“Percezione insicurezza da presenza stranieri conduce al razzismo”, intervento di Bernardo Carli, presidente dell’associazione di volontariato Fabbrica&Nuvole di via Roma, pubblicato con ‘Corriere Padano’, settimanale on line di Piacenza

E’ di questi giorni la pubblicazione dei dati dell’Osservatorio Europeo della Sicurezza, dove si analizza il timore della popolazione autoctona italiana in relazione alla presenza di immigrati da altri paesi sul suolo nazionale. Si tratta del pericolo percepito indipendentemente da episodi reali criminosi, reati e delitti. Malgrado questi registrino una presenza tutto sommato costante, la percezione di cui si diceva è altalenante, legata non solo ad eventi che suscitano particolari reazioni nel sentire comune, come i delitti a scapito delle donne, ma anche all’agire o all’affermarsi di alcune correnti politiche.

 Su questo argomento viene da domandarsi quale sia la relazione tra la destra al potere e l’insicurezza percepita dai cittadini, ovvero se questi siano influenzati dal continuo richiamo da parte della politica o al contrario sia vincente quest’ultima perché raccoglie i timori del sentire comune. Sta di fatto che la relazione tra insicurezza percepita e la situazione reale dei delitti è quanto meno aleatoria. In questo caso fa specie la dimensione della frattura tra il reale e il percepito che è dato indispensabile perché anche una Associazione che mira all’inclusione e alla coesione sociale, possa mettere in atto tutte quelle strategie utili per raggiungere i propri obbiettivi.

 Il volontariato, e specialmente quello di modeste dimensioni, pur lavorando territorialmente su numeri bassi, trova il proprio spazio di azione proprio nella ricucitura di questa frattura diffondendo la cultura della legalità, della tolleranza, della pace e dell’inclusione. Quel divario, quello spazio vuoto che occupa la frattura è preoccupante perché sfugge alla luce della ragionevolezza.

Tutto questo a significare che il binomio insicurezza-presenza stranieri è spesso immotivato, ma non per questo meno preoccupante. Conoscenza, familiarità, frequentazione, ospitalità, scoperta dell’identità dell’altro, sono gli strumenti per vincere ogni timore, per disinnescare quella pericolosa bomba che, dall’incomprensione conduce all’esclusione e infine ad ogni tipo di razzismo. Questa strada si può percorrere anche con la fede e  il cuore, ma soprattutto occorre che sia lastricata di ragione.   

Come abbiamo detto più volte, il fenomeno delle migrazioni che è connaturato con la stessa esistenza dell’uomo, è un evento al quale dobbiamo abituarci non considerandolo un fenomeno temporaneo.  Le sue ragioni stanno nella disparità della distribuzione delle risorse, nei cambiamenti climatici, guerre e carestie, unite alla progressiva decrescita demografica.

 E’ recente una rilevazione che illustra come in oltre la metà del nostro paese il numero degli occupati sia pari a quello della popolazione inattiva che per vivere ha bisogno dei primi. Il termine “sostituzione etnica” è frutto di una falsificazione ideologica, tuttavia sta di fatto che dopo un lungo periodo di quasi immobilità, una discreta quantità di popoli stia mettendosi di nuovo in cammino verso altre latitudini. Questa migrazione a detta di molti genererà  quegli incontri e contaminazioni che nella storia dell’umanità, hanno hanno dato luogo a sorprendenti crescite di civiltà.

A fronte di questo inarrestabile processo, il governo della migrazione non può che partire dall’esperienza dell’inclusione che germoglia dal basso, da una forma di accoglienza che non è solo retaggio della nostra tradizione dell’ospitalità o della solidarietà e della “carità” che insegna la religione cristiana, ma vera organizzazione alla quale nessun territorio potrà sottrarsi. Le scioccanti foto del Centro per il Rimpatrio di Milano dicono molto su quello che non si dovrebbe fare; raccontano di una incivile e vergognosa speculazione sulle sventure dei migranti.

Chi opera nelle iniziative per l’accoglienza, sia esso volontario o impegnato nelle strutture, sa bene che molti immigrati sono reduci da eventi terribili, dai quali riportano traumi psicologici difficilmente sanabili. Il viaggio avventuroso, la detenzione in luoghi di segregazione e di terrore, la vicinanza con la morte di compagni di viaggio sono retaggi di sofferenza che si aggiungono alla lontananza dagli affetti famigliari. Molti si sono esposti a pericoli e sacrifici inseguendo da affamati il mito del benessere facile di una società ricca nella quale i supermercati riservano più di una corsia al cibo per gli animali di compagnia. Si può ben immaginare come la delusione unita al pericolo vissuto possa dare luogo a vere patologie. Forse a ragione, alcuni sostengono che questa sia la storia di tutti i migranti, quella sopportata anche dai nostri avi, generosi nel sottoporsi a grandi sacrifici per mantenere i propri figli. Vi è tuttavia una diversità: i nostri nonni, classificabili oggi  “immigrati economici”, giungevano in un nuovo mondo nel quale non prevaleva la spasmodica spinta verso i consumi e l’emulazione di modelli di vita da “grande fratello”. La società che li accoglieva non ostentava una ricchezza smodata, ma agiva con maggiore sobrietà, promettendo denari da guadagnare con un onesto lavoro. 

Sempre con maggiore frequenza la cronaca propone inquietanti episodi di instabilità mentale, di abuso di alcool, di violenza priva di senso che vedono come protagonisti cittadini immigrati. Considerato che la migrazione comporta costi considerevoli a carico di chi parte sostenute dalle famiglie o da interi villaggi, gli episodi di instabilità mentale fanno sorgere qualche interrogativo. E’ mai possibile che famiglie e comunità dei paesi di origine si facciano carico di sostenere le spese per il viaggio avventuroso di persone già giudicate fragili, oppure è il vissuto traumatico che ha portato la destabilizzazione di individui tutto sommato sani? Non sarebbe quindi il caso che nel pacchetto di accoglienza trovasse spazio pure l’accertamento della integrità mentale di chi viene ad abitare accanto a noi? Forse potremmo evitare che i più fragili, posti in una condizione di emarginazione, finissero col chiudersi nel proprio vissuto in forma parossistica, elaborando processi di radicalizzazione religiosa.   

Quanto al governo dei migranti in ingresso, pur trascurando gli aspetti etici, da qualunque parte si affronti il problema, è necessaria concretezza, realismo, rispetto del dettato costituzionale relativamente ai diritti umani, garanzia della sicurezza e difesa della prosperità del paese.

Quella discrepanza sulla insicurezza percepita dai cittadini rispetto ai reali pericoli, si supera nel momento in cui si analizza il problema nella sua globalità, senza pregiudizi, senza un “noi che si contrappone a un loro” corroborato da una forte azione di educazione e promozione della crescita delle persone.

Auguri per un felice anno. 

      

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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