono state progettate con i canoni di ormai 30
anni fa. Non avranno criticità? Che facciamo, le abbattiamo? In realtà a
Parma si sono abbattuti padiglioni del 1935, per fare l’Ospedale dei
Bambini, si sta facendo la nuova Oncologia, e si sta progettando (già
finanziata) la nuova maternità, previo abbattimento della vecchia. le do
una notizia: nel 2015, la decisione di fare il nuovo a Piacenza è stata
presa dopo che aveva rinunciato il S. Orsola di Bologna ad una analoga
soluzione per il proprio sviluppo. Se Bologna non avesse rinunciato, ora a
Piacenza non vi sarebbe alcuna discussione. E mi consenta una
osservazione che non è paradossale, ma conseguente alle motivazioni
addotte per la decisione di oggi. Se il nuovo Ospedale, come da
programma, sarà attivato nel 2034 secondo i canoni progettuali di oggi,
sarà bene che ci si prepari ad affrontare le criticità che nel 2050 si
presenteranno, per risolverle magari con un altro nuovo ospedale. Sul S.
Orsola le riporto dal suo sito quanto segue:Più forte del Coronavirus, il
Sant’Orsola di Bologna guarda al futuro e rilancia il piano di sviluppo
dell’Ircss. Il Policlinico, vero e proprio ospedale nel parco si trasforma e si
sviluppa all’interno della città.
Investimento da 277 milioni di euro. I fondi da Regione, Ateneo, Azienda
ospedaliera, Fondazione Hospice Maria Teresa Chiantore Seràgnoli.
Sostenibilità e innovazione: sei padiglioni nuovi e gli altri 8 ristrutturati,
‘autostrade’ sotterranee per le merci, oltre al ripensamento dell’intero
complesso ospedaliero per farne un luogo di cura e terapia
all’avanguardia, ma anche di relazione tra chi cura e chi viene curato. 52
milioni destinati ad apparecchiature e strumenti di ultimissima
generazione. Prime inaugurazioni già nel 2022
Ampliamento degli spazi (33mila metri quadrati in più), ma nell’ambito di
una riqualificazione urbanistica che tiene insieme sostenibilità e
innovazione degli interventi. Risultato: sei padiglioni completamente nuovi
e la ristrutturazione di altri otto; tre parcheggi interrati, una nuova
viabilità di superficie con ampio spazio per le ciclabili e un’“autostrada”
sotterranea per il traffico delle merci. Il tutto in uno scenario di quasi 7
ettari (67.380 metri quadri, per l’esattezza) di verde e superfici permeabili
(+14% rispetto a oggi), ricavati dall’eliminazione di parcheggi di
superficie.
Un nuovo spazio pubblico, dunque, dove l’altissima qualità diventa non
solo parte fondamentale del percorso di cura del paziente ma anche
fattore di confort per chi è impegnato quotidianamente nell’attività di
assistenza delle persone accolte.
L’investimento previsto è di 277 milioni di euro, di cui 52 milioni destinati
ad apparecchiature e strumenti tecnologici di ultimissima generazione
(come la piattaforma robotica, la risonanza magnetica 3T, TAC Avanzate).
I finanziamenti provengono dalla Regione Emilia-Romagna, dall’Università
degli Studi di Bologna, da privati – la Fondazione Hospice Maria Teresa
Chiantore Seràgnoli onlus -, da fondi aziendali e dal PNRR (Piano
nazionale di ripresa e resilienza). Le prime inaugurazioni sono previste già
nel 2022.i con un altro nuovo ospedale.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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