“Domani con gli Amici del Po a Monticelli d’Ongina, la pastasciutta di Alcide Cervi, papà Cervi, la quercia che ha cresciuto sette rami, sette fratelli fucilati dai fascisti”

Interessante domenica proposta dall’Associazione Amici del Po in riva al Grande Placido Fiume a Monticelli d’Ongina. Alle ore 20.00 la “pastasciutta di Alcide Cervi” (con prenotazione telefonica chiamando il numero 0523/486854), sostanzialmente una serata nel nome dell’antifascismo (alle 21.30 seguirà “La casa del vento“, rappresentazione in collaborazione con Resistenza in Festa). Ma chi era Alcide Cervi? Nato a Campegine (Reggio Emilia 6 maggio 1875, morto nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1970 all’ospedale di San Ilario (RE), contadino. Per gli italiani e gli antifascisti che, nel secondo dopoguerra, l’hanno conosciuto o, semplicemente, hanno saputo di lui, era affettuosamente “Papà Cervi”. Eppure è stato una figura leggendaria tra quante hanno illustrato la Resistenza italiana. Di lui e dei suoi sette figli trucidati hanno scritto, tra i tanti, Piero Calamandrei, Renato Nicolai, Luigi Einaudi, Arrigo Benedetti; ma a dirne la tempra sono le sue stesse parole, pronunciate dopo che gli fu consegnata una medaglia d’oro, realizzata dallo scultore Marino Mazzacurati, che da un lato reca l’effigie di Alcide e dall’altro un tronco di quercia tra i cui rami spezzati brillano le sette stelle dell’Orsa: “Mi hanno sempre detto ‘tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta’ la figura è bella e qualche volta piango. Ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo“.

Alcide Cervi, la quercia che ha cresciuto sette rami

A quello stesso ideale si richiamava il padre di Alcide, Gelindo, imprigionato nel 1869 per aver partecipato ai moti contadini contro la tassa sul macinato che, solo a Campegine, erano costati sette morti e dodici feriti tra i dimostranti e sessanta arresti. Lo stesso ideale, alla scuola dell’apostolo socialista Camillo Prampolini, Alcide Cervi seguì per tutta la vita. Durante la dittatura, quando con la sua famiglia si limitava a lavorare duramente i campi, subì perquisizioni e persecuzioni, ma non si piegò mai ai fascisti. Così, il 26 luglio del 1943, tutti Cervi erano a Reggio Emilia, alla manifestazione per esigere la scarcerazione dei detenuti politici. Dopo l’8 settembre i Cervi organizzarono la fuga dei prigionieri alleati dal campo di Fossoli, li accolsero nella loro fattoria e con loro, con la famiglia Sarzi, che gestiva una compagnia di teatro viaggiante, e con altri amici organizzarono una formazione partigiana della quale faceva parte pure un sacerdote, don Pasquino Borghi, che verrà catturato e fucilato. La notte del 25 novembre 1943 i fascisti accerchiarono la casa dei Cervi, che si difesero sparando dalle finestre sino a che ebbero munizioni. Costretti ad arrendersi furono tutti incarcerati a Reggio Emilia, dove i sette fratelli furono fucilati, con il patriota Quarto Camurri, all’alba del 28 dicembre. Alcide, che ignorava la sorte dei figli, rimase in carcere sino al 7 gennaio 1944, quando un bombardamento aereo smantellò l’edificio e gli permise di fuggire. Tornato a casa, la trovò distrutta, apprese che tutti i figli erano stati sterminati, ma non si piegò. Con la moglie, Genoeffa Cocconi, le quattro nuore e dieci nipotini riprese a lavorare per ricostruire la casa e condurre la terra. Il 10 di ottobre i fascisti tornarono e distrussero quel che i Cervi superstiti avevano ricostruito. Genoeffa non resse e un mese dopo morì. Alcide resistette ancora e per altri 14 anni, con quel che gli era rimasto della famiglia, continuò a coltivare il seme della libertà. Oggi la sua casa è museo della Resistenza.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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