“La storia di Aldo Braibanti non è un fatto personale: un’intera società è coinvolta”, nota di Antonella Lenti a margine della proiezione del film ‘Il signore delle formiche’ dedicato alla vicenda di Aldo Braibanti, condannato per plagio e incarcerato da una società bigotta e crudele contro la ‘diversità’

Il pubblico presente nel salone XNL di via Santa Franca

Una società messa a nudo in tutta la sua pochezza e crudeltà. E’ quella che ha permesso la condanna di Aldo Braibanti a nove anni per plagio. Ma non era stato commesso alcun plagio. Braibanti finì alla sbarra e fu condannato.

Una società, quella degli anni Sessanta, che se da un lato lanciava segni culturali e sociali di fermenti e di cui Braibanti era una delle menti fini, dall’altra lo zoccolo duro del conformismo, delle convenzioni retrive mostrava il suo lato più duro e ingiusto.

Probabilmente è anche il desiderio di mettere a nudo una parte del nostro vissuto che ha portato Gianni Amelio a decidere di fare un film su Braibanti, la sua storia e quel mondo da cui è stato rifiutato. Anzi di più, torturato. In nome di un perbenismo che non poteva accettare l’omosessualità e che via via si stava vestendo dei panni nuovi di una borghesia ricca di fuori e sempre più arcaica dentro.

L’accoglienza che gli attori e il regista del film “Il signore delle formiche” hanno avuto giovedì sera nella futura sala cinematografica d’essay che si sta approntando a palazzo XNL (spazio della Fondazione di Piacenza e Vigevano) dà anche il segno di un desiderio forse inconscio della società piacentina di poter riparare a un torto.

Il torto di aver voluto ignorare (forse) rimuovere (forse) la storia umana di Braibanti a cui la stoltezza, la cattiveria, ha impedito un naturale sviluppo sia come poeta sia come scienziato (era il massimo studioso del sistema sociale delle formiche) sia come intellettuale a tutto tondo. Un disinteresse (anche della politica democratica per la quale lui aveva combattuto da partigiano). Privandosi così di una ricchezza immensa.

Ed ha avuto ragione Alberto Esse che durante il confronto con i registi e gli attori ha sottolineato come Piacenza, nei fatti, non abbia mai fatto i conti fino in fondo con la storia terribile che ha visto protagonista Aldo Braibanti e la sua famiglia. Perché una parte di questa città – ha detto Esse – è ancora così. Non c’è mai stata catarsi su questi fatti. Eravamo in pochi a sostenerlo e in pochi per tanti anni. Mi piacerebbe – ha aggiunto – andare a vedere le cronache del tempo per vedere cosa si è detto. Ha sottolineato l’importanza della funzione dell’arte. Spero – ha concluso – che porti a una riflessione che fino ad ora è mancata.

Si vuole pensare che tanta attenzione, tante persone che poi in serata hanno visto la proiezione al cinema Corso che per la pressione di spettatori ha raddoppiato lo spettacolo, sia arrivata non solo per la presenza a Piacenza di un assaggio di starsystem. Di volti noti come Luigi Lo Cascio, Elio Germano, il regista Gianni Amelio, il produttore piacentino Simone Gattoni, il giovane Leonardo Maltese che interpreta Ettore (ha incassato proprio a Piacenza un premio della critica arrivato fresco da Venezia).

Si vuole pensare che tante persone siano arrivate all’iniziativa promossa da Fondazione di Piacenza e Vigevano (in apertura presentata da Mario Magnelli e Paola Pedrazzini) per testimoniare una loro presenza civica a un tema, l’omofobia, più che mai vivo anche nella società di oggi.

I racconti degli attori hanno deliziato un pubblico attento e partecipe fino al racconto di un episodio realmente accaduto con alcuni protagonisti della storia vera di quegli anni, il 1968.

Da bravi e veri attori hanno  tolto la seriosità all’incontro raccontando alcuni episodi della fase di realizzazione del film come la cena al ristorante super lussuoso che hanno dovuto ripetere perché quella girata era inservibile. “Ci siamo accorti che i bicchieri sui tavoli erano rimasti tutti capovolti” Scena bocciata da rifare nottetempo… Con il patema dei costi che, come ogni volta che si deve ripetere una scena, possono lievitare paurosamente…

Ma tra le pieghe dello sfondo goliardico consumato nei duetti tra attori, regista e intervistatore sono rimaste scolpite le ragioni forti, profonde del film.

Diventata quasi una necessità collettiva.

Come il fatto che nel racconto cinematografico non si fanno i nomi della famiglia del giovane che accusa il professore di plagio. Se Aldo Braibanti nel film non è un personaggio di fantasia (lo interpreta il bravissimo Luigi Lo Cascio) la famiglia del giovane lo è. Ma non è reticenza. “La storia di Braibanti è conosciuta, non uso i nomi degli accusatori – ha specificato Amelio – perché di quel fatto è colpevole una società intera. Un modo di pensare. Questo avrebbe tolto il vero valore allegorico al film. Sarebbe stato come prendersela con quella famiglia in particolare mentre ancora oggi tante famiglie hanno quel modo di pensare”.

Come dire “non crediate di sentirvi assolti, siete per sempre coinvolti”. E’ il messaggio che vale più che mai.

E poi una lezione da artista che è arrivata dal regista. Sull’interscambio tra il sé che dirige la storia e il personaggio che deve raccontare. Semplice la sua risposta che cita Flaubert. “Madame Bovary c’est moi”. Dice.

Vale a dire? Non puoi fare un film senza identificarti e io  sono sempre stato – ha detto Amelio – un carabiniere, una prostituta, un bambino con disabilità… e quindi via via tutti i personaggi che hanno dato forma ai film. Tutti i personaggi che si chiamino Braibanti o Sartori si chiamano anche  Gianni Amelio.

E poi il tema dell’omosessualità: Attenzione – ha rimarcato Amelio – questo film non è la storia di un omosessuale. Sarebbe una mancanza di rispetto verso Aldo. Però un legame con l’attualità Amelio lo tratteggia rispondendo alla domanda di un giovane nel pubblico. Oggi non ci sarebbe un processo alla Braibanti, ma la crudeltà si allarga ad altro.

Quella di Braibanti è una storia che diventa esemplare, mette a nudo la violenza che viene dalle leggi, dal costume, da tutto quello che imprigiona la libertà mentale di un individuo. E’ questo il punto principale del racconto. L’affermazione della propria libertà di essere e di non essere annientato. Aldo insomma aveva combattuto fin da giovane contro il fascismo per liberare da quelle convinzioni che sovrastano le possibilità di espressione dell’uomo riducendolo ad essere passivo. Oggi?

Non si manifestano con toni tanto clamorosi ma succedono cose altrettanto brutte.

Fonte: Il taccuino (Antonella Lenti blog)

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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