“S’Accabadora: la Dama Sarda della Dolce Morte fra mito e realtà”, articolo pubblicato in fb da Kella Tribi

Eutanasia, la “dolce morte” desiderata da chi sopporta una lunga e dolorosa agonia è un argomento sul quale è difficile trovare pareri concordi. Quel che è certo è che aiutare un moribondo a porre fine alle sue sofferenze è considerato, per la legge italiana, un omicidio a tutti gli effetti, punibile con la reclusione da 6 a 15 anni.

Ma è possibile che in passato, in alcune aree isolate dove le cure mediche rappresentavano soltanto un miraggio, ci sia stata una forma di amore familiare che sfociava con l’eutanasia? Da questa domanda si passa all’introduzione di una storia che è sospesa fra storia e leggenda, la figura sarda dell’Accabadora.

In tempi remoti, e forse anche relativamente recenti, la femina accabadora era una figura presente in alcune aree della Sardegna: una donna vestita di nero che aveva la funzione di “finire”, di porre termine alle sofferenze di un moribondo, o di un anziano bisognoso di cure troppo impegnative, che in una società rurale potevano significare un problema per la sussistenza dell’intero nucleo familiare.

Già sul significato di accabadora, oltre che sulla sua realtà storica, ci sono opinioni diverse. Forse il termine deriva dal verbo spagnolo acabar, che significa “finire / terminare”, ma potrebbe anche avere a che fare con il sardo accabaddare, un vocabolo dai diversi significati che evocativamente si rincorrono: incrociare le mani ad un morto, oppure “mettere a cavallo”, ovvero far partire.

Comunque sia, l’accabadora era una donna che procurava la morte a chi stentava, tra mille sofferenze, a lasciare la vita terrena. Secondo alcuni studiosi erano persone reali che si assumevano il compito, su richiesta dell’ammalato o dei parenti, di dare una morte rapida e possibilmente indolore, senza ricevere un pagamento in denaro ma solo qualche prodotto della terra.

S’accabadora vestiva di nero, e agiva sempre di notte nella casa del malato, con il volto coperto, dopo aver allontanato tutti i parenti. La morte poteva arrivare in diversi modi: innanzitutto la donna toglieva al moribondo quegli amuleti che magari ancora portava su di sé, ma anche le immagini sacre presenti nella stanza, considerate una protezione, quindi un impedimento alla “partenza”. Se, nonostante tutto, ancora l’anima non si decideva ad abbandonare il corpo, s’accabadora poteva, a seconda delle tradizioni locali, usare un cuscino per soffocare l’ammalato, oppure l’avrebbe strangolato, o ucciso con un colpo di mazzuolo alla tempia.

In Barbagia, cuore ancestrale della Sardegna, il rituale di morte era quanto di più vicino alla nascita si possa immaginare: s’accabadora stringeva tra le cosce il collo del malato, che moriva con la testa appoggiata proprio là dove un bimbo vede la luce per la prima volta.

Secondo alcuni resoconti le accabadora avrebbero portato avanti la loro pietosa opera fino ai primi decenni del ‘900, e le testimonianze orali identificano almeno due casi nel XX secolo: uno a Luras, nel 1929 e uno ad Orgosolo, nel 1952.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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